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    La riforma dell’accesso a Medicina: i posti disponibili continueranno ad essere pochi

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    La Camera ha approvato con 149 voti favorevoli e 63 voti contrari la riforma della legge 264/1999 per l’accesso ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e protesi dentaria e Medicina Veterinaria.  “L’Università italiana volta pagina, gli atenei non si presenteranno più con l’insopportabile dicitura ‘numero chiuso’ ma con le porte aperte di chi ha l’ambizione di accogliere studenti e formarli per diventare bravi medici”: questo il commento della ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, all’approvazione in seconda lettura del provvedimento. Pioggia di critiche da parte delle opposizioni, che non hanno perso occasione per rimarcare l’ennesimo scarto non considerato tra la realtà dei fatti e la teoria aleatoria. 

    La riforma Bernini

    Il mondo accademico sta cambiando, per l’ennesima volta, ma è ancora prematuro definire gli effetti di tale stravolgimento. Per il momento, prendiamo semplicemente atto di quanto accaduto a Montecitorio: dopo l’approvazione del Senato, l’Aula della Camera ha deliberato in via definitiva il provvedimento che sancisce una rimodulazione dell’accesso ai corsi di laurea in ambito sanitario, più nello specifico Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e protesi dentaria e Medicina Veterinaria.

    Attenzione, perché “rimodulazione” è un termine che, più di altri, è stato scelto appositamente, così da mettere subito in evidenza il primo punto fondamentale: la selezione permane, di conseguenza i famosi camici bianchi continueranno ad essere distribuiti con criterio, almeno secondo le intenzioni del Governo. 

    A partire dall’anno accademico 2025-2026, non prevedendo più lo svolgimento dei quiz a crocette, l’immatricolazione alle facoltà di cui sopra nelle università pubbliche sarà subordinato all’iscrizione ordinaria, cosa che accade normalmente per i corsi ad accesso libero. Tradotto in altri termini, iscrizione libera al primo semestre di lezioni ma accesso agli anni successivi garantito ai soli studenti che saranno riusciti ad ottenere un punteggio utile in una graduatoria nazionale superando una serie di esami. Dunque, stop al numero chiuso per come sperimentato finora, ma sì al numero programmato. Stando a quanto dichiarato, l’intento sarebbe quello di mettere al centro “trasparenza, equità e merito”. 

    Laurea e post-laurea

    In sintesi, il numero effettivo dei posti disponibili continuerà ad essere limitato, dunque non è esattamente chiaro come il Governo intenda arginare la carenza cronica di personale sanitario. Lo stesso discorso vale se calato nel post-laurea, ove l’accesso alle scuole di specializzazione è anch’esso subordinato al numero programmato. 

    Un cambiamento “radicale”

    Ancora da chiarire quali saranno le materie da sostenere per la selezione, anche se con ogni probabilità ad essere interessati saranno i corsi comuni all’area biomedica, sanitaria, farmaceutica e veterinaria, dunque chimica, fisica e biologia. Chi non dovesse riuscire ad entrare in graduatoria, potrà frequentare nel secondo semestre un corso a scelta tra quelli di area scientifica; di conseguenza, senza perdere l’anno, gli esami sostenuti – se ritenuti compatibili – potranno essere convalidati nel momento del passaggio ad un altro corso di laurea. 

    Per la concreta attuazione di quanto previsto serviranno, comunque, i decreti attuativi. Ma nulla di cui preoccuparsi: la ministra Bernini ha tranquillizzato garantendone l’emanazione in tempi rapidi. 

    Favorevoli e contrari

    Non sono mancate le critiche da parte delle opposizioni, che hanno contestato alla ministra Bernini la promozione di un “pasticcio inattuabile a breve”, questo perché “la programmazione universitaria non si fa in sei mesi”. Plauso, invece, da parte dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia: “Per troppi anni migliaia di ragazzi hanno visto il loro sogno di diventare medici, veterinari o odontoiatri infrangersi contro un test d’ingresso che spesso non premiava il talento, la vocazione e la determinazione. Finalmente siamo a un passo dal cambiare questo sistema ingiusto,che ha più volte dimostrato i suoi limiti”. 

    Realtà quotidiana 

    A proposito di limiti del sistema che ci si appresta a portare trionfalmente sul carro del vincitore, andiamo con ordine: la lista è piuttosto lunga e articolata, dunque è bene specificare ogni punto con le dovute argomentazioni. Quanto alla presenza strettamente numerica, le facoltà di cui stiamo trattando sono distribuite abbastanza equamente nell’intero territorio italiano. Lo stesso non si può dire degli atenei storicamente noti per l’alta qualità della didattica, concentrati per lo più nel Nord Italia; stando all’edizione 2024/2025 della classifica CENSIS delle Università italiane, Pavia, Milano Bicocca, Padova, Bologna. 

    A titolo esemplificativo, proviamo a tradurre in pratica il caso dell’Università di Pavia, che per l’anno accademico 2024/2025 ha potuto contare – come molti altri atenei – su un numero estremamente contenuto di posti disponibili per l’ambito sanitario: 326 per il corso di laurea in Medicina e Chirurgia e 17 per Odontoiatria e protesi dentaria. Viene implicito chiedersi se tale portata sia in qualche modo legata all’effettiva capacità delle strutture didattiche frequentate dagli studenti: ovviamente sì, anche se tale nesso non gode di grande considerazione. 

    Ecco, proviamo ora ad immaginare cosa potrebbe accadere quando, un giorno, i laboratori  e le aule verranno letteralmente prese d’assalto – benché per periodi limitati – da quelle stesse masse di studenti attestate allo svolgimento dei quiz di selezione. 

    Nord e Sud

    Ciò detto, chiunque pensi di rendere valido il principio della cosiddetta selezione naturale non farà chissà quanta strada. Questo perché il problema è duplice: non solo non considerare affatto il nesso di causa-effetto esistente tra la programmazione nazionale degli accessi e la capacità delle strutture, bensì invalidare tramite l’esperienza quotidiana la stessa legge approvata. Vediamo di capire meglio il punto: se è vero che la selezione verrà semplicemente posticipata, dando modo agli studenti di iscriversi comunque ai corsi, allora è altrettanto vero che nell’arco temporale definibile “di prova” il numero programmato diverrà inapplicabile, con importanti ripercussioni sulla qualità della didattica. 

    Sbagliato, però, pensare che simili dinamiche riguardino soltanto i grandi atenei del Nord; la problematicità sussiste anche e soprattutto in riferimento al Sud. Proprio da qui migliaia di giovani emigreranno al Nord, attirati dalle migliori prospettive di studio e lavorative, andando tristemente ad alimentare l’inapplicabilità del numero programmato. 

    Vocazioni e talenti

    Fallace anche il discorso stilato a proposito di una certa vocazione per le professioni sanitarie: cosa buona e giusta sarebbe ribadire che la vocazione non ha nulla a che fare con la buona riuscita degli studi e del successivo percorso lavorativo. In questo senso, non sarà di certo una manciata di esami a determinare il profilo dei futuri camici bianchi.

    Assodato questo punto, esiste poi un altro aspetto – molto più sottile ed implicito – che il provvedimento in questione dà ad intendere: un certo lassismo tollerabile nell’affrontare studi lunghi e corposi come quelli previsti in ambito sanitario, l’idea che chiunque si avvicini a quest’ultimo possa arrivare in fondo e farcela, oppure nel peggiore dei casi vedere la propria carriera travasata in un ambito affine. Purtroppo non è affatto così, e il fatto che il Governo sorvoli su quanto detto poc’anzi, non prestando attenzione al messaggio veicolato, la dice lunga sulla poca esperienza in materia. 

    Conclusioni

    Infine, c’è un ultimo aspetto meritevole di attenzione: il test d’ingresso poteva essere mantenuto, ma mutandone il contenuto. Niente più domande di cultura generale, bensì quesiti strettamente correlati all’ambito sanitario. Viene spontaneo chiedersi se quest’ultima opzione sia stata anche solo presa in considerazione.

    La risposta non è nota, ma i segnali fin qui giunti fanno propendere per un responso negativo. Il motivo è presto detto: molto più semplice sbandierare l’abolizione apparente del numero chiuso piuttosto che impegnarsi davvero per abbattere gli ostacoli che limitano l’accesso alla professione.

    A cura di Fiammetta Freggiaro – Vicedirettrice editoriale

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