Il 19 maggio scorso un terremoto ha investito il Medio Oriente con la morte del presidente ultraconservatore iraniano Ebrahim Raisi – che secondo il The Guardian sarebbe accaduta nei pressi del confine azero – che ha costretto la potenza regionale a convocare nuove elezioni in fretta e furia. Una situazione, quella dell’Iran, molto complicata dato che rientra in un quadro geopolitico a dir poco delicato, con una guerra alle porte del paese e un Occidente sempre più reticente a stringere rapporti diplomatici ed economici.
Le sanzioni dell’Occidente
A partire dal 2011, anno in cui l’amministrazione Obama impose delle sanzioni al regime teocratico di Teheran, molte cose sono cambiate nel paese. Innanzitutto, le sanzioni non hanno colpito direttamente la struttura statale iraniana ma tutto quell’apparato di imprese, composto da colossi pubblici come privati, che rendeva l’Iran un protagonista economico della regione. Infatti, il risultato fu un sensibile impoverimento della popolazione la quale, anche in seguito a una forte campagna propagandistica, ha assunto una maggiore fiducia nei confronti del regime che ai loro occhi era vittima dello strapotere americano. Tale condizione, a quanto si apprende dall’ISPI, sarebbe stata favorita anche da un aumento dei posti di lavoro messi a disposizione dallo stato, rendendo la fu classe media – quella più incline a una distensione dei rapporti con l’Occidente – di fatto dipendente dal volere governativo.
Un altro effetto delle sanzioni è stato quello di una parziale diversificazione dell’economia iraniana al fine di mitigarne l’impatto, ora non più interamente basata sul commercio del petrolio, e un progressivo avvicinamento al sud globale e alle nuove superpotenze. Infatti, il numero di barili di petrolio commerciati con la Cina, il principale avversario economico e militare degli States, ha raggiunto il massimo storico pur non riuscendo a tornare ai livelli precedenti il 2011.
Israele e Siria subiscono una perdita d’influenza nella regione
A metà aprile, nel più ampio quadro della guerra Israele-Hamas, Tel-Aviv attaccò l’ambasciata iraniana a Damasco. Un episodio che non passò inosservato determinando un forte deterioramento dei rapporti tra i due paesi tale da sfociare in una presa d’armi di Teheran. In realtà, i vertici iraniani hanno più volte affermato di non volere un conflitto aperto con Israele dato che non sarebbe sostenibile. Difatti, oltre alla situazione economica precaria, un dato fondamentale per imporre l’influenza iraniana nella regione è la fedeltà del cosiddetto “Asse della Resistenza”: l’alleanza che Teheran ha tessuto con numerosi paesi e gruppi militari del mondo arabo, da Hezbollah agli Houthi. Questa non pare più salda come prima. Non si tratta solo della totale impreparazione dell’Iran nei confronti dell’attacco del 7 ottobre, situazione sconcertante dato che Hamas fa parte dell’Asse, ma anche della risposta ambigua della Siria. Mentre Raisi diede solidarietà incondizionata al gruppo palestinese, Damasco preferì mantenere una situazione di sostanziale neutralità. Questa mossa, anche in virtù dei continui attacchi israeliani alle infrastrutture iraniane presenti nel paese, avrebbe alimentato l’idea che la Siria starebbe passando informazioni segrete a Tel-Aviv per ridurre l’influenza della Repubblica Islamica.
Teheran guarda verso Oriente
Come già detto, l’Iran si è progressivamente avvicinato alla Cina, il cui mercato serve da valvola di sfogo per un’economia sempre più in crisi per via delle sanzioni occidentali. Pechino però non è l’unica protagonista di un radicale mutamento della politica estera di Teheran. Per esempio, il paese sta stringendo forti legami con l’Azerbaijan, insieme al quale ha costruito ben tre dighe negli ultimi anni. Un enorme passo avanti date le precarie connessioni diplomatiche che un tempo erano invece floride. Non è un caso che Raisi si trovasse sul suolo azero poco prima dell’incidente mortale in cui ha perso la vita.
Un altro paese che sta sfruttando il rapporto teso tra Iran e Occidente è l’India di Modi. Nuova Delhi ha firmato un accordo per sviluppare il porto di Chabahar, situato sulla porzione di costa più orientale dell’Iran e importante nodo di scambio tra Oman e Pakistan, che si configura come porta del Golfo Persico per tutte le navi provenienti dall’Oceano Indiano. Una mossa che potrebbe però ritorcersi contro quello che da poco è diventato il paese più popoloso del mondo. Infatti, Vedant Patel, portavoce aggiunto del Dipartimento di Stato USA, ha affermato: “Qualsiasi entità, chiunque stia considerando accordi commerciali con l’Iran, deve essere consapevole dei potenziali rischi a cui si sta esponendo e del potenziale rischio di sanzioni”. Una situazione spinosa per Washington che per la prima volta deve fare i conti con un mondo multipolare e con una possibile futura super-potenza, l’India, che gioca a mettere il piede in due staffe mantenendo un buon rapporto con gli stati occidentali (per esempio il legame mediatico e politico con Giorgia Meloni) ma al contempo stringendo accordi commerciali e militari che di fatto ne minano la stabilità.
L’incognita nucleare
Nonostante il crescente astio della popolazione iraniana nei confronti degli Stati Uniti – in parte minato dal sempre più stringente controllo sulla società in seguito all’esplosione del movimento “Donna, Vita Libertà” – la maggioranza della popolazione sembra concordare sulla necessità di diventare una potenza nucleare. Ciò mette il nuovo presidente Pezeshkian in una posizione molto scomoda: da un lato. l’interesse ad acquisire maggiore popolarità a seguito di una partecipazione molto scarsa (solo il 50% degli aventi diritto ha partecipato al voto); dall’altra, la volontà di ricucire lo strappo con l’Occidente. Una porzione di mondo che non ha mostrato remore nel condannare Teheran, colpevole di non essere abbastanza trasparente sul proprio programma nucleare. Infatti, l’AIEA avrebbe imposto all’Iran di non superare la soglia del 4% nell’arricchimento dell’uranio, processo fondamentale per lo sviluppo di un’arma atomica, mentre Raisi sarebbe arrivato al 60%.
Chi è Pezeshkian, il nuovo Presidente?
Masoud Pezeshkian, eletto pochi giorni fa Presidente della Repubblica Islamica, è un esponente del movimento riformista iraniano. Tale movimento cerca di implementare riforme per modernizzare il paese e rendere il governo più democratico, inclusivo e rispettoso dei diritti umani. È emerso principalmente in risposta al regime teocratico instaurato dopo la Rivoluzione Islamica del 1979. Ha guadagnato slancio negli anni ’90 con l’elezione di Mohammad Khatami alla presidenza nel 1997. Khatami ha promesso di promuovere una “società civile” e una maggiore apertura politica e culturale. Durante i suoi due mandati ha cercato di liberalizzare il sistema politico, promuovere la libertà di stampa e migliorare le relazioni con l’Occidente. Tuttavia, ha incontrato una forte resistenza da parte dei conservatori all’interno del governo e delle istituzioni religiose. Il movimento riformista ha subito un’importante evoluzione nel 2009, con l’elezione contestata di Mahmoud Ahmadinejad. Le accuse di frode elettorale hanno portato a massicce proteste note come il Movimento Verde, che chiedeva trasparenza elettorale e riforme democratiche. Le proteste sono state duramente represse dal governo. Nonostante tale svolta autoritaria uno dei maggiori successi del riformismo in Iran fu il già citato accordo nucleare che preferiva una soluzione diplomatica della faccenda.
Nonostante tale premessa non sembra che il nuovo presidente sarà capace di traghettare l’Iran verso un futuro maggiormente democratico. Infatti, l’autorità del presidente iraniano è fortemente soggetta alla volontà della Guida Suprema e del suo apparato militare, scisso dall’esecutivo. Pezeshkian si è dichiarato favorevole, oltre alla distensione con l’Occidente, alla limitazione del controllo statale nella quotidianità della popolazione. Contro l’imposizione dell’hijab e del completo ban dei siti web stranieri, il nuovo presidente dovrà tuttavia trovare una maniera di dialogare e lavorare con un parlamento e un’autorità teocratica ultraconservatori.