Un carico di droni turchi kamikaze “Skydagger 15” è stato consegnato all’aeroporto “Adem Jashari” di Pristina, in Kosovo, scatenando una nuova crisi politica nei Balcani.
La notizia dell’arrivo anticipato dei velivoli – circa 3 mesi di anticipo rispetto a quanto previsto – ha provocato una dura reazione da parte del presidente serbo Aleksandar Vucic, il quale ha affermato che la Turchia ha violato la Risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la quale autorizza la missione NATO KFOR come forza armata nel territorio del Kosovo.
L’importanza dei droni per la sicurezza del Kosovo
L’importanza dell’arrivo anticipato dei droni turchi è legata alla loro elevata qualità: questi velivoli sono in grado di trasportare fino a 5 kg di carico utile, incluso esplosivo, e volare per 10 km a una velocità di 130 km/h. Questa fornitura rappresenta una grande modernizzazione delle capacità militari per Pristina, che in base agli accordi che prevedono la presenza delle forze della NATO (KFOR) dovrebbe avere solo compiti di sicurezza interna e non dovrebbe disporre di armi offensive.
Le problematiche della risoluzione 1244 dell’ONU
Per il presidente serbo, la consegna anticipata dei droni è una provocazione esplicita nei confronti della risoluzione 1244 approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Nel 1999, al termine del conflitto armato tra gli albanesi dell’UCK e le forze serbe, L’ONU stabilì la demilitarizzazione dei gruppi armati locali e il riconoscimento della forza NATO KFOR come forza armata autorizzata ad operare nel territorio del Kosovo.
Nel 2009 però, Pristina avviò la formazione di una Forza di sicurezza del Kosovo, con mandato civile e di intervento in casi di catastrofi e calamità. Successivamente, nel 2018, il parlamento del Kosovo adottò un provvedimento sulla trasformazione della Forza di sicurezza (FSK) in un vero e proprio esercito nazionale con compiti sempre più militari. È proprio questa evoluzione, unita all’acquisizione degli armamenti offensivi, a rappresentare un nodo giuridico controverso: per Belgrado si tratta di una violazione della Risoluzione 1244 e anche del diritto internazionale, per Pristina invece è la massima espressione della propria sovranità statale.
La risoluzione ha rappresentato il quadro giuridico per la fine del conflitto in Kosovo e la successiva instaurazione di una presenza militare e internazionale nel territorio. Tuttavia, il testo presenta svariate ambiguità, le quali generano problematiche nell’applicazione. Nonostante venga imposta la demilitarizzazione di gruppi armati albanesi, la risoluzione non chiarisce se e in che misura le autorità kosovare possono sviluppare le proprie capacità di difesa e se possono acquistare o meno armamenti.
Questo vuoto normativo è il punto cruciale del testo: per Belgrado ogni iniziativa militare intrapresa da Pristina viola la risoluzione 1244. Al contrario, per le autorità kosovare il documento non solo è rimasto ambiguo, ma non è mai stato aggiornato nonostante i profondi cambiamenti politici e istituzionali avvenuti nel corso degli anni.
La dura reazione iniziale… e la retromarcia finale di Belgrado
La prima reazione di Vucic all’arrivo dei droni turchi a Pristina è stata molto dura, il presidente serbo ha utilizzato toni severi e di condanna, dicendosi “terrorizzato” dal comportamento della Turchia affermando: “Ora è chiaro che Ankara non vuole alcuna stabilità nei Balcani, ma sogna il ritorno dell’Impero ottomano”.
Questa grande preoccupazione da parte di Belgrado è comprensibile. Infatti, negli ultimi anni, Ankara ha notevolmente aumentato la propria presenza militare ed economica nella regione balcanica, presentandosi dunque come una potenza amica di Kosovo e Bosnia, due Stati a maggioranza musulmana, che cercano sempre più un equilibrio culturale e politico tra Occidente e Oriente.
Il giorno seguente alle dichiarazioni summenzionate, tuttavia, il presidente serbo ha fatto retromarcia rispetto alle sue parole iniziali. In risposta alle critiche dei media serbi riguardo alla sua amicizia personale con Erdogan in seguito al trasferimento di armi dalla Turchia al Kosovo, Vucic ha difeso il proprio rapporto con il leader turco. Successivamente, il leader serbo ha sottolineato l’importanza delle relazioni diplomatiche con Ankara, esaltando anche la leadership di Erdogan, definendolo come “il più grande leader turco dai tempi di Mostafa Kemal Ataturk”.
Inoltre, Vucic ha sottolineato il ruolo centrale della Turchia per la stabilità regionale all’interno dei Balcani. L’intenzione del presidente serbo è quella di cercare di convincere Erdogan ad interrompere le forniture di armi a Pristina, cosa già successa lo scorso anno; Vucic ha inoltre aggiunto che chiederà alle Nazioni Unite di agire per il rispetto delle proprie risoluzioni.
Un futuro sempre precario o un nuovo inizio?
La questione, oltre ad essere una disputa legale è l’ennesima dimostrazione di fragilità politica nella penisola balcanica. L’arrivo dei droni turchi rappresenta un atto simbolico, sia sul piano politico che tecnologico, che contribuisce a ridefinire ulteriormente gli equilibri regionali. L’episodio segna, di fatto, un ulteriore capitolo del lungo e complesso processo di normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina.
Per quanto questa nuova crisi possa sembrare un ulteriore capitolo della “corsa” al riconoscimento internazionale del Kosovo, in realtà potrebbe rappresentare anche un punto di svolta.
Il fatto che Vucic dopo meno di 24 ore abbia attenuato il proprio tono, lascia presagire la possibilità di un cambio di approccio. Probabilmente c’è una consapevolezza sempre più crescente da parte di Belgrado, tanto sul piano interno che su quello internazionale, che l’opportunità di esercitare una reale influenza su Pristina si sia ridotta sempre di più.
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