Diventa legge la ‘norma-bavaglio‘ che impedisce ai giornalisti di pubblicare il testo delle ordinanze di custodia cautelare: il Senato ha approvato l’articolo 4 della legge di delegazione europea, in cui, durante il passaggio alla Camera, il deputato di Azione Enrico Costa ha fatto inserire un emendamento che delega il Governo a riformare il codice di procedura penale, stabilendo così il divieto di “pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”.
Libertà di stampa a rischio
“È a rischio la libertà di stampa dopo l’approvazione della legge Bavaglio. Quando la stampa non è più libera, quando non può più dare le notizie, vuol dire che c’è la censura e che la nostra democrazia arretra e rischia di diventare una democrazia illiberale”. Lo dichiara il responsabile Informazione nella segreteria del PD, l’europarlamentare Sandro Ruotolo. Il decreto legislativo approvato in CDM il 9 dicembre vieta la pubblicazione «delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare».
Il riferimento è non solo alle ordinanze cautelari, ma anche agli altri atti delle indagini non coperti da segreto, e vieta la pubblicazione di passaggi testuali anche di provvedimenti più “leggeri” rispetto alla custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari; tra questi il divieto di dimora, l’interdizione, l’obbligo di firma, ad indagini in corso. Una totale marcia indietro rispetto a quanto chiarito nel 2017 dal ministro Orlando: in quella circostanza, queste ordinanze, in quanto atti pubblici, erano totalmente pubblicabili. Ora, invece, si vieta la pubblicazione del testo, integrale o parziale, di questi atti, mentre sarà possibile renderne noto il contenuto, riassumendo le informazioni inserite dai giudici, fino alla fine dell’udienza preliminare (o, se non è prevista, fino alla fine delle indagini).
La relazione del Parlamento sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea 2022 e 2023 sottolinea “l’importanza della libertà dei media per difendere la democrazia, chiamare le istituzioni pubbliche e private a rispondere delle loro azioni e dare ai cittadini accesso a informazioni basate sui fatti”.
Le posizioni delle commissioni
Già nella sua attuale formulazione, la norma Costa modifica l’articolo 114 del codice di procedura penale, cancellando l’esclusione – introdotta da Andrea Orlando nel 2017 – dell’ordinanza di misura cautelare dagli atti che è vietato pubblicare. L’articolo 684 del codice penale prevede multe da 51 a 258 euro. È proprio per conferire «effettività al divieto» che le due commissioni, nei due pareri pressocché identici approvati il 15 ottobre al Senato e il 16 ottobre alla Camera, chiedono al Governo due cose: aumentare i documenti non pubblicabili e aumentare le sanzioni.
Rispetto al primo punto le due commissioni, nei pareri approvati dal centrodestra e Italia Viva, presentati da Sergio Rastrelli e Andrea Pellicini, invitano l’esecutivo a estendere il divieto di pubblicazione «a tutte le misure cautelari personali» o ad altri provvedimenti che «possono essere emessi nel procedimento cautelare». Si parla cioè di tutti gli atti che intervengono nelle fasi che precedono un processo: decreti di sequestro o perquisizione, le ordinanze del Riesame contro la custodia cautelare, ma anche provvedimenti come il divieto di espatrio o l’obbligo di dimora, la sospensione dall’esercizio di un ufficio pubblico. Tutti quei provvedimenti, si legge nei pareri, che, se pubblicati, «producono analoghi effetti sovrapponibili a quelli della sola ordinanza di custodia cautelare».
Le commissioni di Camera e Senato chiedono al Governo di estendere l’elenco delle persone sanzionabili anche ad «altri profili» oltre ai giornalisti e ai direttori, facendo così ricorso, per esempio, al decreto legislativo 231 del 2001 sulla responsabilità amministrative delle persone giuridiche e delle società.
La libertà di espressione secondo la Costituzione
La libertà di espressione, che trova la sua tutela costituzionale nell’articolo 21, ha attraversato diverse fasi prima di affermarsi come principio cardine di ogni ordinamento democratico. Nella prima fase, fin da subito l’Assemblea Costituente ha cercato di regolamentare tale diritto nella maniera più consona e reagire così agli abusi del ventennio. A tal proposito, sono state numerose le pronunce della Corte costituzionale negli anni Sessanta e Settanta che hanno reso l’art. 21 e le garanzie in esso contenute di primaria importanza per il nostro ordinamento.
Non a caso, la Corte arrivò a dichiarare nel 1968 che la manifestazione di pensiero fosse “un diritto coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione” e nel 1969 la Consulta ha qualificato la libertà di espressione come “pietra angolare dell’ordine democratico”. Ecco quindi profilarsi in tutta la sua ricchezza il diritto a informare, desumibile dal più ampio diritto di libera manifestazione del pensiero che implica libertà di opinione e di cronaca, ma anche il diritto di informarsi in un quadro di pluralismo delle fonti di informazione, di obiettività e imparzialità dei dati forniti. A ciò vanno aggiunti concetti quali completezza, correttezza e continuità dell’attività informativa, rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico e del buon costume, finanche del libero sviluppo psichico e morale dei minori.
In buona sostanza, il diritto a informarsi discende non soltanto dallo stesso art. 21, ma dalla valutazione sistematica dei principi costituzionali. L’unico limite espressamente previsto in costituzione alla libertà di manifestazione del pensiero tramite i diversi mezzi possibili è quello del buon costume, che la costituzione riferisce alla stampa, agli spettacoli e alle «altre manifestazioni» e che quindi riguarda, per esempio, anche il mezzo radiotelevisivo. Il limite, secondo la giurisprudenza, si riferisce all’esigenza di proteggere il pudore sessuale, con particolare riferimento alla situazione in cui si trovano i minori, cui la costituzione dedica particolare attenzione (artt. 30 e 31). Il buon costume tende a coincidere col concetto di «comune senso del pudore» e di «pubblica decenza» secondo il sentimento medio della collettività (9/1965), sentimento che tende a mutare nel tempo come chiaramente è avvenuto a partire dall’epoca dell’approvazione della disposizione.
Senza informazione non c’è libertà
Garantire l’accesso ad una informazione sicura, chiara e rispettosa, capace di promuovere l’educazione, lo sviluppo, finanche il benessere sociale, spirituale e morale rappresenta un diritto fondamentale di ciascun soggetto. È infatti un obbligo per lo Stato e per le sue istituzioni quello di assicurare la possibilità di ricercare, in modo sicuro, le informazioni necessarie all’autonomo formarsi dei propri convincimenti, dovendosi piuttosto astenere dal compiere atti che possano comprimere siffatta libertà.
Il diritto all’informazione, importando quello di cercare e ricevere informazioni con tutti i mezzi e gli strumenti disponibili, tra cui anche i mass media e i social network, è inoltre prodromico all’esercizio pieno e consapevole del diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni. Stando all’approvazione della norma-bavaglio, pare vi sia la volontà di vietare la pubblicazione delle ordinanze di misure cautelari. Che davvero la ratio sia quella di apprestare maggiori garanzie agli imputati è tutto da dimostrare, posto che sarà difficile, se non impossibile, precludere la diffusione di sintesi dei documenti o ricostruzioni “parziali.” Molto più probabile, invece, rilevare l’eventuale effetto destabilizzante, derivante da tale normativa, rispetto alla libertà di stampa e di manifestazione del pensiero.
Sembra, infatti, che si voglia spostare l’attenzione dalla necessità di proteggere i giornalisti dalle querele abusive alla necessità di salvaguardare i querelanti e dare priorità ai loro diritti di reputazione rispetto alla libertà di espressione. Nessun progresso normativo, dunque, in merito alla tutela dei giornalisti, nonostante gli ultimi dati del Centro Italiano di Coordinamento mostrino che nel 2023 la polizia ha registrato 98 casi di intimidazioni. Numeri al ribasso, peraltro, rilevato che in molti casi si evita di denunciare.
La libertà di stampa in Italia continua ad essere minacciata da vari gruppi estremisti che compiono atti di violenza: quest’ultima è aumentata significativamente nel corso della pandemia e continua a ostacolare il lavoro dei professionisti dei media, in particolare durante le manifestazioni. L’Italia si conferma tra i Paesi in cui vengono eseguite il più alto numero di Slapp, ossia querele temerarie poste in essere da politici o imprenditori, con il solo scopo di scoraggiare il lavoro giornalistico. Tuttavia, è proprio questo il compito del diritto: ubi societas, ibi ius.
Laddove la società cambia, muta, si evolve, subentra l’esigenza di una diversa regolazione. Ecco allora che le istituzioni e, in primis, il legislatore, devono giocare un ruolo decisivo, al fine di salvaguardare la pietra angolare della democraticità, qual è la libertà di manifestazione del pensiero, nelle sue molteplici forme e dimensioni.
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