Lunedì 24 febbraio, alias una giornata di sciopero del trasporto pubblico locale, un’altra, l’ennesima dall’inizio del 2025. Aleatorio chiedersi se tale agitazione sindacale abbia colto di sorpresa. Basti considerare le motivazioni sottese all’astensione del lavoro indetta dal sindacato USB – il mancato adeguamento salariale, da un lato, e le condizioni contrattuali per il triennio 2024-2026, dall’altro – per inquadrare perfettamente la situazione; nulla di nuovo sotto il cielo d’Italia.
Giornata difficile per i trasporti
Ad incrociare le braccia sono stati i dipendenti del settore trasporti, in particolare quelli impiegati su metro, bus e tram nelle maggiori città italiane. Ventiquattro le ore di mobilitazione previste, interrotte da due fasce di garanzia, articolate secondo orari differenti da città a città.
Malgrado le agitazioni, al Nord i disagi sono stati piuttosto contenuti – sarà perché molti cittadini hanno preso per tempo le precauzioni necessarie, sarà perché la circolazione, consultata in tempo reale tramite apposite app, in molti casi è risultata regolare – eccezion fatta per la regione Piemonte, dove nella sola città di Torino i sindacati di base hanno riferito una percentuale di adesione compresa il 65 e il 70%.
Discorso analogo per il Sud: a Napoli le ripercussioni preannunciate sui mezzi ANM hanno positivamente tradito le aspettative, considerando che la linea 1 e 6 della metropolitana e le funicolari sono rimaste attive; servizio ridotto soltanto per tram, bus e filobus. A Roma, invece, la metro C è rimasta chiusa, mentre la A e la B hanno funzionato a singhiozzo.
Motivazioni e numeri
Quanto alle motivazioni della protesta, si apre qui un discorso complesso: consultando il comunicato diffuso dal sindacato USB promotore, la richiesta avanzata appare molto semplice: un vero rinnovo contrattuale, quantomeno per fronte all’aumento dell’inflazione e alle aggressioni subite quotidianamente sul luogo di lavoro. Letteralmente, “un momento per rimettere al centro due elementi imprescindibili per USB: un salario degno e la democrazia sul posto di lavoro“.
E fin qui nulla di effettivamente stravolgente. In effetti, nel solo mese di gennaio 2025 sono state messe in agenda ben 45 giornate di stop, indette per motivi analoghi per lo più da sindacati minori oppure su base locale; cifre elevate, queste ultime, che alimentano il trend dell’anno ormai archiviato. Secondo i numeri forniti dal Garante per gli scioperi, nel 2024 tutti noi siamo sopravvissuti – più o meno indenni – a 622 mobilitazioni. Sarà anche per questo motivo che lo sciopero, oramai, non fa più notizia?
In Italia gli scioperi sono molto frequenti: perché?
Non sta a noi giudicare il processo di notiziabillità dei media italiani, difatti la questione non è puntare il dito contro chi concede alle manifestazioni sindacali la stessa soglia riservata alle formazioni extraparlamentari, bensì capire perché in Italia si sciopera così tanto, in specie nel comparto dei trasporti. La risposta paradossalmente è molto semplice: il diritto di sciopero è previsto e tutelato dalla Costituzione all’articolo 40, e in quanto tale viene esercitato ogniqualvolta l’interlocutore con cui ci si relaziona – lo stesso Stato italiano – pare sordo di fronte alle criticità del lavoro quotidiano.
Proviamo a esemplificare la situazione: due persone poste su piani contigui tra loro, pur godendo di un codice comune, fanno comunque fatica a trovare un punto d’incontro, ed è così che alzano sempre più la voce nella speranza di sovrastare l’altro. Ecco, quanto detto poc’anzi non è fantascienza, è esattamente ciò che accade con la precettazione. Cosa buona e giusta sarebbe spiegare che quest’ultimo provvedimento straordinario purtroppo non estirpa affatto la radice del problema. Che sia il caso di attuare misure definitive in questo senso?
Beninteso, a onor del vero le responsabilità di cotanto limbo vanno comunque spalmate sulle stesse sigle sindacali che, nel tentativo di sbloccare definitivamente la situazione, spesso concentrano le agitazioni in archi temporali estremamente ridotti, ed in particolare alla fine della settimana lavorativa, il venerdì, alimentando così dubbi circa l’effettiva ‘bontà’ sottesa alle stesse iniziative. Alla fine, a rimetterci sono i dipendenti, le cui proteste sono tutt’altro che accolte con favore.
Vale la pena scioperare?
In definitiva, il gioco vale la candela? Ingenuamente potremmo rispondere di sì, questo perché in uno stato di diritto chiunque deve poter godere della possibilità di manifestare il proprio dissenso. Il punto sta nel trovare la modalità più conveniente per farlo, senza sovrastare diritti e libertà altrui.
Chissà se coloro che nella giornata di ieri hanno democraticamente aderito alla mozione sindacale si sono posti il problema di intralciare la strada al cammino – tutt’altro che in discesa – intrapreso da un altro diritto oggigiorno fondamentale, quello al lavoro. La risposta non è nota, ma con buona probabilità una domanda simile non rientra nemmeno nello spettro del legislatore, la cui noncuranza non fa altro che alimentare un’altra giornata di sciopero.
20250071