spot_img
Altro
    HomeGen ZL’era degli influencer: quando la messa in vetrina conta più dell’essenza

    L’era degli influencer: quando la messa in vetrina conta più dell’essenza

    Pubblicato il

    spot_img

    C’è stato un tempo in cui essere un influencer era cosa molto ambita. Ripiego o professione che sia, sta di fatto che la capacità qui sottesa – quella di catalizzare l’attenzione di milioni di utenti sui social per poi influenzarne i comportamenti – è stata sempre considerata al pari di una vocazione che, in quanto tale, risiede intrinseca nell’indole umana e dunque può essere semplicemente affinata, resa più tagliente.

    Di situazioni simili se ne possono contare a bizzeffe, difatti si tratta di un fenomeno che ha invaso profondamente ogni campo sociale. Persino quello politico, da sempre avvezzo alla logica mediatica della popolarità e dei consensi. Oggi più che mai veloci, vuoti di significato e privi di valori solidi su cui puntare.

    È bene contestualizzare quanto fin qui menzionato alla luce di alcune riflessioni di fondo che, con molta probabilità, ne consentono una maggiore e più profonda comprensione. Quella che, inevitabilmente, quasi nessuno ha più tempo e voglia di avanzare per via della vita condotta. Frenetica e senza alcun tipo di preoccupazione costruttiva.

    Gli esordi

    Milano, anni dieci del duemila: queste le coordinate spazio – temporali che, idealmente, potremmo dare all’esplosione dei tanti influencer italiani. Prima tra tutti, Chiara Ferragni, bocconiana rubata al mondo accademico da una tendenza allora nascente: creare contenuti sui social. Sponsorizzare prodotti, fregiare collaborazioni con i più svariati marchi del lifestyle, entrare a piè pari nel mondo della moda tentando di riscriverlo. Il resto, com’è noto, è storia; a ruota i tanti che possono considerarsi letteralmente suoi discepoli.

    Sebbene questi singoli episodi siano concentrati nello spazio – tempo precedentemente citato, sarebbe tuttavia sbagliato e riduttivo ricondurre l’intero macro fenomeno solamente al duemila. Il vero contesto scatenante è ben antecedente: risale al decennio compreso tra gli anni Ottanta e Novanta. Un periodo, quest’ultimo, da molti considerato emblematico dei profondi cambiamenti sociali, economici e politici che hanno completamente stravolto il nostro Paese; ultimo, ma non per importanza, gettato le basi per un presente come quello attuale.

    Già in quegli anni alcune menti pensanti avevano iniziato a dirottare i più importanti processi decisionali nelle mani di pochi. Porre superficialità e passività laddove c’erano, invece, ideali e notevoli potenzialità. Dare vita ad un vero e proprio processo involutivo della nostra natura: complice anche la televisione, fornire quel poco di visibilità sufficiente a ritenere del tutto superflua una qualsiasi preparazione, offerta dall’istruzione secondaria e terziaria.

    Qui originano i primissimi spiragli di personalizzazione e mediatizzazione della vita pubblica. Nonché quanti, in anni più recenti, hanno tentato l’interscambiabilità tra influencer e mondo politico; un’impresa, questa, fugace ma tutt’altro che salvifica. Addirittura catastrofica se intesa dal punto di vista delle molte istanze sociali che, spesso, gli influencer hanno fatto proprie per poi passarle ai partiti, pur di racimolare voti. Stiamo parlando di cause usa e getta: inevitabilmente politicizzate, sfruttate nel frangente elettorale e poi scaricate.

    Ieri le “letterine” lanciate dai varietà, oggi le beauty influencer su TikTok: persiste l’incapacità di imporre in quella che è la nostra mappa cognitiva esempi realmente edificanti, tali da insistere su di un unico punto saliente: pensare anziché credere. Non seguire passivamente la massa, bensì guidarla oppure ancora non aderirvi affatto. Restare fuori dagli schemi da tempo noti.

    Ed è così che ci fiondiamo nei negozi e nei supermercati per comprare quel pezzo unico lanciato da uno dei tanti beniamini che seguiamo religiosamente sui social. Ma non solo: spesso ripudiamo e demonizziamo la lettura e lo sforzo richiesto dallo studio, così come il pensiero critico e la quotidianità lontana dai social. Tentiamo, insomma, qualsiasi via per conformarci anche solo in minima parte a quel livello sociale che viene continuamente messo in vetrina.

    Cause e conseguenze

    Implicito immaginare cosa motivi tanti giovani a tentare una cavalcata come quella pocanzi menzionata: il successo. Un successo immediato ma non sudato, ben lontano da quegli stadi intermedi per mezzo di cui sarebbe opportuno transitare; economicamente degno di lodi, tale da permettere una vita appagante e sfarzosa. Lo stesso, peraltro, iper – esposto sfruttando ogni occasione possibile.

    Niente di così innovativo, a pensarci bene: ciascuno di noi nutre il desiderio intrinseco di apprezzamento sociale. La novità subentra con il fatto che queste considerazioni rientrano nella cosiddetta modernità liquida, priva di riferimenti e preda dell’individualismo. Qui attecchisce il consumismo estremo, nonché l’effimerità del momento di cui tanti influencer si fanno orgogliosamente paladini.

    Intuibili facilmente anche le motivazioni del successo riscosso: l’influencer appare spontaneo, indica una ribalta percorribile, apparentemente alla portata di chiunque. In un certo senso funge, dunque, come rassicurazione per i tanti giovani in preda all’instabilità del lavoro e degli studi. Da qui quelle relazioni definibili para – sociali che, agevolate dalla disintermediazione dei social, sfociano in un elevato grado di coinvolgimento emotivo. Lo stesso che ci fa rimanere incollati allo schermo alla ricerca dell’ultimo aggiornamento disponibile. E che, soprattutto, livella sempre più verso il basso ed annulla la nostra identità più profonda, il nostro essere tremendamente unici ed irripetibili.

    Si badi bene: tutto ciò non vale univocamente. Negli ultimi anni sono molti gli influencer esordienti in ambito artistico – culturale, scientifico e sociale. Ad unirli un minimo comune denominatore: l’aspetto contenutistico in primo piano. Un modello, quest’ultimo, portato avanti soprattutto dalle nuove generazioni ma destinato, nostro malgrado, a cozzare con la superficialità propinata ovunque e persino propagandata.

    Di cosa abbiamo bisogno?

    Come detto in apertura, c’è stato un tempo in cui essere un influencer era sinonimo di levatura umana ed imprenditoriale degna di nota. Oggi, invece, viviamo un presente in cui – complici i recenti scandali sopraggiunti alla cronaca – qualcosa si è rotto, senza alcuna possibilità di ritorno: pare esserci maggiore necessità di concretezza, di trasparenza e dialogo. Più qualità e meno quantità, insomma.

    Il punto importante su cui riflettere, in realtà, è un altro: abbiamo davvero bisogno di qualcuno che, con la propria opinione assolutamente parziale e limitata, ci indichi quale strada o meno percorrere? E che ci orienti non solo rispetto a questioni complesse come quelle politiche, bensì anche per quanto attiene la quotidianità lontana dai riflettori? Probabilmente sì, questo perché siamo inseriti in una comunità dove, da secoli, la vita viene condotta anche per mezzo di esempi, confronti e modelli. Da tramandare, da apprezzare e talvolta da imitare.

    Il problema subentra quando dall’orientamento si passa all’influenza vera e propria, favorendo talvolta improprie invasioni di campo che, di certo, non attengono alle proprie esperienze o competenze. Parimenti, quando la cosiddetta direzione già tracciata di cui andiamo tremendamente alla ricerca non viene più suggerita dalle istituzioni. Oppure ancora quando l’interlocutore con cui ci interfacciamo si fa beffe della buona fede in lui riposta per agire non eticamente.

    Pochi sembrano aver effettivamente colto la pericolosità di una simile dinamica: è per questo che, anziché cercare risposte e conferme nella politica, nelle istituzioni e nella scuola,ci si rivolge ad individui terzi, gli influencer. Il cui merito, molto spesso, è semplicemente quello di aver saputo cavalcare certi fatti al momento giusto, venduti poi come se fossero oro colato. Ma, in realtà, alla pari di tanti altri – parziali, frutto di visioni di breve periodo, tali da indurre conseguenze negative per via dell’emulazione da tempo dilagante.

    Il messaggio che questi ultimi vogliono far passare, “se ce l’ho fatta io puoi farcela anche tu”, è peraltro paragonabile ad un palazzo senza fondamenta: difficile da costruire ma tremendamente facile da distruggere. Questo perché nessuno di noi può effettivamente dire di essersi “fatto da solo”: persino per i più grandi della storia ci sono stati, e sempre ci saranno, fattori, incontri e dinamiche la cui pregnanza – unita alle caratteristiche personali – ha poi consentito un grado più o meno elevato di ribalta. Nella vita privata così come nel lavoro. E in questo la cultura, oltre che il contesto sociale, giocano certamente un ruolo centrale.

    A chi postula il declino degli influencer potremmo quindi rispondere che, mai come prima d’ora, servirebbero personalità cui fare appello nei momenti di crisi; una sorta di ancora di proiezione e di rappresentazione, solida e autorevole. Detto in termini spiccioli, influencer con una comprovata esperienza di vita, nonché ideali e valori tali da porsi come riferimenti collettivi.

    Ma una svolta di questo tipo si potrà ottenere soltanto quando le istituzioni smetteranno di intendere il pensiero critico come rischio sociale da rimpiazzare con la vacuità tendente al mantenimento dello status quo.

    Articoli recenti

    Manovra 2026, maggioranza spaccata: tensioni su tasse e banche

    Il 17 ottobre 2025, il Consiglio dei Ministri ha approvato la bozza della Legge...

    Il Sole 24 Ore sciopera: nel mirino un’intervista a Giorgia Meloni

    La testata economica Il Sole 24 Ore ha proclamato uno sciopero di 5 giorni...

    Un suicidio ogni cinque giorni: l’emergenza silenziosa nelle carceri

    Quello delle morti nelle carceri italiane è un problema sistematico che sembra quasi invisibile.I...

    Sesta emissione del BTP Valore al via da domani: occasione da non perdere?

    Prenderà il via nella giornata di domani la sesta emissione del BTP Valore, il...