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    “Liberiamoci”: il gioco come strumento di educazione civica

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    Il 5 settembre 2019 è entrata ufficialmente in vigore la legge con cui è stato reintrodotto l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado. Il Ministero, nelle Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, afferma che si tratta di una materia trasversale con voto autonomo; quindi, questo insegnamento deve svolgersi in contitolarità, durante le ore di altre materie con le quali è possibile rinvenire una coincidenza di argomenti (es: storia, italiano, geografia). In totale, alla materia novella devono essere dedicate non meno di 33 ore per ciascun anno scolastico. 

    L’educazione scolastica è chiamata ancora una volta ad assecondare strategie e strumenti didattici personalizzabili, ma anche ripensare i modelli di apprendimento, renderli più incisivi ed efficaci, considerando l’esiguità delle ore dedicate alla formazione civica dei più giovani, le sfide della società odierna, denotata da cambiamenti repentini e complessità crescente, e senza tralasciare le peculiarità sociali delle nuove generazioni. 

    “Ciò che per il bambino è gioco per l’adulto è arte” 

    Ed è forse al passato che bisogna rivolgersi per recuperare gli strumenti del futuro: uno dei primi a credere nella ludicizzazione dell’educazione fu François Fénelon (1651-1715), il quale nella sua opera “L’educazione delle giovinette”, osservava come l’esperienza ludica risultasse più incisiva nello studio di materie complesse, per i processi di apprendimento. 

    Dalla metà del ’700 vennero pubblicati diverse opere sulla didattica ludica, come “Il nuovo metodo per rendere amabile, l’odiato aspetto della scuola” o “L’educazione dell’uomo e altri scritti”, nel quale l’autore, sconfessando l’idea del gioco inteso come semplice attività ricreativa, affermava l’importanza dell’esperienza ludica nei processi di conoscenza delle forme dell’universo. 

    E poi ancora, le indagini delle sorelle Agazzi di fine 800’ provarono la capacità del giuoco di stimolare l’apprendimento, favorire la socializzazione, l’autonomia, la cooperazione e il senso di rispetto per l’altro. Infine, John Deweyw e Maria Montessori, traendo spunto dall’impostazione tardo ottocentesca, approfondirono le tecniche per l’introduzione del bambino al mondo del lavoro e giunsero ad una verità incontrovertibile: il gioco è l’attività più propizia allo sviluppo fisico, mentale ed intellettuale dei bimbi, permette loro di entrare in contatto con il mondo reale, ma in maniera spontanea. Inoltre, attraverso l’esperienza ludica, i bambini imparano ad esplorare il mondo e i suoi meccanismi in autonomia e libertà, diventando veri protagonisti della loro educazione

    Non chiamatela attività inutile 

    In una società digitale, dove tutto risulta connesso e prossimo, i più recenti studi di pedagogia comportamentale di Rosa Cera dimostrano come l’attività ludica costituisce strumento essenziale per favorire la costruzione di cultura e intercultura; nonché agevolare lo sviluppo cognitivo, socio-affettivo e lo sviluppo di competenze relazionali e metacomunicative. Ma il gioco è anche un’attività persistente e continuata che accompagna l’intera esistenza umana per cui si può parlare con Huizinga di ‘homo semper ludens’. In altre parole, il gioco non è soltanto una prerogativa precipua dei bambini: giocano i grandi come i piccoli, anche se con modalità e finalità diverse, giocano gli animali assecondando il loro istinto naturale. 

    Il gioco, sia negli animali che nell’uomo, fornisce all’organismo gli stimoli necessari per lo sviluppo del sistema nervoso, conserva e rinnova le attività acquisite, libera da emozioni negative e potenzialmente pericolose, prepara i sentimenti della solidarietà sociale. Di questo avviso è anche l’analisi condotta attraverso l’osservazione del comportamento di cuccioli di scimmia del Bruner, il quale sostiene che le attività ludiche contribuiscono allo sviluppo di capacità di analisi e pensiero critico. 

    Secondo il pedagogo, infatti, i comportamenti e le strategie nate all’interno di attività ludiche possono poi essere attuate nella vita reale rendendo quel comportamento più efficace. Insomma, il gioco favorisce lo sviluppo unitario della personalità umana, del pensiero, della creatività infantile, nonché la capacità di conoscere sé e riscoprire gli altri e non va affatto confusa con una forma di ‘perdita di tempo’.

    Gli studi di game based learning 

    Il game based learning – GBL – è una strategia didattica che utilizza il gioco per insegnare uno specifico contenuto o per raggiungere un determinato risultato di apprendimento. Per “apprendimento” non si intende solo l’acquisizione di competenze scolastiche, ma di un vero e proprio cambiamento prodotto dalla comprensione di un concetto nuovo. ll principio cardine di questa metodologia è quella di usare il potere motivazionale e coinvolgente del gioco per avere un risultato migliore in termini di apprendimento. 

    Tale metodologia didattica trae fondamento e vigore dallo studio di R. Mayer, secondo cui gli ambienti educativi che rendono gli studenti protagonisti attivi facilitano la costruzione della loro conoscenza. L’apprendimento, infatti, non ha semplicemente a che fare con il ricordare, ma coinvolge anche la comprensione, l’analisi e la valutazione. Di conseguenza, l’uso del gioco aumenta le possibilità di successo dell’apprendimento e incrementa la motivazione negli studenti, i quali acquisiscono maggiore motivazione, e diventano più propensi e concentrati di fronte a temi e argomenti complessi e sensibili. 

    È opportuno fare però una precisazione: l’attività che propone il GBL non è un’attività ludica, bensì ludiforme. In tal modo viene descritta un’attività che si connota per essere impegnativa, continuativa, progressiva e finita. Quest’ultima caratteristica è proprio ciò che differenzia l’attività ludica da quella ludiforme, nella quale il fine del gioco non corrisponde alla fine del gioco, bensì all’apprendimento

    “Liberiamoci”: il coraggio della paura 

    Un esempio di gioco-progetto ludiforme, sviluppato sulla base degli studi di game based learning, è “Liberiamoci” dell’abruzzese Umberto Marchetti, classe 1997. Il progetto è risultato vincitore del premio PlayChange 2025, nella categoria miglior progetto ludico come portatore di cambiamento sociale. Un riconoscimento promosso dal Game Scienze Research Center e da GIX, Centro di ricerca sui giochi per il cambiamento sociale, con l’obiettivo di premiare quei giochi che generano impatto positivo nella società. 

    L’idea progettuale nasce dopo aver frequentato il Laboratorio “Design della comunicazione” presso l’Università di Venezia, durante il quale il progetto ha assunto un taglio socialmente impegnato: esso è diventato un “laboratorio ludico”, ossia un game il cui obiettivo principale sarebbe quello di riscrivere la storia della mafia e del senso civico, attraverso l’utilizzo di giochi di ruolo, ma anche riuscire a tradurre il linguaggio tecnico-giuridico in un idioma maggiormente comprensibile. Grazie anche al coinvolgimento dell’associazione nazionale “Libera: associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, oggi il progetto di Umberto rappresenta un seme di speranza per l’apprendimento dell’educazione civica. 

    È sempre una questione di scelte 

    “Liberiamoci” permette a tutti i gamers di interpretare il ruolo del buono e del cattivo insieme. A differenza di alcune trasposizioni cinematografiche, non è un progetto che enfatizza la mafia e l’atteggiamento mafioso; al contrario, rende consapevoli i giocatori dei comportamenti carichi di disvalore, che un associato realizzerebbe di fronte alle situazioni quotidiane, vissute dai giocatori in base alle flash-card estratte. 

    L’eroe qui non è il mafioso potente e avido di denaro, ma l’uomo comune che ogni giorno, di fronte le scelte quotidiane, dice no all’atteggiamento omertoso, all’indifferenza e alla paura. Il gioco, si articola in prologo, cinque atti ed epilogo. Ogni giocatore, ad inizio gioco, pesca una carta, la quale indica il personaggio che si appresterà a impersonificare durante la partita. Scopo del gioco è raggiungere il sogno del proprio personaggio, indicato nella carta e attuare tutte le azioni necessarie a tal fine. 

    La mafia, che ciascun giocatore deve affrontare o sostenere, agisce attraverso flash-card di colore nero. Arrivati all’epilogo, il Master pone la domanda finale: “Avete raggiunto il vostro sogno? E in che modo?”. I giocatori, a turno, racconteranno il loro percorso. Qui si apre il senso pedagogico: il giocatore durante il suo viaggio avrà capito che spesso la mafia sembra rappresentare la strada più veloce per raggiungere i propri interessi, ma al prezzo di corrompere se stessi, o peggio, perdersi del tutto. 

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