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    Collaboratori di giustizia: il caso Brusca e la fine dei 4 anni di libertà vigilata

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    Giovanni Brusca è stato ritenuto responsabile per la partecipazione a numerosi omicidi e attentati, tra cui le stragi di Capaci e Via D’Amelio, nonché per il rapimento e la morte del piccolo Giuseppe di Matteo. Dopo il suo arresto, ha attivamente cooperato con la giustizia ed è entrato a far parte del programma di protezione riservato ai collaboratori.

    La figura del collaboratore di giustizia

    La figura del collaboratore di giustizia è stata istituita con il d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla l. 15 marzo 1991 n. 82: si tratta di un soggetto organico a un sodalizio criminale che, per varie ragioni, decide di dissociarsi fornendo all’Autorità Giudiziaria informazioni utili sulla struttura dell’organizzazione criminale e sui fatti di reato commessi dai suoi affiliati.

    La collaborazione con la giustizia rappresenta, quindi, uno strumento determinante attraverso il quale l’Autorità Giudiziaria riesce a conoscere i sistemi criminali dall’interno e a individuare i mezzi e i metodi più adeguati a contrastarli, una sorta di cuneo indispensabile per penetrare gli ambiti di azione delinquenziale e affinare le abilità di investigazione e di lotta alla criminalità organizzata.

    A livello pratico, l’art. 16-quater d.l. 8/1991 prevede che la persona che ha manifestato la volontà di collaborare renda al procuratore della Repubblica, entro il termine di centottanta giorni dalla suddetta manifestazione di volontà, tutte le notizie in suo possesso utili alla ricostruzione dei fatti e delle circostanze sui quali è interrogato.

    Oltre a tali notizie, può altresì riferire in merito ad altri fatti di maggiore gravità ed allarme sociale di sia a conoscenza, oltre che fornire elementi per l’individuazione e la cattura dei loro autori ed altresì le informazioni necessarie perché possa procedersi alla individuazione, al sequestro e alla confisca del denaro, dei beni e di ogni altra utilità dei quali essa stessa o, con riferimento ai dati a sua conoscenza, altri appartenenti a gruppi criminali dispongono direttamente o indirettamente.

    Collaborazione con la giustizia

    La collaborazione con la giustizia, così come previsto dal successivo art. 16-quinquies, prevede che le circostanze attenuanti che il codice penale e le disposizioni speciali prevedono in materia di collaborazione, relativa ai delitti di cui all’articolo 9, comma 2, possono essere concesse soltanto a coloro che, entro il termine di cui al comma 1 dell’articolo 16-quater, hanno sottoscritto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione previsto dal medesimo articolo 16-quater.

    La collaborazione con la giustizia comporta, infatti, una consistente ed incisiva modifica del trattamento sanzionatorio in quanto, come evidenziato dall’art. 416-bis 1 c.p.: «per i delitti di cui all’articolo 416-bis e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, nei confronti dell’imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà. Nei casi previsti dal terzo comma non si applicano le disposizioni di cui al primo e secondo comma».

    Dunque, il collaboratore di giustizia può ottenere un trattamento sanzionatorio decisamente più mite, la non applicabilità del regime del carcere duro, nonché l’accesso ai benefici penitenziari ed al programma di protezione.

    Libertà vigilata 

    Come riportato da numerosi quotidiani, dopo aver scontato 25 anni di carcere, Giovanni Brusca è stato scarcerato nel 2021 e gli è stata applicata la misura della libertà vigilata. Si tratta di una misura di sicurezza personale non detentiva, ordinata dal magistrato di sorveglianza nei casi stabiliti dalla legge, statisticamente più importante poiché il suo ambito applicativo è generalizzato, essendo essa applicabile a soggetti imputabili, non imputabili e semi-imputabili e spesso anche in alternativa con le altre misure detentive, in una vasta gamma di casi (art. 229-230 c.p.).

    Alla persona in stato di libertà vigilata il giudice impone, ed eventualmente modifica, obblighi di condotta idonei ad evitare o limitare le occasioni di commissione di nuovi reati. La sorveglianza della condotta e del rispetto di tali obblighi da parte del libero vigilato è affidata all’autorità di pubblica sicurezza e deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale.

    Nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata, l’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) svolge interventi di sostegno e di assistenza al fine del loro reinserimento sociale. La libertà vigilata non può avere durata inferiore a un anno.

    Il caso di Giovanni Brusca

    In caso di trasgressione degli obblighi imposti, il magistrato di sorveglianza può aggiungere alla misura la cauzione di buona condotta o, in alcuni particolari casi, sostituire la libertà vigilata l’assegnazione ad una colonia agricola, o ad una casa di lavoro (art. 230 c.p.).

    Nei confronti di Giovanni Brusca la libertà vigilata era stata disposta per un periodo di 4 anni che sono scaduti alla fine di maggio di quest’anno. L’ex boss di Cosa Nostra continuerà a vivere lontano dalla Sicilia sotto falsa identità e resterà sottoposto al programma di protezione.

    Dell’Avvocato Francesco Martin

    20250216

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