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    Lo sguardo della Generazione z: ho troppo da dire, quindi resto in silenzio

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    Non solo apatici e sfuggenti al dialogo, ma immobili, quasi assenti, prede di pensieri tanto proibitivi da non trovare interlocutori. Racchiusi entro una bolla autodefinita, tutt’al più senza apparente motivo. Queste – e molte altre – le considerazioni che aleggiano attorno al cosiddetto “Gen Z stare”, letteralmente lo sguardo della Generazione Z. In un mondo in cui tutto è comunicazione, molto più di una semplice e ridondante tendenza nata sui social. Ma cosa si cela dietro questo fenomeno? 

    Il fenomeno esploso sui social

    Sguardo fisso, espressione neutra, apparentemente impassibile, come se non ci fosse alcunché da dire e, dunque, da condividere: questi gli elementi comuni ai tanti video postati negli ultimi mesi dai più giovani su TikTok. Una tendenza esplosa sui social e, successivamente, diventata “virale” anche nella vita quotidiana, una sorta di prassi comune perfino nelle più strette cerchie di amicizie; letteralmente, riprendendo il titolo di uno di questi contenuti, “the Gen Z  stare is so real”. 

    Tutto è cominciato ormai un anno fa, nel luglio 2024, con un video di Meghan Alessi, un’occasione come tante altre per criticare la modalità di interazione sfruttata dai colleghi più giovani: “Io giuro, ogni volta che sono in giro e parlo con un lavoratore della Generazione Z, lui non fa altro che stare a fissarmi”.

    Essendo TikTok una piattaforma che vive di interazioni, sbagliato pensare all’ennesimo contenuto piatto e impopolare, penalizzato dall’algoritmo; proprio queste stesse parole, di lì a poco, hanno attirato l’attenzione di giovani e meno giovani, tra preoccupazioni e incredulità. Più di 500 i commenti scaturiti, oltre 160 i salvataggi effettuati. 

    Perché si parla di tendenza di successo

    L’effetto moltiplicatore garantito dalla rete ha avuto talmente tanto successo che, a partire dal mese di aprile, l’espressione “Gen Z stare” è stata ricercata e usata con frequenza sempre maggiore, finendo addirittura sui principali giornali anglosassoni. Di qui i molti analisti e giornalisti che hanno tentato di interpretare questo fenomeno, cercando di spiegare la ragione del suo successo. Il motivo è uno solo: l’alone di mistero misto ad inquietudine funziona, riuscendo ad arrivare laddove le parole talvolta risultano vane. 

    Il linguaggio verbale e non verbale tra online e offline

    Sia chiaro, non è di certo un utente comune a dover spiegare al mondo – civile o accademico che sia – perché un silenzio valga più di mille parole, né tantomeno quante emozioni differenti possa comunicare una singola espressione facciale. L’elemento su cui riflettere è un altro: il silenzio come messaggio, un atto consapevole e volontario che sottende un significato complesso, il netto rifiuto delle tante parole che ci circondano.

    Affermazioni taglienti e che – in mancanza di una conoscenza approfondita della storia personale – rischiano di testimoniare un’identità che nulla ha a che fare con quella effettiva. La stessa che, meticolosamente, giorno dopo giorno, abbiamo imparato a costruire online, tra filtri, angolazioni e modificazioni continue, nella speranza di avvicinarsi a un dato ideale perennemente irraggiungibile. 

    Il bisogno di autenticità 

    Di qui la svolta: coloro che finora sono state prede della spettacolarizzazione, oggi la rifiutano mostrando distacco e disaffezione, ma anche restando in silenzio di fronte a tutto ciò che non appartiene alla loro visione del mondo. Un nuovo linguaggio a cui, complice la frenesia della quotidianità, non siamo affatto abituati. Ad essere oggetto di dibattito non è l’incapacità di comunicare il proprio dissenso o la mancanza di emozioni, bensì l’insofferenza rispetto agli schemi sociali da cui spesso discendono “copioni” e “parti” da recitare. 

    Improvvisamente, cessa di esistere anche il parallelo tra online e offline: mentre nel digitale sussiste uno standard da mantenere – la perfezione a tutti i costi – nel mondo reale cadono le maschere ed entra in scena la vera personalità. Una vera e propria rivoluzione copernicana per una generazione nata, cresciuta e vissuta all’insegna di condivisioni, scatti continui, live e commenti. 

    Volendo sintetizzare la vera motivazione sottesa a tutto ciò potremmo parlare di un impellente bisogno di autenticità, ma in realtà esiste molto di più. Ogni giorno, tutti noi veniamo letteralmente bombardati da stimoli che non abbiamo il tempo di elaborare. Mentre il mondo impone scelte e passi obbligati, ma anche parole e comportamenti prestabiliti, noi non riusciamo nemmeno a fare ordine nel caos che ci anima. Ed è così che restiamo fermi, inespressivi, in silenzio, nella speranza di attirare l’attenzione di quei pochi osservatori attenti rimasti.

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