L’introduzione dell’Euro, la stabilità dei prezzi dello scorso decennio e la bassa crescita economica ci hanno consegnato all’illusione che associare l’inflazione ad un rischio concreto fosse anacronistico. Ma è bastato poco perché tutto mutasse rendendo l’inflazione un incubo per i portafogli di milioni di famiglie e consumatori.
Per molti anni, sin dall’introduzione della moneta unica, il concetto di inflazione è stato relegato ai manuali di macroeconomia, un indicatore macroeconomico utile ai burocrati delle banche centrali per orientare le scelte di politica monetaria da adottare. Negli ultimi anni, però, abbiamo assistito ad un mutamento di prospettiva repentino.
Inflazione: a cosa ci si riferisce
La ripresa dell’economia del post pandemia Covid, con una domanda di beni e servizi molto sostenuta, la contrazione sul lato dell’offerta di beni e servizi (frutto di un irrigidimento e di un mutamento delle catene di approvvigionamento globali – basti pensare ai semiconduttori) e la guerra in Ucraina, con il conseguente stop alle importazioni energetiche a basso costo di gas e greggio russo, hanno riportato in auge una parola che oggi grava enormemente sul bilancio di famiglie ed individui: l’inflazione.
L’inflazione rappresenta un aumento del livello generale dei prezzi in modo duraturo e si traduce in una perdita del potere di acquisto della nostra moneta. Tale aumento si misura considerando un paniere di beni e servizi aggiornato periodicamente, rispondendo a quelle che sono le preferenze dei consumatori.
Avere un aumento moderato dei prezzi è da considerarsi sintomatico di un’economia dinamica, che cresce.
La BCE fissa nel 2% un tasso di inflazione target sostenibile ed auspicabile, tanto da orientare le proprie scelte di politica monetaria (aumento e riduzione dei tassi di interesse) in funzione di tale obiettivo.
Ma qual è l’origine dell’inflazione?
Sono diverse le cause che possono generare inflazione e vengono clusterizzate per macrocategorie: inflazione da domanda; da costi; da moneta e da aspettative. Non si parla di cause rigidamente divise ed indipendenti: nella realtà queste si mescolano, sono interdipendenti o talvolta sono una conseguenza dell’altra.
Il principale driver che muove l’inflazione da domanda è il livello di consumi, sia pubblici che privati: un aumento della spesa, infatti, provoca un aumento sul lato della domanda di beni e servizi che, se non compensata da un adeguato aumento sul lato dell’offerta, sfocia in un eccesso di domanda. L’allocazione dei beni e servizi offerti avviene solo per quella domanda che offre un “prezzo” più alto.
Nel caso di inflazione da costi, invece, la riorganizzazione delle catene di approvvigionamento globali, le tensioni geopolitiche e l’aumento del costo delle materie prime o del lavoro, provocano un aumento dei costi di produzione per le imprese. Queste ultime son costrette ad aumentare i prezzi di vendita per mantenere costante il margine di profitto.
Un meccanismo analogo avviene con l’ammontare di moneta in circolazione: un eccesso di moneta in circolazione dovuto ad una politica monetaria espansiva (con tassi di interesse fissati dalla BCE particolarmente bassi) ed una crescita dell’economia reale limitata in termini di produzione di beni e servizi conduce a pressioni inflazionistiche e viceversa.
Ultima ma non per importanza è l’inflazione da aspettative che si può sinteticamente riassumere con l’espressione “profezia che si autoavvera” e si realizza allorquando i produttori, temendo un aumento dei prezzi a monte nei mercati di approvvigionamento, aumentano a valle i prezzi per preservare i loro margini.
Inflazione e… risparmi
L’inflazione è il principale nemico dei risparmi depositati sui conti correnti: i risparmiatori vedono eroso il valore reale dei propri risparmi, di qui la necessità di trovare soluzioni di investimento che consentano di preservare tale valore. Il rendimento reale di un investimento si misura, infatti, come differenza tra interesse nominale corrisposto e tasso di inflazione.
Ma l’inflazione colpisce in modo asimmetrico anche debitori e creditori: se da un lato il debitore di una certa somma di denaro da restituire – per semplicità si ipotizzi senza alcun interesse – negli anni si giova di una reale riduzione del valore del proprio debito, il creditore dovrà incassare quella certa somma nominale ma potrà acquistare meno beni e servizi.
A livello macroeconomico, si riscontra anche una correlazione inversa tra disoccupazione ed inflazione: con una disoccupazione bassa e difficoltà nel reperire il fattore produttivo lavoro, le imprese tendono a pagare salari più alti, innescando l’inflazione da domanda. Questa interessante relazione è descritta dalla cosiddetta Curva di Phillips.
Il ruolo dell’Euro dopo il “divorzio”
Appare immediato capire quali potessero essere le leve monetarie che negli anni ‘70 la Banca d’Italia poteva azionare per ridurre il valore (reale) dell’enorme mole di debito pubblico che si accumulava oltre che per rilanciare l’economia italiana: immettere sempre più moneta in circolazione acquistando titoli di debito emessi dal Tesoro e rimasti invenduti, provocando una svalutazione della moneta e tenendo sotto controllo la spesa per interessi sul debito. La svalutazione della Lira sarebbe stata funzionale a favorire le esportazioni italiane (svalutazioni competitive) ed anche a ridurre il valore reale del debito. La conseguenza? Un’inflazione galoppante che avrebbe reso vulnerabile qualunque economia.
Nel 1981 si è consumato il celebre “divorzio” con la Banca d’Italia che smise di acquistare i titoli di Stato.
L’Euro, introdotto per la prima volta a partire dal 2002, è stata la scommessa più ambiziosa del progetto europeo. Nasce con l’obiettivo di garantire stabilità e credibilità internazionale, proteggendo i paesi membri da svalutazioni competitive e da crisi valutarie come quelle che, negli anni ’90, hanno preso di mira la Lira. Oggi rappresenta una delle tre principali valute globali, insieme a Dollaro e Yuan. Nonostante ciò, la moneta unica non è stata immune alla svalutazione: dal 2002 ad oggi, infatti, l’Euro ha perso circa 1/3 del suo valore originario (basti pensare che €100 del 2002 avrebbero lo stesso potere d’acquisto di €150 circa di oggi) registrando un’inflazione media intorno al 2% annua.
Occorre inoltre approfondire una differenza terminologica e concettuale il cui confine appare sin troppo labile: la differenza tra disinflazione e deflazione.
Per disinflazione intendiamo un rallentamento/raffreddamento della dinamica di aumento dei prezzi (ciò non significa che il livello dei prezzi scenda, ma che aumenti più lentamente). Ricordiamo, come sottolineato sin da subito, che l’inflazione rappresenta un innalzamento duraturo del livello dei prezzi.
Ma veniamo al fenomeno contrario…
Al contrario, la deflazione rappresenta una riduzione del livello dei prezzi.
A primo impatto potrebbe apparire un concetto dall’indubbio appeal per un consumatore tipo. In realtà, è uno dei fenomeni economici più pericolosi. Quando i prezzi scendono, famiglie e imprese rinviano gli acquisti in attesa di ulteriori ribassi, rallentando la produzione e gli investimenti.
Le aziende, di conseguenza, vedono contrarsi i propri margini e, per farvi fronte, riducono salari e occupazione, innescando una spirale recessiva di ulteriore contrazione di consumi ed investimenti difficile da invertire.
Il debito diviene sempre più insostenibile, perché il valore reale delle somme da restituire aumenta, rendendo estremamente vulnerabili stati come l’Italia. Per questo le banche centrali come la BCE considerano la deflazione una minaccia maggiore di un’inflazione elevata ed intervengono con politiche espansive per rivitalizzare l’economia.
Concludendo
L’inflazione è più di un semplice indicatore statistico: è la misura della fiducia in una valuta, quindi nell’economia di una nazione o di un’intera area valutaria. La storia recente ha insegnato che non basta solo avere una valuta forte per essere immuni da fiammate inflazionistiche per cui le varie banche centrali rivestono un ruolo cruciale nel saper leggere ed interpretare segnali provenienti dall’economia reale.
Il timing con cui certe decisioni vengono adottate dai policy maker avrà un effetto diretto su portafogli e risparmi di milioni di cittadini.
20250420

