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    L’utilizzo dell’IA nell’attività forense: nuovi obblighi informativi per gli avvocati

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    L’evoluzione tecnologica e la crescente integrazione dell’intelligenza artificiale nei processi decisionali e redazionali dell’attività forense hanno imposto al legislatore e agli organi di autogoverno dell’avvocatura una riflessione sulla necessità di garantire trasparenza e tutela dell’assistito. 

    Con l’introduzione del nuovo obbligo informativo sull’utilizzo dell’IA realizzata dal Consiglio nazionale forense, disciplinato dalla legge n. 132/2025 (art. 13, comma 2), il sistema deontologico si adegua a uno scenario professionale in profonda trasformazione, nel quale la tecnologia assume un ruolo sempre più rilevante ma al contempo suscettibile di incidere sui diritti fondamentali della persona e sulla qualità della prestazione legale.

    IL CONTESTO TECNOLOGICO E GIURIDICO 

    Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale ha progressivamente trasformato il panorama delle professioni, introducendo strumenti capaci di incidere in modo significativo sui processi decisionali, sull’organizzazione del lavoro e sull’elaborazione delle informazioni. Il settore legale non è rimasto immune da tale evoluzione: la crescente diffusione di piattaforme di supporto alla consulenza ha modificato la tradizionale concezione dell’attività forense, aprendo a diverse opportunità ma anche mettendo in luce nuove criticità

    L’uso dell’IA nel diritto, infatti, si colloca in un terreno delicato, nel quale la tecnologia incontra il principio di autonomia del giudizio professionale e il rapporto fiduciario tra avvocato e cliente. Se da un lato gli strumenti di intelligenza artificiale consentono di aumentare l’efficienza, la velocità e la precisione nella gestione dei casi, dall’altro pongono interrogativi di rilievo in merito alla trasparenza degli algoritmi, alla tutela dei dati personali e alla responsabilità dell’operatore giuridico per gli esiti dell’attività assistita da software. 

    Questa evoluzione tecnologica ha sollecitato un intervento normativo e deontologico mirato a garantire che l’impiego di tali strumenti resti compatibile con i principi fondamentali della professione legale, ovvero indipendenza, competenza, lealtà, riservatezza e correttezza verso il cliente. Da qui nasce l’introduzione, con la Legge n. 132 del 2025 (art. 13, comma 2), del nuovo obbligo di informativa sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’esercizio dell’attività forense.

    L’OBBLIGO DI INFORMATIVA SULL’UTILIZZO DELL’IA 

    La disposizione rappresenta la risposta del legislatore italiano a un’esigenza di trasparenza tecnologica che attraversa ormai tutti gli ordinamenti europei, in linea con i principi sanciti dal Regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale (AI Act) e con la più ampia cornice dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU e dalla Carta di Nizza. Il legislatore ha riconosciuto che la fiducia del cliente nel proprio difensore non può prescindere dalla consapevolezza degli strumenti utilizzati nella gestione del mandato, soprattutto quando tali strumenti si basano su processi automatizzati o su analisi algoritmiche non sempre comprensibili all’utente finale. 

    In questa prospettiva, il nuovo obbligo informativo si configura non come un mero adempimento formale, ma come una misura di garanzia sostanziale che serve a preservare l’autonomia del giudizio dell’avvocato, a rafforzare la tutela della persona assistita e a favorire un uso etico, controllato e consapevole dell’intelligenza artificiale

    L’obiettivo non è frenare l’innovazione, bensì governarla giuridicamente, affinché la tecnologia diventi uno strumento al servizio della giustizia e non una minaccia alla sua equità o alla dignità della professione forense. 

    RAPPORTI CON IL QUADRO NORMATIVO EUROPEO 

    L’introduzione, con la Legge n. 132 del 2025, dell’obbligo per l’avvocato di informare il cliente circa l’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale si colloca all’interno di un contesto normativo europeo già fortemente orientato alla regolamentazione etica e giuridica delle tecnologie algoritmiche

    Tale disposizione non nasce in modo isolato, ma si inserisce nel percorso di armonizzazione sovranazionale tracciato dal legislatore dell’Unione europea e fondato su alcuni principi cardine: trasparenza, accountability, tutela dei dati personali e controllo umano delle decisioni automatizzate. Il primo riferimento di rilievo è rappresentato dal Regolamento (UE) sull’Intelligenza Artificiale (AI Act), approvato nel 2024 e destinato ad applicarsi progressivamente nei Paesi membri a partire dal 2026. 

    L’AI Act introduce una disciplina organica sull’uso dell’intelligenza artificiale, classificando i sistemi in base al livello di rischio (minimo, limitato, alto e inaccettabile) e imponendo, per le applicazioni “ad alto rischio”, obblighi di trasparenza, tracciabilità e supervisione umana

    Accanto all’AI Act, rileva anche il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), che impone specifici obblighi in materia di trasparenza, minimizzazione e liceità del trattamento dei dati personali. L’utilizzo di strumenti di IA nell’ambito dell’attività legale implica spesso l’elaborazione di dati giudiziari o sensibili; di conseguenza, l’avvocato deve garantire che tali trattamenti avvengano nel rispetto delle norme sulla privacy e che il cliente sia informato non solo dell’uso dell’IA, ma anche dei rischi connessi alla conservazione e alla profilazione automatizzata dei propri dati. 

    COSA DEVE CONTENERE L’INFORMATIVA

    L’obbligo introdotto dalla Legge n. 132 del 2025 non si limita a un mero adempimento formale, ma impone all’avvocato di fornire al cliente un’informazione chiara, completa e comprensibile sull’eventuale impiego di strumenti di intelligenza artificiale nello svolgimento dell’incarico professionale. Il contenuto dell’informativa deve essere calibrato in base alla tipologia di attività svolta e alla natura delle tecnologie utilizzate, ma può individuarsi una struttura minima conforme ai principi di trasparenza, correttezza e consenso informato. 

    L’avvocato deve indicare se, e in quale fase dell’attività, intende avvalersi di sistemi basati su intelligenza artificiale — ad esempio software di analisi giurisprudenziale, redazione automatizzata di atti, piattaforme di gestione documentale o strumenti di ricerca predittiva. 

    È necessario precisare la funzione concreta dello strumento e, soprattutto, chiarire che l’uso dell’IA non sostituisce, né può sostituire, l’opera dell’avvocato, che rimane una prestazione intellettuale e personale fondata su capacità critica, valutazione giuridica e autonomia di giudizio. In tal senso, l’intelligenza artificiale rappresenta un mezzo di supporto tecnico all’attività del professionista, non un sostituto della sua competenza o responsabilità.

    PROFILI CRITICI RILEVATI DALLA CLASSE FORENSE

    L’introduzione dell’obbligo di informare il cliente sull’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale, previsto dall’art. 13, comma 2, della Legge n. 132/2025, ha suscitato un ampio dibattito all’interno dell’avvocatura, tra chi ne riconosce la portata innovativa in chiave di trasparenza e chi, al contrario, teme un aggravio burocratico e un possibile fraintendimento del ruolo dell’avvocato nell’era digitale. 

    Il Movimento Forense ne ha già suscitato forti perplessità ritenendola “confusionaria e, per certi versi, svalutante per l’Avvocatura, laddove pretende di assicurare il rapporto fiduciario tra professionista e cliente, quasi che tale fiducia non fosse già garantita dagli obblighi deontologici che fondano la professione forense.” 

    In definitiva, è stato osservato che la norma omette di considerare la dimensione etica, culturale e deontologica che connota l’esercizio della professione forense. L’obbligo informativo, così come formulato, rischia di ridursi a un mero adempimento burocratico, svuotato del suo significato più profondo. 

    Nella tradizione dell’Avvocatura, infatti, l’informazione al cliente non rappresenta soltanto un dovere formale, ma costituisce il presupposto del rapporto fiduciario che legittima l’attività difensiva. Trascurare questo aspetto equivale a disconoscere la funzione sociale dell’avvocato quale garante dei diritti e mediatore tra il cittadino e l’ordinamento giuridico, nonché a indebolire quella responsabilità professionale che affonda le sue radici in un’etica del dialogo, della trasparenza e della lealtà.

    CONCLUSIONI

    Il confronto tra la consapevolezza etica e culturale, che da sempre sorregge la professione forense, e l’introduzione dell’intelligenza artificiale pongono una sfida cruciale per il futuro dell’Avvocatura. L’innovazione tecnologica, sebbene offra strumenti capaci di incrementare l’efficienza e l’accuratezza dell’attività difensiva, non può e non deve sostituirsi al pensiero critico, al giudizio umano e alla sensibilità etica che costituiscono il nucleo identitario della funzione dell’avvocato. 

    L’evoluzione normativa dovrebbe dunque ispirarsi a un equilibrio virtuoso, in cui l’uso dell’intelligenza artificiale sia integrato in modo consapevole e responsabile, quale supporto e non sostituto dell’attività professionale. 

    Solo mantenendo salda la centralità della persona, del rapporto fiduciario con il cliente e dei principi deontologici, sarà possibile coniugare progresso tecnologico e tutela dei valori fondanti della giustizia. In tale prospettiva, l’Avvocatura è chiamata non solo ad adattarsi al cambiamento, ma anche a guidarlo, preservando la dimensione umana e culturale che rappresenta il cuore autentico dell’attività difensiva.

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