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    Meta, stop alle sponsorizzazioni politiche: un terremoto per la democrazia digitale?

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    Meta blocca le inserzioni politiche in Europa: una mossa che scuote la comunicazione elettorale e mette alla prova il nuovo regolamento UE sulla trasparenza. 

    Dietro la decisione, presentata come un adeguamento tecnico, si nasconde in realtà una frattura politica profonda che potrebbe portare a degli squilibri evidenti sul piano della comunicazione social.

    Un contesto europeo sempre più regolato

    La decisione di Meta di sospendere da ottobre 2025 ogni forma di inserzione a pagamento legata a politica, elezioni o temi sociali su Facebook e Instagram non è un fulmine a ciel sereno ma è la conseguenza dell’entrata in vigore del Regolamento UE 2024/900, meglio noto come Transparency and Targeting of Political Advertising (TTPA), che prevede l’obbligo di etichettare chiaramente gli annunci politici, identificare i finanziatori, depositare le inserzioni in un archivio pubblico europeo e vietare il micro-targeting basato su dati sensibili e sui minori

    Nell’atto pratico, la nuova normativa non bandisce la pubblicità politica ma impone condizioni stringenti per la trasparenza.

    Per Meta le prescrizioni imposte sarebbero troppo onerose, per cui l’azienda ha dichiarato che preferisce ritirarsi da questo mercato piuttosto che adattare i propri sistemi a un quadro regolatorio giudicato “inattuabile”, sottolineando al tempo stesso che la libertà di parola resta garantita, con gli utenti che potranno continuare a parlare di politica, ma che non sarà più possibile amplificare quei messaggi attraverso campagne a pagamento. 

    Bruxelles ha replicato, tramite il relatore Sandro Gozi che ha parlato di “allergia alla trasparenza” da parte di Meta, che la TTPA serve a proteggere l’integrità del processo democratico, evidenziando come l’uscita di un gatekeeper dall’arena pubblicitaria non sia ottimale per il pluralismo.

    L’impatto sulle campagne e sulle finanze dei partiti

    Negli ultimi dieci anni, le sponsorizzazioni su Facebook e Instagram sono diventate la spina dorsale della comunicazione politica in Italia. Alle elezioni europee del 2024 Fratelli d’Italia aveva investito più di 200 mila euro in ads su Meta, il Partito Democratico 108 mila e la Lega 97 mila. Non solo i grandi partiti, ma anche i candidati emergenti hanno sfruttato la possibilità di raggiungere segmenti specifici dell’elettorato con budget relativamente contenuti. 

    La scelta di chiudere questa pratica è stata definita dagli operatori del settore un “passo indietro che danneggia la democrazia”. Arrivano critiche soprattutto dai social media manager che si occupano di partiti e candidati locali, che sostengono come la pubblicità online fosse un mezzo efficiente per colmare divari di visibilità e per sostenere campagne su temi di interesse pubblico con budget modesti. 

    L’Associazione nazionale Social Media Manager teme che la decisione di Meta rafforzi i soggetti già dominanti, lasciando scoperti outsider e liste civiche.

    Effetti sul pluralismo e interrogativi aperti

    La decisione di Meta, manifestata come la scelta discrezionale di un gigante digitale che preferisce ritirarsi dal mercato piuttosto che adattarsi alla regolamentazione, avvantaggia chi possiede già vaste basi organiche e infrastrutture mediatiche – come leader nazionali, partiti maggiori o editori affermati – e penalizza outsider e associazioni civiche, per i quali gli ads rappresentavano un valido strumento per farsi conoscere tramite i social. 

    Un regolamento nato dunque per aumentare la trasparenza rischia di far concentrare ulteriormente l’attenzione sui soggetti già più forti mediaticamente.

    Verso un nuovo ecosistema informativo?

    La decisione di Meta non è soltanto una scelta aziendale, ma un gesto politico mascherato da neutralità tecnica. Nel ritirarsi dal mercato delle inserzioni, il colosso di Menlo Park non si limita a evitare la complessità di una normativa, ma ridefinisce – unilateralmente – i confini della democrazia digitale

    Mentre Bruxelles tenta di garantire trasparenza e tracciabilità, una delle principali piattaforme attraverso cui negli ultimi dieci anni si è formato l’immaginario politico per i cittadini del Vecchio Continente decide di abbandonare il campo, lasciando un vuoto che nessun regolamento potrà colmare nell’immediato.

    Quel vuoto rischia di trasformarsi in un nuovo squilibrio, in cui chi dispone già di reti mediatiche consolidate continuerà a farsi ascoltare mentre, chi contava sulla possibilità di emergere grazie al digitale, avrà uno svantaggio notevole. Il paradosso è che una norma nata per garantire più democrazia finisce per consegnarla a chi già beneficia dei privilegi forniti dalla comunicazione social.

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