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    Il Natale negato in carcere

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    Le festività natalizie rappresentano per molti un momento di condivisione, gioia e riflessione. Tuttavia, per chi vive in carcere, queste giornate possono trasformarsi in una fonte di grande sofferenza. Non solo per la solitudine e la lontananza dalle proprie famiglie, ma anche per il peso di essere giudicati, spesso senza che la propria storia venga compresa nella sua interezza. Troppe volte si sente dire, con una certa supponenza, che chi ha sbagliato è giusto che stia in carcere, che se ‘l’è meritato’, che avrebbe dovuto pensarci prima. Ma dietro ogni errore, dietro ogni persona che si trova in una condizione di detenzione, c’è una storia, un contesto, una serie di circostanze che non possono essere ignorate.

    Ogni vita è segnata da esperienze uniche e complesse. Nessuno nasce con il destino già scritto, ma le condizioni in cui cresciamo, le opportunità che ci vengono offerte, la famiglia che abbiamo e l’ambiente che ci circonda contribuiscono in modo determinante alle scelte che faremo da adulti. È facile giudicare dall’esterno, guardando solo il risultato di un errore, ma spesso dimentichiamo che il percorso che porta a quella scelta è stato segnato da difficoltà, sofferenze, e, in molti casi, da una completa mancanza di alternative.

    Le circostanze e il destino

    Molti detenuti si sono trovati a percorrere un cammino che sembrava già tracciato. Non tutti hanno avuto la fortuna di nascere in un ambiente che li spingesse a vedere le opportunità della vita, che li sostenesse nel prendere decisioni positive, che li educasse a credere nel valore del cambiamento. Per alcuni, le difficoltà iniziano molto presto: la povertà, la violenza familiare, l’abbandono, l’assenza di supporto possono diventare ostacoli insormontabili che sembrano impedire ogni via di fuga.

    Non si tratta di giustificare un errore, ma di comprendere che, per molti, la scelta che oggi viene condannata come “sbagliata” o “criminale” non è stata altro che l’unica possibile. Per alcuni, quella via è apparsa come l’unica via di fuga da una realtà opprimente. Chi, come tanti di noi, ha avuto la possibilità di fare scelte più consapevoli, di credere in un futuro diverso, forse non può immaginare la difficoltà di chi, invece, non ha mai avuto alternative. La sofferenza che si prova nel fare una scelta sbagliata non è meno dolorosa di quella che si prova nel vivere una vita di privazioni e di ingiustizie.

    Molti che oggi giudicano con fermezza, che credono che una persona che ha sbagliato debba rimanere imprigionata nel suo errore, non sempre riflettono su quanto sia stato difficile, per chi ha commesso un crimine, trovare una via d’uscita. D’altra parte, chi ha scelto un percorso diverso, chi è riuscito a superare le difficoltà, sa quanto sia importante avere la forza di affrontare il proprio dolore, di non arrendersi e di lottare per un futuro migliore. Questa stessa forza, però, non è stata data a tutti; per molti la scelta della “strada più facile”, quella che si definisce “sbagliata”, è stata un tentativo di sopravvivenza in un mondo che li ha esclusi.

    La sofferenza di una festività 

    Il Natale, come ogni altra festività, è per molti detenuti un momento particolarmente difficile. Le restrizioni, la chiusura delle comunicazioni con il mondo esterno, il ridotto personale che rende l’ambiente ancora più insicuro rendono questa stagione ancora più gravosa. Per molti, la “festa” diventa sinonimo di solitudine e impotenza.

    Il distacco da un proprio caro, la separazione forzata che i periodi festivi amplificano rappresenta un’esperienza dolorosa che molte famiglie devono affrontare. Tuttavia, a questo dolore si aggiunge spesso un ostacolo pratico: il costo economico per andare a trovare un detenuto. Le visite in carcere non sono semplici né a livello logistico, né finanziario. In molti casi, le famiglie devono affrontare lunghe distanze per poter accedere al carcere, con spese per il viaggio che possono essere insostenibili, soprattutto per chi vive in situazioni economiche precarie. 

    A questo si aggiungono altre difficoltà: il tempo perso per le attese, i limiti imposti sui tempi dei colloqui e le procedure burocratiche che, a volte, rendono l’incontro ancora più difficile. Il costo fisico ed emotivo di questi viaggi è un peso che spesso grava sulle spalle di chi già vive una condizione di difficoltà. In questo contesto, il Natale, periodo in cui la lontananza dai propri cari si fa ancora più acuta, diventa simbolo di un allontanamento che non riguarda solo la persona detenuta, ma anche tutta la sua rete di affetti, che spesso si trova a lottare per mantenere viva quella connessione umana, pur tra mille difficoltà.

    La prima Porta Santa a Rebibbia 

    Il 26 dicembre, giorno di Santo Stefano, Papa Francesco aprirà la Porta Santa nell’istituto penitenziario di Rebibbia Nuovo complesso, segnando un momento storico dei giubilei. “Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai governi che nell’anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza, forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società, percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”, aveva scritto Papa Francesco.

    Per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza, io stesso desidero aprire una Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita”, aveva aggiunto.

    Certamente si tratta di un gesto di grande portata per la collettività. D’altro canto, un aspetto negativo è che, all’apertura della Porta Santa, ci saranno più ‘civili’ che persone detenute. Questo potrebbe indurre a pensare che un evento così significativo sia più un atto simbolico per il mondo esterno, piuttosto che un gesto realmente pensato per loro.

    Il dovere morale di comprendere 

    Molti di coloro che oggi si trovano in carcere non sono necessariamente “senza speranza”. La realtà è che non hanno avuto, nel corso della loro vita, le opportunità di apprendere come affrontare la difficoltà senza ricorrere a scelte autodistruttive. Cambiare è difficile, lo sappiamo. E cambiare per chi ha passato la propria vita in un ambiente di violenza, di mancanza di supporto e di sfiducia, può sembrare un’impresa impossibile. Ma cambiare è anche l’unico modo per trovare una pace interiore, per riconoscere se stessi e, soprattutto, per vivere con dignità. 

    Il Natale, come ogni altra occasione, dovrebbe essere un invito a riflettere su quanto sia importante che anche chi ha sbagliato possa trovare una strada verso il riscatto. La domanda da farsi è: “Se un giorno vi trovaste in difficoltà, vorreste che qualcuno non si arrendesse per voi?”

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