Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha adottato una strategia di guerra che, pur avendo l’intento di rafforzare la sicurezza nazionale, rischia di ritorcersi contro il paese stesso. Le recenti evoluzioni geopolitiche, tra cui l’emergere della Forza Qassem Soleimani, il nuovo sistema di difesa aerea turco, e la crescente pressione internazionale, indicano che le conseguenze degli attacchi israeliani potrebbero danneggiare Io Stato Ebraico più di quanto non danneggino i suoi nemici, in particolare la Palestina.
L’esercito fantasma di Teheran
La Forza Qassem Soleimani rappresenta una delle minacce più insidiose per Israele. A quanto si apprende da Formiche.net, questo esercito fantasma, composto da circa 10.000 combattenti, inclusi 2.000 Houthi, è una creazione dell’Iran per consolidare l’Asse della Resistenza. La peculiarità di questa forza sta nella sua mancanza di un’affiliazione nazionale ufficiale, permettendole di operare senza restrizioni simili a quelle imposte a un esercito tradizionale. Gestita principalmente da Hezbollah, la Forza Qassem Soleimani è stata progettata per agire nell’ombra, colpendo gli interessi israeliani e degli alleati senza timore di ritorsioni dirette. La recente morte di Hussein Abdullah Mastoor al-Shabal, un combattente Houthi ucciso in un bombardamento americano, ha portato alla ribalta questa forza, evidenziando come essa stia diventando un attore cruciale nel panorama della guerra asimmetrica in Medio Oriente. Senza la necessità di un coinvolgimento diretto di Hamas, la Forza Qassem Soleimani potrebbe rivelarsi una spina nel fianco per Israele, che si trova a fronteggiare un nemico invisibile e imprevedibile.
Il nuovo ruolo della Turchia
In parallelo, la Turchia ha sviluppato un nuovo sistema di difesa aerea, soprannominato “Steel Dome”, basato sul modello israeliano del celebre Iron Dome. Questo sistema, frutto dell’innovazione turca, rappresenta un ulteriore passo avanti nella politica di Ankara di affermarsi come garante della pace in Medio Oriente. Tuttavia, per Israele, questo sviluppo rappresenta una perdita significativa di influenza nella regione, dove fino a qualche anno prima dominava a livello di tecnologie militari e di difesa. Inoltre, l’unirsi di Ankara all’accusa di genocidio formalizzata dal Sud Africa nei confronti di Israele, ha esacerbato l’isolamento internazionale di Tel Aviv. Questa crescente opposizione internazionale sta minando la legittimità delle azioni israeliane e potrebbe limitare le opzioni diplomatiche e militari di Netanyahu nel lungo termine.
Hamas sempre più radicale
L’assassinio di Ismail Hanyeh, capo politico di Hamas, da parte delle forze israeliane ha rappresentato un altro momento cruciale che rischia di ritorcersi contro Israele. Hanyeh, considerato un moderato all’interno dell’organizzazione, era un punto di riferimento per coloro che auspicavano un dialogo. La sua eliminazione, avvenuta alla vigilia dell’insediamento del nuovo governo iraniano guidato da Pezeshkian, ha rafforzato l’ala estremista di Hamas, conferendole maggior potere e influenza. Questo atto non solo ha aggravato l’instabilità interna a Gaza, ma ha anche contribuito all’aumento della popolarità di Hamas, che ha visto il suo sostegno crescere al 50% in pochi mesi. Per Netanyahu, la strategia di guerra contro Hamas si è dimostrata un’arma a doppio taglio: da un lato, ha indebolito la leadership moderata, dall’altro ha favorito l’ascesa di frange più radicali, rendendo ancora più difficile qualsiasi tentativo di negoziazione o di pace duratura.
Addio al dialogo con Pezeshkian
Infine, la posizione di Netanyahu sull’Iran continua a essere un elemento di forte tensione. Secondo il Primo Ministro israeliano, l’Iran deve essere visto come un nemico globale, e qualsiasi governo di Teheran che mostri segni di apertura al dialogo è da considerarsi come una minaccia. Questo approccio ha spinto Netanyahu a compiere azioni militari che mirano a provocare l’Iran, costringendo il paese a rafforzare le sue posizioni più estreme. In un contesto dove il governo moderato di Pezeshkian avrebbe potuto rappresentare un’opportunità per ridurre le tensioni, Netanyahu ha invece scelto la strada del confronto. Questo ha avuto l’effetto di consolidare l’unità interna dell’Iran e di rafforzare il suo impegno nel sostenere gruppi come la Forza Qassem Soleimani, aumentando così la pressione su Israele. Questa situazione, per via della già precedente posizione di Teheran in merito sembra però stia sfuggendo di mano. È di lunedì la notizia, o meglio l’allarme lanciato dagli USA, dell’imminente attacco dell’Iran a Tel Aviv. Se così fosse, è facile comprendere come una guerra aperta tra forze nucleari (si stima che a Pezeshkian basterebbero poche settimane per mettere a punto un numero imprecisato di ordigni) possa trascinare l’intera regione mediorientale in una situazione difficilmente reversibile.
Non serve altro per capire come la strategia di guerra intrapresa da Netanyahu si sta rivelando un boomerang per il suo paese. Le nuove minacce asimmetriche, come la Forza Qassem Soleimani, il rafforzamento delle capacità militari turche e l’aumento della popolarità di Hamas, stanno compromettendo la posizione di Israele sia sul fronte interno che internazionale. Le azioni di Netanyahu, mirate a rafforzare la sicurezza di Israele, potrebbero invece portare a un isolamento crescente e a una riduzione della capacità di influenzare gli eventi nella regione. Se non si dovesse invertire la rotta, Israele rischia di trovarsi in una posizione sempre più precaria, con conseguenze imprevedibili per la stabilità del Medio Oriente.