Nell’ultima settimana, i raid israeliani sul Libano hanno riacceso i timori di un conflitto regionale su larga scala. Hezbollah promette una battaglia ‘senza limiti’, mentre l’Iran annuncia gravi conseguenze. Senza un intervento diplomatico urgente da parte degli Stati Uniti, potrebbe innescarsi un conflitto senza precedenti.
Dopo l’attacco coordinato del 17 settembre contro i militanti di Hezbollah, Israele ha intensificato le operazioni, passando ora ai raid sul Libano meridionale. Questa nuova offensiva ha provocato la fuga di migliaia di persone dalla regione e segna una scelta decisiva per lo Stato ebraico: invece di evitare lo scontro immediato, ha optato per una guerra diretta contro il gruppo sciita sostenuto dall’Iran, aprendo la strada a un’escalation regionale dalle conseguenze imprevedibili. Tale decisione sembra indicare una volontà di colpire Hezbollah nel momento di maggiore vulnerabilità, ma comporta il rischio di coinvolgere ulteriori attori regionali, come la Siria e le milizie filoiraniane, complicando ulteriormente il già fragile equilibrio in Medio Oriente. Per meglio comprendere le possibilità di un’effettiva espansione del conflitto, è essenziale analizzare il contesto geopolitico e le origini ideologiche sottostanti la delicata situazione odierna.
Storia di un conflitto annunciato
La nascita del gruppo sciita va a ricollocarsi nel contesto della guerra civile libanese del 1975, alimentata dal crescente malcontento per l’ingombrante presenza armata palestinese nel Paese derivante dal conflitto con Israele. Il delicato equilibrio politico, sancito dall’accordo multiconfessionale del 1943 che andava a ripartire il potere tra sunniti e la minoranza cristiana e sciita, fu infatti profondamente scosso dall’arrivo di numerosi rifugiati palestinesi e dalla progressiva marginalizzazione della comunità sciita. La radicalizzazione alimentata dal sentimento di rivalsa di parte della popolazione a seguito dell’invasione israeliana del Libano meridionale nel 1982 portò un gruppo di ribelli di credo sciita a fondare quello che oggi è conosciuto in tutto il mondo come ‘Hezbollah’, letteralmente ‘partito di Allah’. È quindi naturale come l’avversità nei confronti di Israele sia intrinseca alla nascita stessa della milizia, alimentando il fervore ideologico e la resistenza armata che caratterizzano il gruppo sin dai suoi esordi.
Sin dalla sua fondazione, Hezbollah ha portato avanti un conflitto quasi ininterrotto con lo Stato di Israele, rendendo dell’espulsione delle truppe avversarie dal territorio libanese uno dei suoi principali obiettivi strategici, includendolo perfino nei principi del suo manifesto nel 1985. Nonostante la presenza della Forza Temporanea delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL), schierata per mantenere la pace e garantire la stabilità sociopolitica nella regione, Hezbollah ha continuato a condurre offensive periodiche durante tutto il corso degli anni ’90, estendendo le sue attività attraverso una serie di attacchi terroristici contro Israele a livello globale. Con il passare del tempo, l’alleanza instauratasi tra il gruppo sciita e Iran e Siria lo ha reso una forza militare sempre più potente, trasformandolo in un oppositore oggettivamente preparato ed estremamente efferato per il suo storico nemico, raggiungendo il suo obiettivo a inizio anni 2000, con il ritiro definitivo delle forze israeliane dal Libano.
Dal 2005, Hezbollah ha assunto ruoli ministeriali centrali nel governo libanese, consolidando il suo potere politico e guadagnandosi un’influenza crescente nella vita istituzionale del Paese. Nonostante la perdita della maggioranza in Parlamento nelle elezioni del 2022, dove è riuscito ad occupare 13 seggi, il movimento continua a rappresentare uno degli attori principali dello scenario politico libanese. Nelle aree sotto il suo controllo funge da vera e propria autorità governativa, amministrando la maggior parte delle infrastrutture presenti sul territorio, guadagnandosi così il sostegno di una parte significativa della popolazione. Sul piano militare, Hezbollah mantiene un imponente arsenale, venendo identificato dal Centro per gli Studi Strategici Internazionali (CSIS) come ‘l’attore non statale più pesantemente armato al mondo’. Si evince, dunque, come la combinazione di influenza politica e capacità bellica lo rendano un nemico particolarmente temibile per lo Stato ebraico, nonostante l’innegabile superiorità tecnica dell’intelligence israeliana.
Situazione odierna e conseguenze internazionali
Dopo l’uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh e di Fuad Shukr, capo di Hezbollah, gli israeliani avevano anticipato che avrebbero prevenuto qualsiasi ipotetica misura di ritorsione, esattamente quanto accaduto questa domenica. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno infatti provveduto a colpire migliaia di razzi del gruppo sciita nel Libano meridionale, dimostrando all’avversario una notevole competenza tecnica. Nonostante ciò, Hezbollah è riuscito a portare a termine il lancio di più di duecento razzi e droni verso il nord di Israele, provocando comunque danni assai inferiori alle infrastrutture. Ora, Israele ha dato inizio ad un’ampia campagna aerea sul Libano, segnando il giorno più mortale per il Paese dal conflitto del 2006, con oltre 500 vittime e 1.600 feriti.
All’attacco aereo è seguita una preoccupante comunicazione ufficiale da parte del Primo Ministro israeliano stesso, Benjamin Netanyahu, che ha annunciato un cambiamento di ‘bilancio del potere’ delle forze militari israeliane, non escludendo l’eventualità di un’invasione terrestre del Libano. Al di là della gravità della situazione, le due parti si sono astenute dal dichiarare l’escalation come vera e propria guerra.
Nonostante Israele abbia dichiarato formalmente guerra ad Hamas dopo l’attacco del 7 ottobre, al momento non è stata adottata la stessa linea con Hezbollah. La leadership israeliana sta infatti utilizzando con cautela il termine, spesso pronunciato in modo volutamente ambiguo. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha spiegato come Israele sia entrato in una ‘nuova fase della guerra’, descrivendola quindi come una mera estensione del conflitto a Gaza, quasi ne rappresentasse un ‘fattore collaterale’ secondario. Allo stesso modo, anche il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha utilizzato il termine esclusivamente per condannare le azioni commesse dalle forze militari israeliane, scaricando su di esse la responsabilità dell’accaduto. Anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, in un discorso all’Assemblea Generale ONU, ha lasciato intendere come non ritenga le ultime azioni militari una vera e propria ‘guerra’. La motivazione di questa improvvisa cautela risiederebbe nella speranza di entrambe le parti di poter raggiungere i propri obiettivi ideologico-militari senza giungere a misure estreme e, soprattutto, senza esserne ritenute responsabili.
Si teme ora in un conflitto ancora più devastante di quello del 2006, già deterrente significativo per entrambe le fazioni. All’epoca, i combattimenti causarono la morte di centinaia di miliziani di Hezbollah e di circa 1.100 civili, lasciando in rovina ampie zone del Libano meridionale e della capitale Beirut. Oggi, Netanyahu accusa il gruppo sciita di aver nascosto armi e forze lungo il confine, avvertendo come sarebbe intenzionato a trasformare il sud del Libano in una zona di battaglia tramite un’invasione via terra. In un contesto come quello odierno, Israele non troverebbe complicato lasciare il Libano senza elettricità; la rete energetica del Paese, già gravemente danneggiata da anni di cattiva gestione e crisi economica, è quasi inservibile. Pochi attacchi aerei ben diretti potrebbero facilmente completarne la distruzione. Dal punto di vista di Hezbollah, si confida nel sentimento di sfiducia perpetrato nel gruppo dopo l’attacco simultaneo subito ai cercapersone, che potrebbe evitare una spinta verso lo scontro aperto.
La posizione dell’Iran
Solitamente Teheran preferisce che siano altri a combattere per i propri interessi ma, dopo l’attacco israeliano al suo complesso diplomatico a Damasco, aveva risposto prontamente. Se Hezbollah, considerato il principale alleato regionale dell’Iran, dovesse venire attaccato da Israele, una reazione iraniana sarebbe molto probabile, incitando i suoi alleati a lanciare attacchi indiscriminati contro gli avversari.
È importante inoltre sottolineare come l’Iran detenga il controllo strategico dello Stretto di Hormuz, una via di accesso cruciale al Golfo Persico. In un contesto di conflitto su vasta scala, potrebbe decidere di bloccare questa via marittima, con conseguenze devastanti sul mercato globale del petrolio e generando un’ulteriore instabilità nella già fragile situazione geopolitica della regione.