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    La partita asiatica di Mosca: il vertice in Tagikistan e l’influenza regionale

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    Nel cuore dell’Asia, lontano dai riflettori europei, si sta giocando una partita che potrebbe ridisegnare gli equilibri post-sovietici. Tra montagne e criticità interne, il Tagikistan diventa per tre giorni il centro della diplomazia russa e il banco di prova delle sue ambizioni regionali. Qui, Mosca tenta di dimostrare che la sua influenza è tutt’altro che finita, nonostante la guerra, le sanzioni e l’isolamento occidentale.

    I GIORNI DELLA DIPLOMAZIA RUSSA A EST

    Mentre non si arresta l’offensiva russa in Ucraina — dove questa notte un violento attacco su diverse città ha provocato la morte di un bambino e lasciato metà Kiev senza elettricità — Mosca tenta, in parallelo, di rompere l’isolamento occidentale e riaffermare la propria influenza nel complesso quadrante asiatico.

    E lo fa su più fronti paralleli: da un lato con Vladimir Putin in Tagikistan, dall’altro con Dmitrij Medvedev, già presidente russo e oggi vicepresidente del Consiglio di sicurezza, in visita ufficiale in Corea del Nord.

    Nel cuore dell’Asia centrale, tra Afghanistan e Cina, il Tagikistan sta ospitando tre giorni di summit che, sebbene stia passando quasi inosservato, è centrale per comprendere politica e necessità russe nello spazio post-sovietico. Secondo vertice di questo tipo dalla dissoluzione dell’URSS nel 1991, Vladimir Putin incontra in questi giorni a Dushanbe – capitale del Paese – i leader dell’Asia centrale.

    CORTE PENALE INTERNAZIONALE E REALPOLITIK

    Le critiche da parte di Bruxelles non si sono fatte attendere: l’Unione europea ha accusato il Tagikistan di non aver proceduto all’arresto del presidente russo come predisporrebbe il mandato emesso dalla Corte Penale Internazionale. 

    Andando oltre la critica, il mancato arresto non stupisce visti gli strettissimi legami storici, economici e militari del Paese con Mosca. Il Tagikistan resta infatti tra i più stretti alleati di Mosca; basti pensare che oltre il 40% del PIL nazionale deriva dalle rimesse dei migranti tagiki in Russia.

    SEGNALI DI FORZA MILITARE RUSSA

    Non è un caso che questo vertice arrivi proprio ora, ma si inserisce in un vero risiko globale: negli ultimi mesi si sono infatti svolti diversi incontri tra i Paesi della regione e leader europei e cinesi. L’Asia Centrale è tornata al centro della diplomazia globale e sia Bruxelles che Pechino stanno tentando di rafforzare la propria cooperazione con l’area, inserendosi in una più ampia competizione di influenza.

    È in questa cornice che si colloca l’incontro di Dushanbe, che si concluderà oggi, venerdì 10 ottobre. Un incontro che va ben oltre la diplomazia di routine: un vertice che segna il tentativo di Mosca di riaffermare il proprio ruolo in una regione che, più che mai, è diventata terreno di confronto tra potenze.

    Per comprendere meglio di cosa stiano parlando i leader presenti in questo vertice è utile prestare attenzione a dettagli tutt’altro che scontati o trascurabili: Putin è arrivato a Dushanbe scendendo dall’aereo presidenziale accompagnato da una delegazione imponente, composta per lo più da vertici militari e delle forze di sicurezza. 

    Il messaggio che arriva, sin dal primo momento, è quindi diretto: Mosca vuole riaffermare il proprio ruolo di garante della sicurezza regionale in un’area che, storicamente, è segnata da confini porosi e da profonde tensioni interne.

    OLTRE LA FORZA MILITARE: L’INFLUENZA RUSSA TRA ECONOMIA E GEOGRAFIA

    Ma l’influenza russa nella regione non si esaurisce nella dimensione militare.
    Sul tavolo ci sono altri due fattori cruciali: il primo è sicuramente riconducibile alla sfera economica. Il Tagikistan è uno dei Paesi più poveri dell’ex spazio sovietico, e Mosca punta a mantenere la propria influenza offrendo investimenti energetici e infrastrutturali. Investimenti che sono però ostacolati, oggi più che mai, da sanzioni occidentali e dalla crescente presenza cinese, che sta investendo miliardi nella regione.

    Un secondo fattore importante da considerare lo ritroviamo, come quasi sempre accade nella geopolitica, nella geografia: nel cuore montuoso dell’Asia centrale, il Tagikistan occupa una posizione geostrategica cruciale fungendo da vera e propria cerniera tra il mondo ex-sovietico e l’Asia del Sud, e dunque tra la sfera di influenza russa e quella cinese, che mai come oggi sono così vicine.

    E se è vero che Mosca continui a esercitare un potere militare, economico e simbolico nella regione, è altrettanto vero che il 2025 non è il 1990, e Putin lo sa bene. Kazakistan, Uzbekistan e il Tagikistan stesso guardano sempre più interessati agli investimenti cinesi e ai rapporti diretti con Washington e Bruxelles, e ricordano a Mosca che non è più possibile contare su una lealtà che un tempo era automatica da parte dei suoi alleati. 

    In un mondo sempre più complesso, interconnesso e nel quale si registra un ritorno della competizione tra grandi potenze, la sola memoria storica sovietica non è più sufficiente ad assicurare lealtà assoluta, e questo vertice lo dimostra.

    RETORICA O POTERE TANGIBILE?

    Ora, al di là delle dichiarazioni ufficiali al termine del vertice, sarà cruciale osservare il follow-through, ovvero capire se gli accordi e le promesse di questo summit si tradurranno in progetti concreti, come un aumento reale degli investimenti e della cooperazione effettiva.

    La Russia è ancora in grado di trasformare la sua retorica d’influenza in potere tangibile, o l’Asia Centrale sta ormai scivolando verso un nuovo equilibrio in cui sono altri gli attori a giocare il ruolo di playmakers

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