In un mondo segnato dal multipolarismo, non è affatto scontato che la voce di un’organizzazione intergovernativa, malgrado la sua autorevolezza, riesca ad imporsi con successo. Tutto dipende dagli interessi di volta in volta in gioco. Questo l’amaro destino che potrebbe coinvolgere l’Organizzazione delle Nazioni Unite in seguito alla conferma ufficiale della carestia nella Striscia di Gaza.
Il comunicato dell’ONU
Traendo spunto dall’analisi elaborata dall’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), UNICEF, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Programma Alimentare Mondiale (WFP) hanno messo nero su bianco la realtà mediorientale, la stessa che – benché evidente – viene quotidianamente bistrattata, addirittura resa affine a determinate parti politiche. Indicative sono le prime righe del comunicato congiunto pubblicato quest’oggi: “più di mezzo milione di persone a Gaza sono intrappolate in una carestia”.
Una vera e propria tragedia umanitaria le cui basi – fame, malnutrizione, miseria e distruzione – paiono perennemente trovare terreno fertile. A sottolinearlo è il fatto che tali condizioni, nelle settimane a venire, si estenderanno anche in altre zone della Striscia, tra cui Deir al Balah e Khan Younis. A lungo termine, le prospettive non sono affatto migliori: secondo l’ONU, entro la fine di settembre, oltre 640.000 persone affronteranno livelli Catastrofici di insicurezza alimentare in tutta la Striscia di Gaza.
Senza via d’uscita
Tra i vari particolari che vengono presi in considerazione, a colpire è il sincronismo che lega in maniera inscindibile l’avvio dell’operazione di terra da parte dell’Idf e la posizione assunta dall’Onu: se da un lato le truppe israeliane, pianificando un attacco su larga scala a Gaza City, invocano la popolazione civile ad abbandonare la città spostandosi più a sud, contemporaneamente si perde di vista il vero problema sottostante, l’eventuale impossibilità di evacuazione, una sorta di immobilismo che, di fatto, mette un punto fermo a molte vite innocenti, in particolare bambini malati e malnutriti, ma anche anziani e persone con disabilità.
La carestia
L’accento cade sul ritmo frenetico e vorticoso che, secondo le stime, starebbe accompagnando i tassi di malnutrizione: nel solo mese di luglio, oltre 12.000 bambini sono stati identificati come affetti da malnutrizione acuta, il numero mensile più alto mai registrato e sei volte superiore rispetto all’inizio dell’anno. Anche volendo negare l’evidenza, le causa sottesa – la limitazione degli accessi umanitari, unita ai ripetuti bombardamenti su infrastrutture civili – è tale da molto tempo, ma non per il governo di Benjamin Netanyahu, che nel recente passato non solo ha smentito una propria responsabilità nella carestia, ma ha addirittura parlato di una condizione “progettata da Hamas”.
Nemmeno la voce “amica” di Donald Trump, che dal canto suo ha ribadito di aver visto immagini di bambini fortemente denutriti, pare essere riuscita a placare la narrazione israeliana. Tel Aviv parla di un problema di comunicazione, in buona sostanza fake news, dichiarazioni prive di fondamenta che – tra le varie cose – riguarderebbero anche la tenuta del sistema sanitario palestinese, definito dall’Onu gravemente compromesso.
Appelli inascoltati?
La conclusione tratta è nota, e non aveva di certo bisogno di essere ribadita: l’ONU, infatti, si appella al cessate il fuoco immediato, condizione considerata imprescindibile per permettere il rilascio degli ostaggi ancora in vita. Ma superate le ore in cui queste stesse condizioni appaiono sui media internazionali cosa rimarrà? Senza possibilità di intervenire concretamente, tutto ciò che è quotidianamente sotto gli occhi del mondo rischia di divenire l’ennesimo appello inascoltato.
20250316