spot_img
Altro
    HomeItaliaInfrastrutture e trasportiPeriferie d’Italia: il dramma oltre Scampia

    Periferie d’Italia: il dramma oltre Scampia

    Pubblicato il

    spot_img

    Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate”: non il Canto III dell’Inferno di Dante, ma l’eco delle periferie. In effetti, se mai un giorno dovessimo descrivere il sostantivo ‘periferia’, con buona probabilità includeremmo nella suddetta esemplificazione i seguenti fenomeni: povertà, disuguaglianze, abbandono scolastico. Questo il panorama da Nord a Sud, passando per le isole. Panorama che, tra le varie carenze, può certamente annoverare un tale Virgilio disposto a guidare giovani e meno giovani aldilà dell’oscurità delle tenebre. 

    Guardare la Luna e non il dito 

    A un mese dalla tragedia avvenuta a Scampia, paiono più che evidenti tutti quei segnali volti a definirne una sopravvivenza mediatica – ma non solo, purtroppo anche politica – estremamente risicata, ridotta pressoché all’osso. Come per altre disgrazie simili, il ciclo è semplice, benché perspicace e privo di etichette partitiche: da una fase di sdegno e commozione, si passa all’unanime solidarietà per poi, infine, alzare bandiera bianca. Una ritirata politica sbandierando il feticcio di quei fondi che, puntualmente, tardano ad arrivare o di cui – peggio ancora – non si ha più la minima traccia. Il ‘ritorno alla base’ se così vogliamo chiamarlo – fugace e simbolico, puramente di facciata – sopraggiunge per contare i potenziali elettori, prima della chiamata alle urne. Una sorta di confessionale purificatorio in tempo di Quaresima. Lo stesso confessionale che gli abitanti del posto hanno imparato ormai a riconoscere come tale: stiamo parlando di quelle che in gergo sono dette “passerelle elettorali”, occasioni il cui unico esito è l’inasprimento della disaffezione cittadina nei confronti delle istituzioni. 

    In ciascuna delle tre fasi pocanzi menzionate, pare latitare l’assunzione di responsabilità non solo strettamente personali, bensì anche a livello amministrativo locale – Comune, Città Metropolitana, Regione. A fare da contrappeso vi è invece un’operazione tanto comune quanto antica e radicata nel già citato gergo nazional–popolare, conosciuta come ‘scarica barile’. Il risultato? Un processo vizioso che, pur di non minare lo status quo, tende ad ipotizzare un presunto peccato originale, così da portare sul banco degli imputati persone che – a causa di limiti anagrafici – non possono più avanzare ragioni. Questo quanto successo nella vicenda del Ponte Morandi, a Genova, e certamente anche nella gestione delle Vele di Scampia. Non sorprende, dunque, l’accusa mossa da Roberto Saviano: “Cosa avete fatto per gli abitanti di Scampia oltre a dire che non meritavano di essere accostati ai clan e alla faida che ha devastato il loro quartiere e marchiato le loro vite?

    Come se non bastasse un simile grado di indifferenza, i piani straordinari di interventi infrastrutturali o di riqualificazione – primo tra tutti quello che ha coinvolto il Comune di Caivano – nel migliore dei casi sono assimilabili a cattedrali in mezzo al deserto. Forte dell’intervento dello Stato, il territorio coinvolto smette di boccheggiare e torna a respirare liberamente. Ben presto, però, l’effetto magico scompare e lo scollamento tra cittadini e istituzioni si acuisce sempre più. Ci si sente in gabbia, vittime dell’isolamento, incastrati al capolinea senza alcuna possibilità di reale rilancio. 

    Non solo Scampia

    Questo significa, quindi, che il fenomeno Scampia è più esteso di quello che pensiamo? Certo che sì: nel silenzio più totale delle aule parlamentari, esistono tante altre Scampia disperse per tutto lo Stivale. Si tratta di realtà sviluppatesi all’indomani dei disordini del boom edilizio degli anni ’60: anni in cui la speculazione e la mancanza di una legislazione urbanistica appropriata facevano la parte del leone. Da qui un’edilizia grigia, architettonicamente e strutturalmente scadente, priva di servizi e di spazi verdi, scollegata dal centro città: veri e propri ghetti inabitabili. In inglese ‘no men’s land’, terre di nessuno. Diretta conseguenza di tanto abbandono sono le tendenze sociali visibili oggi su tutti i principali quotidiani: criminalità organizzata, traffico di sostanze stupefacenti, occupazione abusiva. Abusiva perché impedisce ai legittimi assegnatari di un’occupazione popolare di esercitare un diritto, richiamato dalla Costituzione all’articolo 47, indicato come fondamentale dalla comunità nazionale e internazionale. 

    Situazioni simili sono all’ordine del giorno nella periferia sud – ovest di Roma, zona tristemente nota per ospitare il Corviale, meglio noto come il “serpentone”, a causa della sua smisurata estensione – circa un chilometro. Complesso residenziale progettato negli anni Settanta, il Corviale avrebbe dovuto rappresentare un modello abitativo alternativo e all’avanguardia, capace di integrare spazi privati con attività collettive, residenze con servizi, mettendo dunque fine all’era dei quartieri–dormitorio. Nello specifico, l’aspetto più rivoluzionario di tale progetto prevedeva il rendere l’edificio completamente autonomo rispetto al resto della città: è questo il motivo per cui il team di 23 architetti coordinato da Mario Fiorentino avrebbe voluto implementare servizi efficienti e ampi spazi comuni. Quattro teatri all’aperto, numerosi uffici, una biblioteca, scuole pubbliche, servizi sanitari, un mercato e un intero piano (il quarto) dedicato alle attività commerciali. 

    Le cose, però, non sono andate come previsto: i lavori di realizzazione, iniziati nel 1975, proseguirono a rilento e il blocco residenziale fu completato solo nel 1984. Già dopo pochi anni si diffuse l’immagine del Corviale come simbolo del degrado delle periferie romane: le occupazioni abusive presero il sopravvento e i locali da convertire in servizi vennero usati come abitazioni. Situazione, quest’ultima, che perdura tutt’oggi. Le pessime gestioni e gli anni di totale abbandono da parte delle istituzioni hanno costretto gli abitanti del quartiere a vivere in condizioni letteralmente disumane. Allo stato attuale, il Corviale rappresenta un alveare fatiscente dove è facile imbattersi in droga e armi di ogni tipo. Ma non tutto è perduto (forse): nel 2008 l’ATER – Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale del Comune di Roma – e la Regione Lazio hanno presentato un piano di rinascita articolato in due interventi: uno di questi prevede il cosiddetto “Km Verde”, vale a dire la completa ristrutturazione del quarto piano attraverso il cambio d’uso degli immobili e la realizzazione di nuove unità abitative. Che sia questa la volta buona per il riscatto? Prematuro dirlo con certezza: a maggio 2024, i lavori risultano fermi da ben nove mesi; nel quarto piano, di verde, ci sono poco più di cinquecento metri e su 103 nuovi appartamenti ne sono stati realizzati circa la metà. Detto in termini spiccioli, fine lavori posticipata a data da destinarsi. Un miraggio, insomma, degno di una pellicola cinematografica

    All’esterno dell’edificio, la vita del quartiere ha purtroppo assunto la stessa impronta negativa: qui arrivano le auto rubate nelle periferie della Capitale per essere smontate e rivendute a pezzi. Non c’è illuminazione stradale. I tassi di disoccupazione e di abbandono scolastico sono molto elevati. Gli adolescenti sono costretti a crescere con un perenne senso di insicurezza. Durante il periodo dell’emergenza Covid–19, molti i ragazzi iscritti alle scuole dell’obbligo che, a causa della mancanza di computer e apparecchiature in famiglia, non hanno potuto seguire i programmi previsti dalla didattica a distanza. “La politica ci ha abbandonato“ […] “Abbiamo scritto al prefetto. Abbiamo scritto al Ministro dell’Interno. Abbiamo scritto al Sindaco. Abbiamo scritto all’ATER. Abbiamo scritto alla Regione. È venuto il Papa. È venuto Mattarella. È venuto Zingaretti. So’ venuti tutti. Ma la sicurezza è sempre più un’illusione. Che deve succedere perché qualcuno si renda conto che, così com’è, il Corviale è una bomba sociale pronta ad esplodere?” 

    Sarebbe altresì ingiusto limitarsi a Roma quasi a volerne fare un esempio negativo nella gestione delle periferie e delle abitazioni popolari: lo stesso scenario vale per Palermo, Catania, Milano, Genova, Torino. Delle ingenti problematiche vissute da chi nasce e cresce in periferia non si parla, lo si fa con ritardo oppure in modo estremamente approssimativo. Il motivo? Molto semplice, la periferia non è capitalizzabile, attrae raramente investimenti e turisti, pare respingere la cultura. Questi i motivi che, automaticamente, la vedono esclusa dall’agenda politica, anche a costo di spezzare sul nascere molte giovani vite. 

    Risposte e interventi 

    Lo scarto tra ricchezza e povertà ha raggiunto dimensioni abnormi e, di certo, la nostra società sempre più individualista e logorata dal dio denaro non fa altro che peggiorare lo stato delle cose. Pensare che, in città come Roma o Milano, convivano nel bel mezzo della frenesia quotidiana luce e tenebre, inferno e paradiso, è inaccettabile. Per questo, chiunque tenti di dare man forte a questo circuito malsano speculando su migliaia di cittadini andrebbe individuato e condannato nelle sedi opportune. Altrettanto inaccettabile è l’approccio classista perpetuato da una legislatura all’altra, una sorta di marchio di fabbrica che di fatto rinnega l’ascensore sociale: stiamo parlando di interlocutori politici che non solo guardano le periferie dall’alto in basso, ma che neppure cercano di accogliere le istanze proprie di quei cittadini che, democraticamente, hanno concesso loro oneri e onori. 

    C’è infine un altro fatto che merita di essere considerato: stando ai dati OCSE, siamo il Paese con il più basso numero di case popolari (4 ogni 100 abitanti). Occorre risalire al Piano Fanfani degli anni ’50 – quello che costruì circa due milioni di unità immobiliari – per trovare traccia di un piano di edilizia pubblica popolare dotato di criteri architettonici degni di questo nome. Ecco, per chi ancora non sapesse come spendere i fondi PNRR, partire da qui sarebbe quanto meno profittevole. Forse anche più di una campagna elettorale a colpi di dissing sui social.

    Articoli recenti

    I volenterosi riuniti a Parigi. Meloni contraria all’invio di truppe in Ucraina

    Dopo il vertice di agosto, giovedì 4 settembre c’è stato un nuovo incontro a...

    Punire non basta: il paradosso del carcere e dell’isolamento

    Le mura, le sbarre e le celle sono la traduzione materiale di un’idea politica...

    Vertice Trump-Nawrocki: verso più militari statunitensi in Polonia

    Visita del presidente polacco Karol Nawrocki a Washington, dove ha incontrato il presidente statunitense...

    Il sodalizio Putin-Xi per sovvertire l’ordine globale

    Era il 2015 quando la parata militare per commemorare la vittoria cinese sul Giappone...