Nel nostro Paese, non v’è governo o forza politica degna di questo nome, che non abbia proposto nel corso della storia repubblicana una qualche riforma costituzionale. E’ una storia arcinota nella nostra bistrattata Repubblica. E’ divenuto un vero e proprio costume politico. Di tanto in tanto, un partito, uno schieramento cava dal cilindro una riforma costituzionale e la presenta agli elettori come la panacea di tutti gli atavici mali italiani.
Talvolta è certamente ragionevole se non addirittura necessario lubrificare gli ingranaggi della nostra vivace ed arzilla Costituzione; talaltra non se ne vede affatto il bisogno.
Questa volta il Governo Meloni è ben risoluto nel voler portare a casa la «madre di tutte le riforme», la riforma del cosiddetto ‘premierato‘. Lo scorso giugno, con il disco verde del Senato, è cominciato l’iter che porterà la Riforma a viaggiare per almeno quattro volte tra i due rami del Parlamento per il via libero definitivo come richiesto dall’articolo 138 della Costituzione.
UNA DOVEROSA PREMESSA
Prima di provare ad esaminare, sia pur brevemente, nello spazio di un articolo, i tratti salienti della Riforma è doverosa una premessa. L’ordine del giorno Perassi (dal nome del primo firmatario), approvato in Assemblea Costituente il 5 settembre 1946, prevedeva l’adozione di una «forma di governo parlamentare con dispositivi costituzionali idonei a garantire le esigenze di stabilità dell’azione di governo e ad evitare la degenerazione del parlamentarismo».
Questo ordine, tuttavia, è stato disatteso. L’ assenza di meccanismi di razionalizzazione del regime parlamentare ed un sistema elettorale proporzionale puro hanno dischiuso le porte alla partitocrazia a discapito della stabilità dell’esecutivo. Ben sessantotto governi si sono avvicendati in settantacinque anni di storia repubblicana. Per provare a far fronte a questo (presunto) tallone d’ Achille della nostra forma di governo, a più riprese e da più parti, ci si è posti il tema della stabilità e del rafforzamento dell’esecutivo.
Come perseguire, pertanto, questi obiettivi? Qualcheduno ha provato a far leva sul sistema elettorale mentre altri hanno proposto un vero e proprio mutamento dell’attuale forma di governo. A questo sommario inquadramento si deve aggiungere persino una doverosa considerazione. La rappresentanza democratica vive da anni un impedimento asfittico graduale e crescente. I meccanismi della rappresentanza, i partiti politici, le associazioni, prive d’ossigeno, annaspano convulsamente. Tutto questo non può che tradursi in uno svilimento ed una mortificazione del ruolo e della funzione del Parlamento. Si assiste, così, ad una verticalizzazione del processo decisionale, figlia naturale della personalizzazione dei partiti.
ELEZIONE CONTESTUALE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E DELLE CAMERE
Cosa cambierà concretamente? Procediamo con ordine. L’ articolo 3 comma 1 del testo di modifica (disegno di legge 935) dell’art. 92 della Costituzione prevede che il Presidente del Consiglio venga eletto a suffragio universale e diretto per una durata espressamente quinquennale e statuisce che le elezioni del Presidente avvengano contestualmente a quelle delle Camere.
Pertanto, l’aspettativa di durata dei rami del Parlamento verrebbe a dipendere da quella del Presidente tradendo la centralità delle Camere che ora è richiamata dall’ articolo 60 della Costituzione. Giova, altresì, ricordare che il Premier verrebbe eletto nella Camera in cui abbia presentato la candidatura cumulando così due cariche, quella di Presidente e quella di parlamentare.
Ad accompagnare l’investitura diretta, si pone la previsione per cui la legge disciplinerà il sistema elettorale secondo i principi di rappresentatività e governabilità in modo che il premio di maggioranza garantisca il 55% dei seggi. Questo premio – per il cui accesso sarebbero necessarie elevate soglie di quorum – consentirà un collocamento stabile e ben piazzato della maggioranza parlamentare. Una maggioranza che dominerà l’Assemblea rispondendo in tal modo a quella tanto invocata esigenza di governabilità. Non si comprende, tuttavia, come la formazione di una maggioranza assoluta si possa conciliare con l’alternativa, pure indicata, esigenza di rappresentatività. Ma tant’è!
FORMAZIONE DEL GOVERNO
Ad ogni modo, una volta eletto, il Presidente del Consiglio riceverà dal Presidente della Repubblica l’incarico di formazione del Governo. Con la Riforma costituzionale, quindi, si va a costituzionalizzare l’incarico che, secondo l’attuale sistema, appare un passaggio meramente verbale e per nulla formalizzato. Si badi bene: il Presidente del Consiglio non dovrà più essere nominato mediante un atto presidenziale.
L’ incarico rappresenterà una pura formalità perché l’investitura – pare ovvio – gli deriverà esclusivamente dal popolo. Al contrario, sarà necessario che il Presidente della Repubblica nomini, su proposta dell’organo di vertice del governo, i ministri. Ciò verrebbe a significare che il Presidente della Repubblica conserverebbe un sostanziale potere di veto circa la nomina dei Ministri.
Potrebbe, al contrario di quanto accade nel caso del conferimento dell’incarico, esercitare una rilevante moral suasion. Potrebbe, come accaduto nel caso Savona, financo porre un veto. L’ articolo 4, comma 1, lett. a del testo di modifica dispone che, entro dieci giorni dalla sua formazione, il Governo deve presentarsi alle Camere per ottenere la fiducia. Fiducia che sarà subordinata ad una mozione «motivata», così prevedendo, si immagina, dunque, un ruolo politicamente attivo delle Camere che avranno modo di discutere dialetticamente sul programma di governo. Certamente, sarà difficile si possano verificare le condizioni per un voto di sfiducia vista l’ampia maggioranza collegata al Presidente eletto.
CESSAZIONE DALLA CARICA
Quanto alle ipotesi di cessazione dalla carica, il disegno di legge 935 indica diverse strade. Innanzitutto, il sopracitato articolo 4, prevede che nel caso in cui non venga approvata inizialmente la fiducia, il Presidente della Repubblica rinnoverà l’incarico all’eletto. Ma, qualora, anche questo secondo tentativo dovesse risultare vano, la più alta carica dello Stato dovrà ricorrere all’istituto dello scioglimento delle Camere.
La seconda ipotesi di cessazione dalla carica di Presidente del Consiglio riguarda le dimissioni per ragioni politiche volontarie oppure le dimissioni a seguito del voto di sfiducia; non si dovranno trascurare vicende ulteriori quali la morte, l’impedimento permanente, le dimissioni per ragioni squisitamente personali. L’ articolo 4, comma 1, lett. b, prevede che, in caso di cessazione dalla carica, il Presidente della Repubblica possa conferire l’incarico al Presidente dimissionario oppure ad un parlamentare della maggioranza a lui collegato. Qualora il Governo nominato non ottenga la fiducia, anche questa volta il Presidente della Repubblica dovrà sciogliere le Camere. Questa si presenta come una norma cd. ‘antiribaltone‘, che dovrebbe evitare la formazione di governi ben lontani dal volere degli elettori.
In realtà, prevedendo che il Presidente della Repubblica possa conferire l’incarico ad un parlamentare vicino al Premier dimissionario, si darà comunque adito a giochi ed alchimie nel seno nella maggioranza parlamentare. Verrebbe così tradita la volontà degli elettori, chiamati a scegliere ed eleggere un Presidente ben preciso.
CONCLUSIONI
La riforma del c.d. premierato appare tutta tesa al superamento definitivo della centralità e del ruolo del Parlamento. E’ una riforma che, insomma, prende atto delle difficoltà e della crisi in cui versano la rappresentanza parlamentare, i circuiti ed i meccanismi democratici. Il legislatore, piuttosto che provare a guarire l’homme malade, risponde in questo modo a quell’esigenza tanto invocata della governabilità.
Perviene ad una semplificazione del processo decisionale attenuando le complessità ed i conflitti che dovrebbero tanto agitare una democrazia pluralista. Questa riforma che non trova eguali nelle altre esperienze ordinamentali, configura in definitiva una sorta di modello a maggioranza parlamentare.
Emerge – come dimostrato – un rafforzamento della maggioranza parlamentare in diretta connessione con il Presidente eletto. Ma la domanda aperta che poniamo è: il Premierato rimane l’unica strada percorribile?
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