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    Presunzione di non colpevolezza e diritto di cronaca: una norma bavaglio?

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    Il Consiglio dei Ministri del 9 dicembre ha approvato lo schema di decreto legislativo recante: “Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”. La norma si pone il fine di tutelare la presunzione di non colpevolezza, mediante il divieto di pubblicare le ordinanze che applicano misure cautelari personali, fino a che non siano concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

    Le novità normative

    La presunzione di non colpevolezza è garantita, nell’ordinamento italiano, dall’art. 27, comma 2, Cost. il quale prevede che: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Questo principio, in sintesi, si traduce nel fatto che l’imputato, fino a sentenza passata in giudicato, non è considerato colpevole del delitto a lui contestato e questo vale in caso anche di soggetto colto nella commissione del reato o, ancora, in caso di piena e dettagliata confessione.

    L’intervento normativo si pone dunque lo scopo di dare attuazione alla direttiva (UE) 2016/343 che, all’art. 4, prevede: “Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Ciò lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell’indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità”.

    Già una prima modifica, all’art. 114 c.p.p. che, appunto, disciplina il divieto di pubblicazione di atti e di immagini, era avvenuta con la l. 9 agosto 2024, n. 114 che disciplinava il divieto di pubblicare le intercettazioni.

    Lo schema di decreto legislativo approvato mira ad introdurre il comma 6-ter che, nel mantenere ferma la regola generale della pubblicabilità del contenuto degli atti non più coperti da segreto, introduce un divieto di pubblicazione delle ordinanze che applicano una misura di custodia cautelare fino a che non siano concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. In definitiva non potranno essere più divulgati e pubblicati i passaggi delle ordinanze con le quali il giudice per le indagini preliminari applica una misura cautelare custodiale (in carcere o agli arresti domiciliari), onde evitare di ledere la presunzione di non colpevolezza.

    La ratio della norma è quella di evitare che elementi ed atti di un procedimento penale, che è di fatto ancora in fase di indagine, vengano resi pubblici e creino, specialmente nell’opinione pubblica, una distorta percezione dei soggetti indagati.

    Non bisogna dimenticare che l’ordinanza che applica una misura cautelare si basa sugli atti raccolti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria e rappresenta quindi solamente un lato della medaglia che compone il procedimento penale; lato che, proprio per sua struttura, non contempla le ipotesi difensive. La diffusione delle intercettazioni e delle ordinanze rischia insomma di alimentare il c.d. processo mediatico che, non tenendo conto dei principi costituzionali, addita l’indagato come già colpevole compromettendo, anche irrimediabilmente, la vita.

    A questo si aggiunga, da un punto di vista prettamente giuridico, che il giudice che in futuro sarà chiamato a giudicare l’indagato, poi imputato, non ha – nel rito ordinario – la possibilità di esaminare gli atti raccolti dal pubblico ministero, in quanto la prova si forma in dibattimento. Conseguentemente, la lettura di tali atti potrebbe, in via astratta, condizionare la decisione del giudice dibattimentale, che invece deve essere priva di qualsivoglia condizionamento.

    Note conclusive

    A seguito delle modifiche introdotte nell’agosto 2024 si erano poste delle criticità che definivano la norma come un bavaglio per la pubblica informazione. A ben vedere, la disposizione non vieta di informare l’opinione pubblica di procedimenti penali in corso di indagine; se da un lato non è consentito riportare testualmente l’ordinanza, è ben possibile che il giornalista sintetizzi il contenuto e quindi renda pubblica la notizia.

    Si deve poi considerare che non sono previste delle sanzioni per la violazione del divieto di pubblicazione, se non quelle previste dall’art. 684 c.p. (“l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da lire centomila a cinquecentomila”) e che non è prevista una responsabilità amministrativa ex d.lgs. 8 giugno 2001, 231 (norma sulla responsabilità delle persone giuridiche) in capo all’editore.

    Infine poteva essere esteso il divieto anche alle ordinanze che applicano una misura cautelare reale (sequestro) che contiene, seppur in maniera differente, valutazioni circa la responsabilità dell’indagato.

    In definitiva, la norma di recente approvazione non sembra risultare efficace per tutelare interessi e beni giuridici di particolare importanza, da un lato perché il divieto di pubblicazione potrebbe essere facilmente aggirato tramite un riassunto che evidenzi solamente l’aspetto più prettamente colpevolista e dall’altro per la mancanza di adeguate sanzioni che rappresentano il bilanciamento di ogni norma penale.

    A cura dell’Avv. Francesco Martin

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