Mentre la maggior parte degli italiani il 15 agosto accendeva il barbecue, pranzava con gli amici e i parenti e passava la giornata al mare, nel Regno Unito i diciottenni hanno ricevuto finalmente i risultati degli A-Levels, gli esami con cui si conclude la scuola superiore, l’equivalente della nostra Maturità.
Sono molti i problemi legati all’istruzione britannica e tutti traspaiono dai dati legati agli esiti degli esami finali di quest’anno scolastico.
Gap sistemici
In Inghilterra, nello specifico, c’è un enorme gap che divide profondamente il Nord del paese dal Sud-Est, e questo sembra essere ancora incolmabile. A Londra e nelle contee limitrofe quest’estate i sixth-former (l’equivalente dei maturandi italiani) hanno ottenuto il 30% in più di A* (A star, ovvero il massimo dei voti con la lode in una singola materia) rispetto all’anno precedente, e oltre la metà degli studenti meridionali ha vinto un posto all’università. La situazione al Nord-Est è invece nettamente diversa: nell’East Midlands c’è stato un discreto aumento dei voti dello 0,2%, che ha portato la percentuale di A* al 22,5% nella contea. Qui, inoltre, si registra il minor numero di iscrizioni all’università a livello nazionale: solo uno studente su tre ha deciso di intraprendere una carriera universitaria.
A tal proposito, la Segretaria di Stato per l’Istruzione Bridget Philipson – originaria di Tyne and Wear, proprio nel Nord-Est – ha promesso di fare il possibile per azzerare le barriere che sono state alzate tra le due zone d’Inghilterra. L’obiettivo è permettere ai ragazzi provenienti da regioni considerate più disagiate di avere le stesse possibilità di tutti gli altri. “La tremenda verità è che dopo quattordici anni di Governo conservatore, il posto da cui vieni o il tipo di scuola che hai frequentato ripagano di più del duro lavoro”, afferma Philipson, che continua dicendo, “non è giusto che i giovani del Sud-Est in media vadano meglio a scuola rispetto a quelli del Nord-Est, da dove vengo io” – parlando dunque per esperienza personale.
Questa divergenza nei dati è un altro dei riflessi di un sistema che sta crollando, o che è sul punto di farlo, già da tempo. La povertà infantile sta dilagando e, di certo, l’aumento generale del costo della vita – sommato ad una situazione economica in cui un copioso numero di famiglie deve recarsi ai banchi alimentari e in cui affittare o comprare casa è praticamente diventato impossibile (soprattutto al Sud e a Londra, dove peraltro sono concentrate le università più prestigiose) – non garantisce realmente a tutti i giovani il diritto allo studio.
Il costo delle università
Il costo delle università è troppo alto. Questa è l’opinione diffusa tra i britannici, soprattutto perché, fino al settembre del 1998, l’università era totalmente gratuita. L’allora Primo Ministro Laburista Tony Blair aveva introdotto una tassa annuale progressiva solo per chi possedeva un reddito annuo superiore alle 23,000 sterline, imposta che poteva raggiungere un tetto massimo di 1,000 sterline, da pagare insieme alle tasse statali sul reddito. Nel 2004 il tetto massimo si è alzato a 3,000 sterline per arrivare a un massimo di 9,250 sterline nel 2010, con l’ulteriore rimozione del principio progressivo sulla tassa. E questo solo per le lauree di primo livello: per i master valgono invece altre regole e i costi sono ancora più elevati. Uno studente che ad oggi volesse intraprendere un ciclo di laurea completo in Inghilterra, si troverebbe a dover pagare all’incirca tra le 40 e le 50 mila sterline. Costi inimmaginabili, questi, per chi non proviene da famiglie agiate. Ciò fa anche riflettere sui motivi del risentimento sociale dilagante in Inghilterra e nel resto del Regno Unito.
Dal 1999 le borse di studio che il Governo indirizzava al pagamento di vitto e alloggio degli studenti diventano quelle che oggi sono i tanto odiati prestiti studenteschi, erogati da enti specializzati: se è pur vero che danno la possibilità di studiare ai giovani, ci si può ritrovare a doverli ancora estinguere dopo trent’anni di carriera; questo perché hanno dei tassi d’interesse veramente molto elevati e costringono le persone ad indebitarsi già dalla giovane età. Molti infatti si ritrovano a dover pagare un mutuo e ad avere ancora gran parte del prestito universitario che incombe sulle loro teste.
Gli studenti internazionali
Queste sono tutte regole che si applicano agli studenti britannici. Ma cosa succede a chi è considerato studente overseas? Gli sventurati studenti internazionali arrivano a pagare anche quattro volte tanto quello che pagano gli altri (per un master alla London School of Economics, ad esempio, si pagano intorno alle 37,000 sterline per un corso di soli 10 mesi). In questo caso non è più il governo a gestire e a calmierare le tasse universitarie, ma sono le università stesse a stabilirle. Ed è qui che lucrano profondamente. Infatti, a differenza di molte altre nazioni europee, in Inghilterra lo Stato non è il proprietario delle università: i membri dello staff sono stipendiati direttamente dall’ateneo e quindi non sono dipendenti pubblici, ma essendo organizzazioni senza scopo di lucro, le università sono comunque considerate statali. Negli anni si è quindi praticamente formata una specie di lobby attorno agli atenei, che continuano a aumentare il loro profitto a discapito degli studenti britannici e non, aumentando sempre di più la fetta di popolazione che non sente di avere accesso a un’istruzione superiore.
Con l’aumento del sentimento xenofobo nel Paese (che ha raggiunto un picco importante con le rivolte dell’ultimo mese), vengono erogati sempre meno visti per permanere nel Regno Unito dopo gli studi. Questo ha fatto si che gli studenti overseas siano notevolmente di meno, portando le università ad avere grosse difficoltà.