Il 14 ottobre è partita la prima nave militare italiana, la Libra, con sedici migranti a bordo, diretta in Albania. Secondo le informazioni diffuse dal Ministero dell’Interno italiano, che sta coordinando le operazioni, la nave avrebbe soccorso i migranti in acque internazionali vicino a Lampedusa. Dopo un primo colloquio, è stato deciso di trasferire forzatamente circa venti uomini, provenienti da Paesi considerati sicuri dall’Italia, tra cui Egitto e Bangladesh, nei nuovi centri per migranti in Albania, dove saranno sottoposti a detenzione amministrativa.
Contrariamente a quanto annunciato in precedenza, Roma ha scelto di utilizzare navi militari, e non traghetti civili, per questi trasferimenti. Alcuni giuristi ritengono che tali operazioni possano configurarsi come “respingimenti collettivi“, potenzialmente in violazione delle norme internazionali.
Il primo gruppo ha raggiunto il porto di Shengjin, dove i migranti verranno ulteriormente identificati e sottoposti alle procedure di asilo nei centri extraterritoriali, gestiti dalle autorità italiane in territorio albanese. É la prima volta che in Europa si svolge un’operazione di questo tipo; secondo diversi esperti legali quest’ultima potrebbe essere in conflitto con la Costituzione italiana e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Il primo trasferimento
Le operazioni di soccorso, avvenute nella zona di ricerca italiana in acque internazionali, si sarebbero svolte nella notte tra il 13 e il 14 ottobre. Diverse motovedette avrebbero partecipato, trasferendo i migranti considerati non vulnerabili e provenienti da Paesi sicuri a bordo della nave della marina militare italiana. Le informazioni fornite dal Ministero dell’Interno italiano sono scarse, e l’intera operazione si è svolta senza possibilità da parte della stampa di documentarla.
Non appena i migranti sono arrivati nei centri gestiti dall’Italia in Albania, quattro dei sedici (dieci egiziani e sei bengalesi), trasportati a bordo della nave Libra della Marina Militare, sono già tornati in Italia. I primi due, dichiaratisi minorenni e quindi esclusi dall’accordo tra Roma e Tirana, sono stati immediatamente riportati indietro con una motovedetta. Successivamente, altri due migranti sono stati rimpatriati, questa volta per motivi di salute.
Gli altri migranti verranno trasferiti a Gjadër, un ex sito dell’aeronautica militare albanese situato a circa venti chilometri dal porto. In questo luogo si trovano tre strutture diverse: un hotspot con una capacità di 880 posti per trattenere i richiedenti asilo, un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) con 144 posti, e un piccolo carcere con venti posti.
L’accordo tra Italia e Albania, firmato l’anno scorso, prevede che l’Albania ospiti fino a tremila migranti, mentre l’Italia gestirà una procedura accelerata di asilo tramite i suoi funzionari. Il costo delle strutture sarà di almeno 670 milioni di euro per un periodo di cinque anni; queste saranno gestite dall’Italia e opereranno sotto la giurisdizione italiana, con le forze dell’ordine albanesi responsabili della sicurezza esterna. Il progetto ha ricevuto il supporto della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
In una lettera indirizzata ai leader europei in vista del Consiglio Europeo del 17 e 18 ottobre, Ursula von der Leyen ha scritto: “Dovremmo anche continuare a esplorare possibili strade da percorrere riguardo all’idea di sviluppare centri di rimpatrio al di fuori dell’Unione europea, soprattutto in vista di una nuova proposta legislativa sui rimpatri“.
Le critiche
Tuttavia, molti esperti criticano duramente l’operazione e stanno preparando ricorsi legali. Fulvio Vassallo Paleologo, giurista esperto di diritto del mare, ha sottolineato il rischio di possibili “respingimenti collettivi“. Secondo Vassallo Paleologo, sebbene la legge di attuazione del protocollo Italia-Albania respinga espressamente le pratiche di chiusura dei porti, applicate in passato anche alle navi militari dall’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini, questo protocollo continua a essere in conflitto con la normativa europea. È probabile, aggiunge, che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea possa presto pronunciarsi in merito, nonostante le rassicurazioni del Ministro Piantedosi.
Il giurista cita anche l’articolo 53 della Convenzione di Vienna, che stabilisce: “È nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale”. Inoltre, Vassallo Paleologo ricorda che la nave Libra, oggi impiegata per questi trasferimenti, fu coinvolta nel tragico naufragio dell’11 ottobre 2013, noto come il “naufragio dei bambini“, avvenuto pochi giorni dopo un altro grave incidente il 3 ottobre dello stesso anno al largo di Lampedusa.
L’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) ha espresso forti critiche riguardo al trasferimento dei migranti in Albania per effettuare le procedure di frontiera, sostenendo che trasferire le persone in un paese extraeuropeo per svolgere queste procedure sarebbe contrario a principi fondamentali della Costituzione italiana. Se l’Italia applicasse le procedure accelerate già in uso nei centri di Pozzallo e Porto Empedocle, “lo Stato italiano starebbe esercitando una funzione non essenziale in un territorio che non è italiano, senza giustificazioni sufficienti per attivare tale procedura, come richiesto dalle leggi fondamentali“.
Inoltre, anche la Corte Costituzionale albanese, nella sua sentenza sull’accordo tra Italia e Albania, ha espresso diverse criticità e fissato dei limiti chiari. Viene citata, inoltre, una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) sul cosiddetto “Decreto Cutro“, che stabilisce chiaramente che non ci sono le condizioni di emergenza per considerare l’Egitto o il Bangladesh “Paesi sicuri“. Questi sono proprio i Paesi di origine del primo gruppo di migranti trasferito in Albania, rendendo la decisione ancora più controversa.
Aspetti profondi
Affrontare un viaggio di seicento miglia a bordo di navi della marina militare come la Libra presenta diverse problematiche. Innanzitutto, il costo richiesto da questo tipo di imbarcazione è molto elevato, rendendo i trasferimenti estremamente dispendiosi. Inizialmente, era stato previsto di utilizzare traghetti civili, come accaduto in passato per le cosiddette navi quarantena.
La differenza tra una nave civile e una nave militare, come la Libra, è significativa. La Libra è un pattugliatore di ottanta metri che viaggia a venti nodi, ma non dispone delle strutture adeguate, come le cinquanta cabine previste sui traghetti, né un’infermeria o un ufficio per l’identificazione dei migranti. Queste condizioni influiscono negativamente sui migranti, poiché gli spazi sono molto ristretti e pensati per un equipaggio di una quarantina di persone. La situazione potrebbe peggiorare se si utilizzassero mezzi della guardia costiera, che offrono ancora meno comfort e spazio.
L’accordo tra Italia e Albania è fortemente contestato da organizzazioni per i diritti umani e da giuristi, che lo definiscono una forma di “deportazione“. L’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) critica duramente il protocollo, sostenendo che preveda “norme incerte e illegittime” che violano la Costituzione italiana. Tra i punti più critici c’è la previsione che, tramite una legge ordinaria o un accordo internazionale, si possa autorizzare il Governo o le forze armate a trasferire una persona che si trova già su territorio italiano, come su una nave italiana o militare, verso un Paese terzo. Questo, secondo l’ASGI, non conclude le operazioni di soccorso, ma impedisce l’ingresso della persona sul territorio italiano, configurando una sorta di deportazione, vietata dalle norme europee e internazionali, nonché incompatibile con i principi costituzionali.
Infine, anche Amnesty International ha espresso preoccupazione, descrivendo l’accordo come parte di una tendenza globale all’esternalizzazione del controllo delle frontiere e del trattamento delle richieste di asilo. Secondo Amnesty, la sua attuazione potrebbe avere gravi conseguenze sui diritti umani, mettendo a rischio la vita e l’integrità fisica delle persone soccorse in mare, nonché i loro diritti alla libertà personale e all’asilo una volta trasferite in Albania.