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    HomeItaliaProtocollo Italia Albania: i giudici 'di sinistra' sabotano il Governo?

    Protocollo Italia Albania: i giudici ‘di sinistra’ sabotano il Governo?

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    Penso che la decisione dei giudici di Roma sia una decisione pregiudiziale, lo dimostra il fatto che alcuni di questi giudici avevano criticato l’accordo con l’Albania ancora prima di entrare nel merito. Temo che debba anche colpire il fatto che questa decisione dei giudici è stata anticipata da alcuni esponenti del Partito Democratico“.[1]

    Queste le parole della Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, dopo che la XVIII sezione del Tribunale Civile di Roma, specializzata in materia di diritti della persona e immigrazione, statuiva il rifiuto della convalida del decreto del questore inerente al trattenimento dei migranti presso il centro in Albania (secondo la competenza territoriale dei giudici sancita dall’art. 4 co. 1 della legge 14/2024, promulgata dal governo Meloni e non dalla sinistra).

    Infatti per l’art. 13 della Costituzione – e ricordiamolo, non per le opinioni politiche dei giudici ‘di sinistra’ – nessuno può vedere reprimersi la propria libertà personale senza che il giudice convalidi i provvedimenti dell’autorità di pubblica sicurezza comunicati allo stesso entro 48 ore e convalidati entro ulteriori 48 (solo per casi eccezionali di necessità e urgenza).

    La legge dispone i casi e i modi, cioè le procedure, con cui si può comprimere la libertà personale. Questo punto è molto importante perché i giudici non possono derogare alle procedure con cui disporre la detenzione – anche amministrativa – di una persona. La questione focale è che l’intero impianto legislativo del Protocollo Italia Albania potrebbe crollare proprio per questo motivo.

    La disciplina del Protocollo alla luce delle leggi italiane e europee

    Secondo l’art. 4 comma 3 del Protocollo, i migranti sono trattenuti nel CPR al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio dei migranti. Fatto sta che, considerato l’art. 33 della Convenzione di Ginevra, i migranti non possono essere rimpatriati se sono nelle condizioni di richiedere asilo (anche visto l’art. 9 della direttiva 95/2011 CE adottata dall’Europa in attuazione degli artt. 18/19 CDFUE e 78 TFUE), ed ove si avvalgano di tale facoltà, si avviano apposite procedure (quelle richieste dall’art. 13 Cost.), dette procedure in frontiera.

    Secondo le procedure in frontiera il migrante richiedente asilo può essere trattenuto presso il CPR (centro di trattenimento per il rimpatrio) solo in due casi stabiliti dall’art. 28 bis D.lgs 25/2008 (col combinato disposto dell’art. 6 bis del D.lgs 142/2015):

    ● il caso in cui il migrante abbia provato a eludere o abbia eluso i controlli di frontiera (ipotesi impossibile per quei migranti che vengono soccorsi in mare e portati in Albania)

    ● il caso in cui il migrante provenga da un paese considerato sicuro.

    Esclusa la prima ipotesi, di difficile attuazione, solo i migranti nella seconda ipotesi possono essere soggetti a questo tipo di procedura, altrimenti dovranno essere ritrasferito in Italia in ragione del principio dell’inviolabilità della libertà personale, poiché questi non possono riacquisire la libertà in territorio albanese, né possono essere espulsi verso paesi non sicuri.

    Chi decide quali Paesi sono sicuri?

    Formalmente è il Ministro degli Affari Esteri che, con un decreto ministeriale, individua i paesi considerati sicuri secondo l’art. 37 della direttiva 32/2013, ma i giudici possono decidere di disapplicare il decreto ministeriale qualora ritengano che nel caso concreto il paese non sia considerabile come sicuro, in valutazione delle persecuzioni contro la persona umana, della presenza di trattamenti inumani e degradanti e del pericolo del danno grave alla persona derivante da conflitti interni o internazionali (come riportato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza Causa C-406/2022).

    La questione giuridica

    L’impianto dettato dal Governo Meloni non regge: tralasciando i minori non accompagnati che hanno diritto a rimanere in Italia ai sensi della legge 47/2017 e i soggetti fragili che hanno bisogno di cure (D.lgs 286/1998), anche tutti gli altri migranti verranno riportati in Italia, dato che sostanzialmente i giudici stabiliscono quando un paese non è sicuro facendo crollare di fatto le fondamenta del Protocollo Italia Albania.

    Vieppiù, non si comprende come possa essere compatibile il Protocollo con il diritto Ue, visto che all’art. 7 della direttiva 85/2005 viene sancito che il migrante richiedente asilo ha diritto di rimanere in territorio italiano finché non viene deciso dal giudice se egli vi possa restare o meno (il diritto UE prevale su quello italiano).

    Tutto questo non fa altro che aumentare le problematiche inerenti anche alla disapplicazione del diritto italiano e l’applicazione del diritto Ue da parte della marina e delle navi civili italiane: anche esse devono accertare che il migrante provenga da paesi sicuri prima di portarlo nel CPR albanese. Nemmeno cambiare le leggi sarebbe una scappatoia: la maggior parte delle leggi menzionate attua il diritto dell’Unione Europea (le direttive) e le leggi italiane difformi sarebbero incompatibili e, quindi, disapplicate dalle autorità amministrative e dai giudici.

    Il protocollo è incostituzionale?

    Per ultimo, si profilano dubbi di legittimità costituzionale del protocollo, per cui si violerebbe l’articolo 3 della Costituzione per ciò che riguarda la dignità umana e la discriminazione nei confronti dei cittadini degli stati terzi, nonché la potenziale discriminazione tra migranti stessi, in quanto alcuni salvati dalle navi ONG internazionali sono trasferiti in Italia e altri salvati dalle navi competenti italiane sono invece trasferiti in Albania. 

    Verrebbe, inoltre, violato il principio della proporzionalità (della pena) dell’intervento statale in situazioni innocue; davvero 16 migranti da soccorrere costituiscono un pericolo di ordine pubblico, tale da giustificare l’utilizzo di una nave della marina militare al fine di portarli in un centro detentivo fuori dall’Italia? C’è davvero bisogno di una tale spesa?

    Inoltre, questa procedura violerebbe vari diritti sanciti nella Cedu e i valori su cui si basa l’UE agli artt. 2 e 3 del Trattato sull’UE (dove vi sono i valori sul rispetto dei popoli, la pace, la non discriminazione etc.).

    I giudici dunque sembrerebbero aver applicato solamente il diritto Ue. Non sono né di destra, né di sinistra. Essi sono soggetti soltanto alla legge, come prevede la costituzione.


    [1] Dichiarazione di Giorgia Meloni alla conferenza Stampa a Beirut, Agenzia Vista. https://www.agenziavista.it/slider/il-punto-stampa-della-premier-meloni-in-libano-lavoriamo-per-il-cessate-il-fuoco-integrale/

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