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    Quorum e referendum abrogativo: proposte di modifica per contrastare la crisi della democrazia

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    Nei giorni scorsi si è svolta la consultazione referendaria avente ad oggetto cinque quesiti abrogativi: tra questi, uno concernente l’abrogazione parziale di alcune disposizioni del Jobs Act in materia di lavoro, mentre l’ultimo relativo alla riduzione del termine da dieci a cinque anni per la richiesta di cittadinanza da parte di cittadini extracomunitari.

    Anche in questa occasione, analogamente a quanto avvenuto nei referendum del 2016 e del 2022, non è stato raggiunto il quorum di partecipazione richiesto dall’art. 75 Cost., necessario ai fini della validità dell’esito referendario. L’ultima consultazione in cui fu raggiunto il quorum risale al 2011, in occasione del referendum sull’acqua pubblica.

    La normativa costituzionale

    L’articolo 1, comma 2, della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Tale disposizione sancisce che il potere sovrano dello Stato, ossia il diritto di determinare l’organizzazione e l’indirizzo politico-giuridico della comunità nazionale, risiede nel popolo, il quale lo esercita mediante i meccanismi democratici previsti dalla Carta costituzionale.

    In sede di Assemblea Costituente, il costituente Tosato intese, attraverso tale formulazione, affermare il principio secondo cui lo Stato trae la propria legittimazione dalla sovranità popolare e, contestualmente, definire i limiti del suo esercizio, stabiliti dalla stessa Costituzione e concretizzatisi, in primis, nella scelta di una forma di governo parlamentare. In tal modo, la Costituzione si configura quale limite al potere, posto che in un ordinamento democratico non esistono poteri illimitati.

    In questo quadro si inserisce l’articolo 75 Cost., che disciplina il referendum abrogativo. Esso risponde a una duplice funzione: da un lato, garantire la continuità dell’esercizio della sovranità popolare attraverso un istituto di democrazia diretta e partecipativa; dall’altro, costituire un meccanismo di controllo e pressione nei confronti del Parlamento.

    Il referendum nelle intenzioni dei costituenti

    Autorevoli costituenti, tra cui Calamandrei, riconoscevano l’utilità del referendum quale strumento di controllo dell’attività legislativa, ma al contempo ritenevano opportuno limitarne l’utilizzo, al fine di non pregiudicare il principio di rappresentanza parlamentare. Prevalse pertanto la concezione di una democrazia parlamentare e non plebiscitaria, nella quale la partecipazione popolare svolge un ruolo essenzialmente “difensivo”, intervenendo per correggere o rimuovere norme legislative ritenute in contrasto con la volontà collettiva.

    Il referendum abrogativo è stato dunque configurato come strumento accessorio e sussidiario rispetto al procedimento legislativo ordinario, destinato a consentire l’abrogazione di leggi impopolari o giudicate inique, senza tuttavia attribuire al corpo elettorale il potere di adottare nuove decisioni normative. In tale prospettiva si giustifica anche l’esclusione, ai sensi dell’art. 75, comma 2, Cost., di determinate materie – leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali – dal perimetro della consultazione referendaria, al fine di evitare che decisioni complesse, di natura tecnico-finanziaria o di rilevanza internazionale, vengano affidate a pronunce binarie prive del necessario approfondimento tecnico e del confronto parlamentare.

    Il carattere negativo del referendum 

    Il referendum abrogativo è stato costantemente qualificato, sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza costituzionale, quale strumento di democrazia diretta a carattere meramente negativo. Esso, infatti, non ha la funzione di introdurre nuove disposizioni normative, ma si limita a determinare la cessazione dell’efficacia di norme legislative già esistenti, senza poter essere impiegato per proporre assetti normativi alternativi, se non nei limiti eventualmente derivanti dalla disciplina residuale vigente.

    Tale impostazione è stata più volte confermata dalla Corte costituzionale, la quale ha precisato che il referendum abrogativo non produce effetti normativi autonomi, ma si limita ad eliminare le disposizioni sottoposte a voto popolare, rimanendo nella disponibilità del legislatore il compito di colmare gli eventuali vuoti normativi che dovessero derivare dall’abrogazione. 

    In tal senso si richiama, in particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012, in cui è stato ribadito che l’effetto del referendum si esaurisce nella caducazione della norma abrogata, senza che da ciò possano derivare effetti normativi sostitutivi o innovativi direttamente riconducibili all’esito referendario.

    La funzione del quorum

    L’articolo 75, comma 4, della Costituzione stabilisce che il referendum abrogativo ha esito positivo solo se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. In termini sostanziali, ciò comporta che il referendum sia valido solo al raggiungimento del cosiddetto quorum strutturale del 50% più uno degli elettori.

    Tale previsione è il frutto di un intenso dibattito in Assemblea Costituente, in cui emersero le posizioni favorevoli all’introduzione di un meccanismo di garanzia per l’uso dell’istituto referendario. In particolare, la proposta di subordinare la validità del referendum al raggiungimento di un determinato livello di partecipazione fu sostenuta, tra gli altri, da Giuseppe Dossetti, Piero Calamandrei e Renzo Laconi, i quali sottolinearono l’esigenza di evitare che un’esigua minoranza potesse determinare l’abrogazione di norme legislative votate dal Parlamento, compromettendo la coerenza dell’ordinamento e il principio di rappresentanza.

    Il quorum così delineato assolve a una duplice funzione, sistematica e garantista, all’interno dell’assetto costituzionale. Da un lato, rappresenta uno strumento di legittimazione democratica del referendum, in quanto assicura che l’efficacia abrogativa derivi da una deliberazione popolare effettivamente espressiva della volontà della maggioranza degli elettori. Dall’altro, costituisce un meccanismo di equilibrio tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, impedendo che l’iniziativa referendaria possa essere impiegata in modo strumentale o destabilizzante rispetto al ruolo del Parlamento, organo centrale della funzione legislativa.

    Il quorum si configura, pertanto, come un filtro di natura procedurale volto a garantire che il ricorso al referendum avvenga nel rispetto del principio di partecipazione democratica e della certezza del diritto, preservando nel contempo la stabilità dell’ordinamento e la continuità dell’attività legislativa.

    Proposte di modifica del quorum

    Negli ultimi decenni, anche a causa della crescente disaffezione verso la politica e del consolidarsi di tendenze astensionistiche nel corpo elettorale, il quorum strutturale previsto dall’art. 75, comma 4, Cost. si è trasformato, di fatto, in un limite pressoché invalicabile per la validità dei referendum abrogativi. Gli esiti delle consultazioni del 2016, del 2022 e da ultimo del 2025 confermano un andamento costante: pur in presenza di una certa mobilitazione su temi sensibili, non si riesce a raggiungere la soglia minima del 50% + 1 degli aventi diritto al voto, determinando l’inefficacia giuridica della volontà popolare eventualmente espressa.

    In tale contesto, il quorum è divenuto, nella prassi politica, uno strumento per far fallire l’istituto referendario attraverso un utilizzo consapevole e strumentale dell’astensione: piuttosto che partecipare al voto esprimendo dissenso nel merito, molte forze politiche preferiscono invitare all’astensione, contribuendo così non solo all’invalidazione della consultazione, ma anche allo svuotamento della sua funzione di effettiva espressione della sovranità popolare.

    Si è fatta largo una proposta di revisione costituzionale finalizzata all’eliminazione del quorum, sostenuta dal comitato “Basta Quorum“, composto in prevalenza dagli stessi promotori del quesito referendario sull’abbreviazione del termine per l’acquisizione della cittadinanza. Nelle ore immediatamente successive all’esito negativo della consultazione, è stata avviata una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare volta a sopprimere la soglia di partecipazione attualmente prevista.

    Le criticità

    Tuttavia, questa iniziativa solleva diverse criticità. In primo luogo, va rilevato che lo strumento della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, per quanto previsto dall’art. 71, comma 2, Cost., non garantisce affatto che il Parlamento sia obbligato a discuterla entro termini certi o ragionevoli. Nella prassi, infatti, molte proposte popolari non giungono neppure all’esame delle Commissioni competenti, rivelandosi dunque strumenti connotati più da valenza simbolica o propagandistica che da reale efficacia normativa.

    Sotto il profilo sostanziale, l’abolizione totale del quorum comporterebbe un rischio significativo per l’equilibrio tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa: si consentirebbe, in ipotesi, l’abrogazione di una legge parlamentare sulla base della sola partecipazione di una minoranza attiva dell’elettorato, con evidenti ricadute sulla stabilità dell’ordinamento e sul principio di certezza del diritto. Ne deriverebbe, in concreto, un indebolimento della funzione legislativa del Parlamento, e si aprirebbe la strada ad un uso potenzialmente strumentale o politico del referendum, in contrasto con la sua natura di istituto di garanzia e di partecipazione consapevole.

    Proprio per prevenire derive di questo tipo, la giurisprudenza costituzionale ha già posto dei limiti impliciti molto chiari alla configurazione del referendum abrogativo come strumento di “scontro” politico diretto: pur ammettendo che possa costituire un momento di conflitto tra popolo e rappresentanza politica, la Corte ha ribadito che il referendum non può essere utilizzato come strumento di lotta ideologica o come scorciatoia per minare l’assetto istituzionale.

    Alzare il numero di firme richieste per il referendum

    In alternativa all’eliminazione del quorum, Forza Italia ha recentemente proposto di innalzare il numero di firme richieste per la proposizione del referendum, portandole da 500.000 a un milione. La ratio sottesa sarebbe quella di introdurre un filtro più stringente, capace di selezionare le richieste referendarie maggiormente rappresentative e motivate.

    Tale proposta si colloca nel solco di altre riflessioni avanzate in dottrina, come quella di alcuni costituzionalisti che suggeriscono una riforma più articolata: da un lato, l’innalzamento del numero minimo di sottoscrizioni a 800.000 firme, tenuto conto della maggiore facilità oggi esistente nella raccolta, anche grazie all’ausilio di strumenti digitali; dall’altro, la sostituzione del quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto con un quorum corrispondente al 50% + 1 dei votanti alle ultime elezioni politiche. Quest’ultima soglia risulterebbe più aderente alla reale dimensione dell’elettorato attivo, contemperando così il principio di rappresentatività con la necessità di non rendere impraticabile l’istituto referendario.

    Ruolo della politica e dei partiti

    Di fronte al progressivo svuotamento funzionale dell’istituto referendario abrogativo, non appare saggio inseguire soluzioni semplicistiche, come l’abolizione integrale del quorum, che rischiano di compromettere l’equilibrio tra gli strumenti di democrazia diretta e le forme della rappresentanza. Più che intervenire meccanicamente sulla soglia di validità, sarebbe opportuno promuovere una riflessione di più ampio respiro sulla crisi della partecipazione politica e sulla funzione della rappresentanza democratica, interrogandosi sul ruolo che la politica – e, al suo interno, i partiti – dovrebbe tornare ad assumere in un ordinamento pluralista e costituzionalmente ordinato.

    I partiti, richiamati dall’art. 49 Cost. a concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale, dovrebbero recuperare la loro originaria funzione di mediazione sociale e di canalizzazione delle istanze popolari nei processi decisionali istituzionali, offrendo piattaforme di confronto autentico, costruendo consapevolezza collettiva e riattivando circuiti virtuosi di fiducia pubblica.

    Il rilancio della credibilità della politica non può prescindere da un rinnovato investimento nella qualità del dibattito pubblico, nella trasparenza dei meccanismi decisionali e nel rafforzamento delle strutture intermedie della democrazia, al fine di rendere effettiva e sostanziale la partecipazione dei cittadini alla vita della Repubblica.

    20250223

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