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    Referendum, affluenza definitiva al 30,58%: i commenti del mondo politico

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    Concluso il referendum che ha vista chiamata l’Italia ad esprimersi su cinque quesiti riguardanti il lavoro e la cittadinanza, è ora il momento di tirare le somme di questa tornata.

    È del 30,58% l’affluenza definitiva per i primi tre quesiti sulla disciplina del lavoro, del 30,60% quella per il quarto (responsabilità solidale degli infortuni sul lavoro tra committente, appaltatori e subappaltatori) e del 30,59% per il quinto quesito sulla cittadinanza: risultati insufficienti per la soglia costituzionale, che inficiano così la validità della votazione.

    Ancora una volta, più che una opinione, ha vinto il non voto, forse anche perché in questa occasione, più di altre, ci è stato detto che il diritto era quello di non votare, e non già quello di esprimere il proprio ruolo nella democrazia.

    I dati di affluenza

    La Toscana la regione italiana con più aventi diritto recatisi alle urne, con il 39,09% di affluenza, a cui segue l’Emilia-Romagna con il 38,10% e la Liguria, che – già con un po’ di distacco – si attesta al 35,08%

    Il Trentino Alto-Adige la regione con la minore affluenza (22,70%), accompagnata dalla Sicilia (23,10%) e dalla Calabria (23,82%).

    I dati dell’affluenza per regione in riferimento al quesito n. 1 – Ministero dell’Interno

    Il voto

    Numericamente indicativi altresì i risultati di voto per i singoli quesiti: per quelli dedicati al lavoro si rileva una media tra l’88 e l’89% di , indicativamente 11 milioni di voti, contro un 11-12% di no, corrispondenti a circa 1,4-1,5 milioni.

    Per il quesito referendario dedicato alla riduzione a 5 anni dei tempi di residenza legale per gli stranieri maggiorenni al fine di poter presentare richiesta di cittadinanza, si è espresso per il sì circa il 65% degli aventi diritto, con un 34% di no: sostanzialmente 1 cittadino su 3 ha votato contro l’ipotesi di riduzione, sintomo di una polarizzazione più accentuata sul tema cittadinanza.

    Le reazioni dei promotori 

    Il Segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, alla luce dei risultati, ha dichiarato: “Il nostro l’obiettivo era raggiungere il quorum, è chiaro che non lo abbiamo raggiunto. Oggi non è una giornata di vittoria”, affermando però che i temi che sono stato oggetto dei quesiti rimarranno sul tavolo: “Noi pensiamo che le milioni di persone che ci hanno dato il loro consenso debbano essere ascoltate e il problema adesso è come si risponde a queste 15 milioni di persone.”

    Il Segretario di +Europa, Riccardo Magi, pone invece una vera e propria questione di democrazia sul quorum, sostenendo che sia divenuto “un ostacolo”, e che si lavorerà per proporre “alle forze politiche in Parlamento, a partire da quelle che si sono pronunciate per il sì, di sostenere una riforma costituzionale che lo elimini”.

    Dai partiti e dal Governo

    Per il PD Elly Shlein rivendica il supporto del partito a sostegno dei promotori, e tira una frecciata al governo: “Per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022” e aggiunge “La differenza tra noi e la destra di Meloni è che oggi noi siamo contenti che oltre 14 milioni di persone siano andate a votare, mentre loro esultano perché gli altri non ci sono andati. Ne riparliamo alle prossime politiche”

    Dal Governo il vicepremier Tajani parla di “sconfitta della sinistra”, proponendo una riforma del sistema referendario: “Forse bisogna cambiare la legge sui referendum, servono probabilmente più firme, anche perché abbiamo speso tantissimi soldi, per esempio per portare centinaia di migliaia, milioni di schede per gli italiani all’estero che sono tornate bianche”.

    Matteo Salvini interviene tranchant sul tema della cittadinanza, invocando norme ancora più severe: “Non basta qualche anno di residenza ma conoscere, rispettare e amare la legge, la lingua e la cultura del Paese che ti ospita, altrimenti tutti a casa”.

    Il partito della premier, Fratelli d’Italia, ne fa una questione di consenso, e parla di attacco non riuscito da parte della sinistra. Così Donzelli: “Hanno tentato una spallata al governo Meloni e per l’ennesima volta si sono slogati la spalla. Il 30% scarso è d’accordo con loro e tutti gli altri sono d’accordo con il governo, a quanto pare”.

    In definitiva

    Di nuovo quello che dobbiamo fare è provare a captare i sensi e gli umori attraverso una espressione minima, addirittura inferiore ad un terzo di tutti gli aventi diritto.

    Il percorso per giungere ad una votazione referendaria è lungo e complesso, e nella maggior parte dei casi, nella storia repubblicana, i quesiti non hanno raggiunto il numero minimo richiesto, inficiando qualsiasi possibile effetto e vanificando sforzi, anche economici, non indifferenti.

    Forse è la volta buona per fare una riflessione seria sul valore degli strumenti democratici e, soprattutto, di finire il gioco al ribasso a scapito della Democrazia.

    Di Yari Nicholas Turek – Direttore editoriale

    20250221

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