In occasione dell’avvio della campagna itinerante Città2030, Legambiente ha pubblicato l’edizione 2024 del report annuale “Mal’Aria di città” che analizza i dati relativi al materiale particolato PM10 (polveri sottili) e al biossido di azoto presenti nei capoluoghi di provincia italiani. Secondo l’ultimo studio dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, gli attuali limiti previsti dalla normativa dell’Ue non sono ancora rispettati in tutta Europa.
I nuovi standard sulla qualità dell’aria introdotti nella recente direttiva europea AQD, la cui entrata in vigore è prevista per il 2030, sono più ambiziosi di quelli attuali e dovranno fin da subito essere da stimolo per tutti gli Stati membri ai fini del grande obiettivo di conseguire l’inquinamento zero entro il 2050. In questo scenario, l’Italia risulta ancora molto indietro e la direttiva è chiara sul punto: i cittadini dell’Ue potranno chiedere un risarcimento per i danni alla loro salute dovuti al mancato rispetto delle norme dell’Ue in materia di qualità dell’aria.
La direttiva AQD
Il 14 ottobre scorso, il Consiglio europeo ha adottato formalmente la direttiva che stabilisce standard di qualità dell’aria aggiornati in tutta l’Ue. Le nuove norme dovrebbero contribuire all’obiettivo di conseguire l’inquinamento zero entro il 2050 e scongiurare così i decessi prematuri dovuti all’inquinamento atmosferico. La direttiva dà quindi priorità alla salute dei cittadini dell’Ue: stabilisce nuovi standard di qualità dell’aria per gli inquinanti, da raggiungere entro il 2030, maggiormente allineati agli orientamenti dell’OMS sulla qualità dell’aria. Tali inquinanti comprendono, tra l’altro, il materiale particolato PM10 e PM2,5, il biossido di azoto e il biossido di zolfo, tutti notoriamente responsabili di problemi respiratori.
Gli Stati membri, però, soddisfatte alcune condizioni specifiche, hanno l’opportunità di chiedere che il termine del 2030 sia prorogato. La qualità dell’aria è valutata utilizzando metodi e criteri comuni in tutta l’Ue; in aggiunta, la direttiva apporta ulteriori miglioramenti al monitoraggio e alla modellizzazione della qualità dell’aria.
Quest’ultima detta poi norme specifiche in tema di accesso alla giustizia e diritto al risarcimento: essa garantisce un accesso giusto ed equo alla giustizia per le persone che risentono – o che è probabile che risentano – dell’attuazione della direttiva. Gli Stati membri devono garantire che i cittadini abbiano il diritto di chiedere e ottenere un risarcimento quando la loro salute subisce un danno a causa di una violazione delle norme in materia di qualità dell’aria stabilite nella direttiva stessa.
Lo studio di Legambiente sul particolato
Nel 2024, 25 città su 98 hanno superato i limiti di legge per il PM10; 35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo e la presenza di oltre 50 centraline di monitoraggio di fondo urbano dislocate in diverse zone dello stesso centro abitato. In cima alla classifica troviamo Frosinone-Scalo, per il secondo anno di fila, con 70 giorni oltre i limiti consentiti, seguita da Milano con 68 giorni. Al terzo posto assoluto si posiziona Verona, a quota 66 giorni di sforamenti, mente al quarto Vicenza-San Felice a 64.
Non si salvano città che negli anni passati risultavano più lodevoli, come Treviso, Lodi, Asti e Ravenna. Dal momento che non sono centraline isolate a rilevare lo sforamento del limite giornaliero, Legambiente rivela come l’inquinamento atmosferico sia un problema “diffuso e strutturale”, ben più esteso di quanto amministratori locali e cittadini vogliano ammettere.
Se andiamo a vedere la media annuale del particolato, il bicchiere può apparire mezzo pieno o mezzo vuoto: è vero che nessuna città capoluogo di provincia ha superato nel 2024 il limite normativo stabilito in 40 microgrammi per metro cubo come media annuale; tuttavia, se si prendono a riferimento i valori suggeriti dall’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che nelle sue linee guida indica in 15 µg/mc la media annuale da non superare, circa il 97% dei capoluoghi di cui si avevano dati a sufficienza non rispetta tale valore. Seguono di qui danni alla salute delle persone che vivono e lavorano in queste aree urbane.
Entro il 2030, continua lo studio, le nostre città dovranno ridurre le concentrazioni attuali tra il 28% e il 39%; tra le città più arretrate in questo percorso figurano Verona (media annuale 32,6 µg/mc e riduzione necessaria delle concentrazioni del 39%), Cremona, Padova, Catania (media 30,7 µg/mc e riduzione del 35%), e Milano (media 30,5 µg/mc e riduzione del 34%). Operazione tutt’altro che semplice anche per gli altri 51 capoluoghi che dovranno ridurre le concentrazioni tra il 3% e il 27%. Solo 28 capoluoghi, ad oggi, rispettano il valore previsto al 2030 e solo 3 città rispettano il valore indicato dall’OMS.
Le fonti di emissioni
Si auspica un lavoro sinergico tra tutte le istituzioni coinvolte in quanto l’origine del particolato è multiforme e frammentata. Il PM10 è emesso principalmente dai combustibili solidi per il riscaldamento domestico, dalle attività industriali, dall’agricoltura e dal trasporto su strada. Per questo motivo, in base alle peculiarità del territorio, occorre studiare interventi ad hoc in grado di rispondere alle esigenze locali. Lo studio del Cigno Verde fornisce l’esempio del bacino padano: questa è un’area densamente popolata e industrializzata con condizioni meteorologiche e geografiche specifiche che favoriscono l’accumulo di inquinanti atmosferici.
Se a questo si aggiunge l’enorme impatto che genera anche il settore zootecnico, si capisce come per risolvere il problema “andrebbe rivisto l’intero sistema agrozootecnico padano mediante l’implementazione di buone pratiche (come la copertura delle vasche…) e, più in generale, andrebbe ripensato un intero settore cresciuto troppo nei decenni passati per rispondere al richiamo dell’industria alimentare, portandolo invece a produrre meno ma meglio, e in equilibrio con il territorio, riducendo così anche l’impatto sulla qualità dell’aria”.
La mappa dell’inquinamento urbano
Lo scenario tenderà, tra l’altro, a peggiorare con l’entrata in vigore della nuova Direttiva europea sulla qualità dell’aria, a partire dal 1° gennaio 2030, per il PM10: sarebbero infatti solo 28 su 98 le città a non superare la soglia di 20 µg/mc, che è il nuovo limite previsto, esponendo così le stesse a sanzioni importanti. Tra le città più in difficoltà si annoverano Verona, Cremona, Padova e Catania, Milano, Vicenza, Rovigo e Palermo.
Anche per l’altro inquinante, il biossido di azoto, il 2024 ha mostrato “luci ed ombre”: in nessuna città il valore medio annuale ha superato il valore limite stabilito dall’attuale normativa europea; se però si analizzano le singole centraline urbane, undici in cinque diverse città hanno superato il valore limite di legge, esponendo i cittadini dei quartieri limitrofi a indici insalubri. Nello specifico, il 45% dei capoluoghi non rispetta i nuovi valori di 20 µg/m³ e le situazioni più critiche si registrano a Napoli, Palermo, Milano e Como, dove è necessaria una riduzione compresa tra il 40% e il 50%.
Azioni politiche mirate e strutturali
“I dati del 2024 confermano che la riduzione dell’inquinamento atmosferico procede a rilento” – sostiene Andrea Minutolo, geologo e responsabile scientifico di Legambiente – “con troppe città ancora lontane dagli obiettivi target”. L’inquinamento atmosferico è anche la prima causa ambientale di morte prematura in Europa, “con circa 50.000 morti solo in Italia”. Le conseguenze, tra l’altro, non si limitano all’ambiente, ma coinvolgono anche la salute pubblica e l’economia.
Secondo Giorgio Zampetti, “le misure da adottare sono chiare e le tecnologie pronte: quello che manca è il coraggio di fare scelte incisive per la salute dei cittadini e la vivibilità delle nostre città”. Le proposte sono varie: per quanto riguarda i trasporti, il report punta sul potenziamento del trasporto pubblico in modo da ampliare il bacino d’utenza, sul graduale stop ai veicoli inquinanti nei centri urbani e sull’aumento delle corsie preferenziali e delle aree pedonali. E, ancora, quest’ultimo parteggia per la promozione della mobilità leggera (bici, monopattini, camminate) e il modello della ‘città in 15 minuti‘.
Per il settore agricolo e zootecnico la soluzione ottimale consisterebbe nella riduzione degli allevamenti intensivi e nell’incremento delle best practices per contenere le emissioni di metano e ammoniaca. Per quanto riguarda il riscaldamento domestico, infine, lo studio auspica la progressiva eliminazione delle caldaie a gasolio e metano, favorendo invece le pompe di calore a gas naturali. Permangono comunque due quesiti fondamentali: siamo davvero pronti per il cambiamento e chi si addosserà i costi necessari per attuarlo?
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