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    Revenge porn: cicatrici digitali

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    Stando agli ultimi accadimenti, risale ad una settimana fa la notizia che vede vittima una 22enne di Milano. Il carnefice, un 44enne, era stato già denunciato per atti persecutori dopo la decisione della donna di troncare la loro relazione. Dopo la prima denuncia, l’uomo non ha smesso di tormentarla e ha deciso di stampare e diffondere immagini della ex compagna, dando vita ad un vero e proprio incubo. L’ennesimo.

    In Italia sono circa due milioni le vittime di tale reato; più del doppio delle persone conoscono qualcuno che ne è stata vittima. A dirlo è uno studio condotto da The Fool – società di reputazione digitale – su commissione dell’associazione Permesso Negato, che studia il fenomeno e offre sostegno alle vittime di pornografia non consensuale e di violenza online.

    Normativa di riferimento

    La legge 19 luglio del 2019 n. 69, all’articolo 10, ha introdotto in Italia il reato di revenge porn con la denominazione di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. Il Codice Rosso, a tutela delle donne vittime di violenza domestica e di genere, ha altresì introdotto nella legge italiana una nuova fattispecie penale all’art. 612 – ter rubricata: “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. La norma punisce chi – dopo averli sottratti, ricevuti, acquisiti – invia, consegna, cede o diffonde tali immagini o video senza il consenso della persona ritratta.

    Le sanzioni per le persone che diffondono materiale pornografico non consensuale sono diverse: si va dalla condanna, all’utilizzo del braccialetto elettronico, fino ad arrivare a multe sino a 15mila euro. Viene infine prevista la possibilità di scontare una pena in carcere da uno a sei anni. L’introduzione di questa norma ha anche consentito l’inasprimento delle condanne per chi commette reati legati al revenge porn, come lo stalking o le lesioni personali.

    La violazione della privacy e la pubblicazione di materiali pornografici provocano un trauma profondo per le vittime. Non a caso sono nate associazioni di sostegno sia psicologico che legale, inoltre il garante per la protezione dei dati personali ha messo a disposizione degli utenti un canale di emergenza volto a bloccare – in modo tempestivo e preventivo – i materiali diffusi senza consenso.

    Le dimensioni sconvolgenti raggiunte

    L’escalation dei casi riconducibili a tale pratica, negli ultimi anni, è aumentata a dismisura. La polizia postale ha constatato un aumento dei casi di revenge porn pari al 78% rispetto agli anni passati. Tendenza, questa, che non sembra certo arrestarsi.

    Allo stesso tempo, inoltre, sono aumentati i casi di “sextortion”, ovvero ricatti sessuali realizzati attraverso il web. Modalità, quest’ultima, ormai diffusa di estorsione mediante immagini o video che ritraggono un soggetto, molto spesso una donna in intimità. Il lockdown ha evidenziato una crescita di fenomeni di questo tipo, considerato l’aumento del tempo libero trascorso in rete; in Italia se ne contano circa mille casi l’anno. Nel 2023 sono proliferati soprattutto a danno dei minori: lo rileva il bilancio annuale della Polizia Postale, che sottolinea come il reato – prima “appannaggio del mondo degli adulti” – attualmente coinvolga in maniera sempre più frequente gli adolescenti.

    Forme di violenza, “vendette” pornografiche il cui unico obiettivo è quello di umiliare e danneggiare la persona ritratta senza consenso, distruggendone in molti casi la stessa vita.

    La Corte di Cassazione adotta una linea dura contro questo fenomeno, condannando per violenza sessuale consumata chi ricatta vittime online per ottenere immagini di autoerotismo, pur senza alcun contatto fisico. A stabilirlo è la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza del 14 marzo 2024 n. 10692.

    Nonostante siano passati anni dall’entrata in vigore della legge Codice Rosso, la condivisione non consensuale di materiale intimo non è ancora considerata alla stregua di altri reati. Stando al report non lo è nemmeno per una vittima su tre, che scopre il fatto attraverso messaggi privati, chat, forum online, canali ad hoc e passaparola. Il mancato riconoscimento è probabilmente legato anche al fatto che il legislatore italiano associa la condivisione di immagini a un sentimento di vendetta nei confronti della vittima. Da qui l’utilizzo scorretto del termine “revenge porn”.

    Implicazioni psicologiche

    Uno dei rischi legati al sempre più invasivo utilizzo delle tecnologie nelle relazioni umane è proprio la divulgazione non consensuale di materiale privato. Un abuso, questo, capace di ripercuotersi anche sulla salute mentale di chi ne è vittima. Il trauma emotivo che ne deriva persiste nel tempo e influenza significativamente la vita di queste donne. Il senso di colpa, di vergogna e di umiliazione sono sentimenti comuni che ledono nel profondo lo stato d’animo delle vittime, portandole spesso all’isolamento sociale per la paura del giudizio o dello stigma: ci si auto condanna ad un confinamento che va a peggiorare ulteriormente il  benessere psicologico. Agli effetti psicologici, spesso, si associano molestie, perdita del lavoro o difficoltà nella ricerca di un nuovo impiego. Come se non bastasse, lo scandalo che segue alla divulgazione non consensuale può portare al licenziamento della vittima. Talvolta, può persino indurre un atteggiamento prevenuto e diffidente.

    Il revenge porn è fatto per ferire, umiliare, fare male. Una violenza, questa, che arriva a compromettere la reputazione della vittima, la sua carriera lavorativa, la qualità delle relazioni familiari. In alcuni casi gli effetti di questa complessa dinamica sono così disperanti da indurre la vittima al suicidio.

    Una doverosa premessa va fatta in relazione al fenomeno conosciuto per l’appunto come “pornografia della vendetta”. Definizione, quest’ultima, fuorviante e pericolosa che si presta a numerose interpretazioni che potrebbero in qualche modo portare a giustificare tali atti. I quali, in realtà, costituiscono a tutti gli effetti un reato.

    Il concetto di vendetta presuppone il fatto che, alla base, vi sia un torto subito dal soggetto o un qualunque danno cagionato in virtù del quale ci si vendica di qualcuno che ci ha fatto qualcosa di sbagliato. Tali episodi nulla hanno a che vedere con i fatti di cui si discute periodicamente. Imparare a trattare questo fenomeno come vero e proprio reato rappresenta il primo passo verso una piena consapevolezza dello stesso, la sua prevenzione e, soprattutto, lo sradicamento di una cultura che vede ancora il corpo femminile come oggetto di proprietà dell’uomo.

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