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    Riconoscimento della Palestina: passo concreto o moneta retorica?

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    Quando nel 1948 nacque lo Stato di Israele, la promessa di uno Stato palestinese indipendente è stata ripetuta alla popolazione per decenni, ma oggi quella prospettiva appare più lontana che mai: Gaza è devastata, la Cisgiordania è frammentata da colonie ormai numerose, con il governo israeliano, sostenuto da partiti ultranazionalisti, che ha annunciato a chiare lettere che nessuno Stato palestinese potrà nascere a ovest del fiume Giordano. 

    In questo scenario paradossale, alcune capitali occidentali hanno improvvisamente riscoperto il vocabolario del diritto internazionale decidendo di riconoscere lo Stato di Palestina, per cui una domanda sorge spontanea: siamo davanti a un cambio di rotta storico o all’ennesimo tentativo dei governi di tranquillizzare le coscienze dei cittadini senza produrre però conseguenze pratiche e concrete?

    Riconoscimento simbolico: se la realtà corre nella direzione opposta

    Una prima ondata di riconoscimenti è arrivata a maggio 2024 con Madrid, Dublino, Oslo e Reykjavik. Dopo lo stillicidio di morti in seguito agli attacchi israeliani a Gaza, altri Paesi – tra cui Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo – hanno annunciato nei mesi successivi l’intenzione di seguire la stessa strada. In occasione dell’Assemblea generale dell’ONU in corso nelle ultime ore, la spinta si è rafforzata, con Emmanuel Macron che ha proclamato il riconoscimento della Palestina da parte di Parigi, esortando a “fare tutto il possibile per preservare la soluzione a due Stati

    Contestualmente Lussemburgo, Malta, Belgio e Monaco si sono uniti ai tre quarti dei membri ONU che già riconoscono la Palestina. Anche il Regno Unito ha annunciato che assumerà la medesima posizione dall’Eliseo, mentre Giorgia Meloni ha riferito che l’Italia riconoscerà lo Stato palestinese a condizione che ci sia in primis il rilascio degli ostaggi e in secondo luogo l’esclusione di Hamas da future dinamiche di governo.

    Dietro la retorica pacifista dei governi in questione, emerge soprattutto la necessità di placare un’opinione pubblica indignata per la mattanza di esseri umani che da anni ormai produce decine di migliaia di vittime, anche a causa dell’incapacità – o dell’assenza di volontà – dei governi occidentali di fermare l’alleato israeliano. 

    Il caso dell’Italia è lampante vista l’ondata di manifestazioni che ha avuto luogo ieri in tutto il Paese in cui la società civile ha chiesto a gran voce al Governo di assumere una posizione netta sul genocidio in corso. Questa corsa al riconoscimento arriva però tardi e rischia di essere priva di conseguenze pratiche dato che circa 150 dei 193 membri dell’ONU riconoscono già lo Stato di Palestina pur non impedendo a Israele di continuare l’occupazione illegale e di espandere le colonie. 

    Spagna, l’eccezione che mette in imbarazzo l’Europa

    Mentre la maggior parte dei governi europei riconoscono lo Stato di Palestina a parole continuando a fare affari come se niente, un Paese ha accompagnato il riconoscimento con atti concreti, ovvero la Spagna. Il governo di Pedro Sánchez non si è limitato alla dichiarazione simbolica, ma ha vietato il transito di armi e carburante per jet diretti in Israele e ha disposto un bando d’ingresso per le persone coinvolte nel genocidio. 

    Sánchez, intervenendo all’ONU, ha sottolineato l’importanza del riconoscimento invitando gli altri Stati a compierlo, ma ha anche chiesto con forza alla comunità internazionale di fermare la vendita di armi a Israele poiché l’indipendenza palestinese non può essere affermata mentre si continuano a rifornire gli arsenali dell’occupante. È proprio questa contraddizione di fondo ad alimentare la percezione di un’ipocrisia sistemica che mina la credibilità dell’Occidente agli occhi dell’opinione pubblica globale.

    Riconoscimento e annessione: il boomerang della simbolica

    L’ulteriore paradosso è che i riconoscimenti occidentali rischiano di diventare il pretesto per accelerare l’annessione della Cisgiordania. Il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, ha annunciato che proporrà l’annessione di nuovi territori occupati come risposta diretta alle mosse di Londra, Ottawa, Canberra e Lisbona. Il governo di Benjamin Netanyahu, appoggiato da partiti che puntano a incorporare tutta la Cisgiordania, ha già discusso in sede di gabinetto di estendere la sovranità israeliana sulle terre conquistate nel 1967. 

    Mentre le cancellerie parlano di “soluzione a due Stati”, dunque, Israele ha accelerato la costituzione e l’approvazione di nuove colonie, continuando a frantumare la Cisgiordania. Una strategia bellicista – che si traduce in una geografia dell’oppressione tramite cui città e villaggi palestinesi vengono di fatto isolati – avanza nel silenzio mentre l’Europa discute di riconoscimenti simbolici. 

    La “linea rossa” del mondo arabo

    Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno tentato di normalizzare i rapporti con Israele nel 2020, hanno avvertito che un’annessione della Cisgiordania sarebbe una “linea rossa” e rischierebbe di mandare in frantumi gli Accordi di Abramo. La preoccupazione è condivisa da altri Paesi arabi che temono un’escalation incontrollabile: riconoscere la Palestina senza fermare l’espansione illegale di Israele rischia di legittimare un’annessione che potrebbe scatenare una nuova ondata di violenza regionale.

    Conclusioni

    Le politiche degli ultimi mesi dimostrano che il riconoscimento dello Stato palestinese è diventato una moneta retorica da spendere per sopravvivere alle pressioni interne, non uno strumento per cambiare i rapporti di forza sul terreno. Gli analisti sottolineano che questi riconoscimenti potrebbero, al massimo, spingere i governi a boicottare prodotti provenienti dalle colonie, ma senza un embargo generalizzato e sanzioni mirate non si avranno effetti sostanziali.

    Per i palestinesi questi riconoscimenti restano gesti simbolici che non influenzano la realtà quotidiana di un popolo. Riconoscere la Palestina senza interrompere i flussi di armi e denaro verso Israele equivale a lavarsi la coscienza. 

    La lezione impartita da Madrid è chiara, se l’Europa vuole uscire dall’ipocrisia dovrà superare la paura di sanzionare un alleato potente e mettere in pratica i valori che proclama, come il rispetto del diritto internazionale e dei diritti fondamentali dell’individuo. Fino a quel momento, la “soluzione dei due Stati” resterà uno slogan vuoto, mentre sul terreno si consolida l’unico Stato possibile: quello dell’occupazione illegale con il massacro di migliaia di vite umane.

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