È stato reso pubblico dal Consiglio Nazionale Forense – Cnf – il testo contenente la bozza della proposta di riforma dell’ordinamento forense, compresa di relazione di accompagnamento. La proposta del Cnf consta di 92 articoli, e “persegue la finalità di dotare gli Avvocati e gli enti istituzionali rappresentativi della classe forense di un nuovo ordinamento professionale che, sostituendo quello attuale (Legge n. 247/2012), possa far fronte alle nuove necessità e al mutato contesto in cui i professionisti legali devono operare”, come dichiarato dal Presidente del Cnf, Avvocato Francesco Greco.
Contenuto della riforma
Verrà presentato in Parlamento il testo che disciplina il nuovo ordinamento professionale forense, che darà avvio all’iter di riforma. La proposta si concentra sui temi delle attività esclusive e dell’ampliamento dell’ambito delle attività esclusive degli avvocati, esteso “anche all’assistenza e rappresentanza nei procedimenti amministrativi a carattere contenzioso e anche alla attività di consulenza e assistenza legale, svolta in modo continuativo, sistematico, organizzato e dietro corrispettivo”, in riferimento all’articolo 4 del presente testo.
Il testo si concentra anche sull’equilibrio della rete tra avvocati e reti multidisciplinari, prevedendo all’art. 14 che “l’attività professionale dell’avvocato può essere esercitata in forma associata, unitamente ad altri liberi professionisti purché iscritti ad albo professionale. All’associazione professionale forense devono partecipare almeno due avvocati iscritti all’albo. L’associazione dovrà riportare nella sua denominazione l’indicazione “associazione” o “studio associato.”
Il testo disciplina altresì l’esercizio in forma di monocommittenza prevedendo all’art. 18 che “la prestazione dell’avvocato in regime di monocommittenza non è un rapporto di lavoro subordinato e ha natura di prestazione d’opera professionale intellettuale disciplinata dagli articoli 2222 codice civile e seguenti.” Pur rappresentando una novità nella disciplina dell’attività forense, si configura quale gravoso obbligo di esclusiva che vieta all’avvocato di coltivare una propria clientela. Infine, si prevedono novità in tema di esercizio della professione, compensi, e tirocinio.
Esami di abilitazione e tirocinio
Con riferimento alle modalità di tirocinio, l’art. 67 dispone che “il tirocinio professionale consiste nell’addestramento, a contenuto teorico e pratico, del praticante avvocato finalizzato a fargli conseguire le capacità necessarie per l’esercizio della professione di avvocato e per la gestione di uno studio legale nonché a fargli apprendere e rispettare i principi etici e le regole deontologiche.” Il tirocinio per l’accesso alla professione consiste, oltre che nello svolgimento delle attività di cui all’articolo 64, nella frequenza con profitto per tutta la durata del tirocinio medesimo di un corso di formazione presso le scuole forensi, rendendo di fatto il percorso cui segue l’abilitazione un tragitto ad ostacoli inutilmente posti.
Rispetto alle modalità d’esame, vengono confermate quelle relative alle ultime sessioni, consistenti in una prova scritta ed una orale, superando definitivamente dubbi in merito ad un possibile ritorno alle modalità pre-covid.
Il tirocinio, oltre che nella pratica svolta presso uno studio professionale, consiste altresì nella frequenza obbligatoria con profitto, per un periodo non inferiore a diciotto mesi, di corsi di formazione di indirizzo professionale tenuti da ordini e associazioni forensi, nonché dagli altri soggetti previsti dalla legge.
Il quadro desolante della condizione dei praticanti avvocati
Il percorso che precede l’abilitazione di avvocato è noto per una condizione di sfruttamento e di mancato riconoscimento sotto il profilo economico. L’attuale bozza di riforma dell’ordinamento professionale forense, all’art. 64, prevede che “decorsi sei mesi, al praticante può essere riconosciuto con apposito contratto un compenso commisurato all’effettivo apporto professionale. Al praticante è in ogni caso dovuto il rimborso delle spese sostenute per l’esercizio di attività per conto dello studio presso cui svolge il tirocinio”.
Nonostante la riforma prenda in considerazione il tema del compenso, illudendo il futuro praticante di vedere riconosciuta la propria dignità, di fatto sortisce l’effetto opposto, in quanto viene formalizzata l’assenza del diritto ad un compenso nei primi sei mesi, lasciando ampia discrezionalità al dominus anche per i successivi semestri.
Mancata retribuzione
Malgrado il tirocinio sia un’attività lavorativa a tutti gli effetti – che richiede presenza quotidiana, responsabilità crescenti e competenze tecniche – la legge attuale non impone ai dominus l’obbligo di retribuire i propri praticanti, i quali si trovano costretti a sostenere costi ingenti per la loro formazione. Le ripercussioni non sono solo economiche: la mancata retribuzione limita l’accesso alla professione, penalizzando chi non può contare sul sostegno economico familiare.
Si assiste così a una selezione legata al censo che compromette l’equità di accesso alla carriera forense. Una situazione che diviene sempre più complessa, del quale l’Onorevole Devis Dori di Alleanza Verdi-Sinistra (AVS) si è fatto carico presentando un’interrogazione a risposta scritta rivolta al Ministro della giustizia Nordio, nella quale ha evidenziato le criticità legate ad una situazione che rischia di rimanere ai margini.
Formazione e scuola forense obbligatoria
Dal 2022, la scuola forense è stata resa obbligatoria per tutti gli aspiranti avvocati iscritti al Registro dei Praticanti a partire dal mese di aprile. È posto l’obbligo per i praticanti di frequentare un corso di formazione obbligatorio di almeno 160 ore, distribuite nell’arco dei 18 mesi di pratica. Tuttavia, l’introduzione obbligatoria di queste scuole ha sollevato diverse critiche tra i praticanti, sia per i costi smisurati – in alcuni casi superiori ai 900 euro – a carico del praticante -, sia per l’impegno temporale che si somma a una pratica già intensa e non retribuita.
Abilitarsi diviene sempre più difficoltoso, trovandosi ad affrontare oltre che l’esame di Stato, anche le prove previste dalle scuole forensi. L’intento di tali scuole dovrebbe essere quello di fornire ai praticanti un’adeguata formazione teorica e pratica in vista dell’esame di stato, tutto ciò però comporta costi eccessivi per chi si trova già a fronteggiare una situazione tutt’altro che rosea.
Per molti, frequentare la scuola forense rappresenta un ostacolo in più nell’accesso alla professione, un fattore che penalizza soprattutto i ragazzi provenienti da famiglie meno abbienti. È infine prevista una prova finale quale step necessario per sostenere successivamente l’esame di stato, il cui mancato superamento impedisce il rilascio del certificato di compiuta pratica e comporta la ripetizione dell’ultimo ciclo semestrale di formazione e del relativo test finale, rendendola di fatto una professione sempre più elitaria.
Conclusioni
La condizione dei praticanti avvocati in Italia solleva interrogativi sulla necessità di una riforma che valorizzi le nuove generazioni di professionisti, e dell’avvocatura tutta. Si dovrebbe cominciare dalle università, affinché possano vedersi ridotti i tempi dell’ingresso nel mondo del lavoro, aggiungendo al bagaglio di nozioni un percorso accompagnato da competenze pratiche.
È auspicabile un intervento normativo che garantisca una retribuzione equa, che migliori le condizioni di lavoro dei praticanti, e che valorizzi questi ultimi, affinché il percorso per diventare avvocato non sia solo una sfida professionale, ma divenga un’opportunità di crescita, di formazione e di realizzazione personale. Una professione che si basa sulla difesa dei diritti, ha bisogno del rispetto dei principi che la accompagnano.
20250210