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    Rubio in Israele. Netanyahu: “Tra noi un legame solido”

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    Il Segretario di Stato statunitense Marco Rubio è arrivato ieri, domenica 14 settembre, a Gerusalemme per incontrare il premier Benjamin Netanyahu. La visita si è tradotta nel sostegno ribadito a Israele nonostante l’occupazione illegale dei territori palestinesi e le migliaia di vittime civili a Gaza, con tanto di discussione sui piani di annessione in Cisgiordania

    Mentre il mondo arabo denuncia “crimini di guerra” e “doppi standard” occidentali, Rubio ribadisce l’esistenza di un’alleanza incrollabile, lasciando intendere la complicità di Washington con il silenzio disarmante delle forze atlantiste – salvo alcuni attori isolati – di fronte all’apartheid imposta ai danni dei palestinesi.

    Complicità americana e silenzio internazionale

    All’ombra del Muro del Pianto a Gerusalemme, Benjamin Netanyahu ha accolto Marco Rubio con discorsi sulla “forza e la durabilità” del legame USA-Israele, definendolo “solido come le pietre” del sacro sito. Rubio, in silenzio davanti alle telecamere, mentre a pochi chilometri di distanza si consuma una tragedia umanitaria, ha rappresentato de facto l’appoggio incondizionato di Washington al governo israeliano, nonostante lo scenario drammatico in cui la visita ha avuto luogo: l’esercito israeliano sta conducendo un’offensiva devastante sulla Striscia di Gaza e, contemporaneamente, pianifica di sfruttare il caos bellico per consolidare il controllo sulla Cisgiordania occupata.

    La visita di Rubio avviene in un clima di sdegno crescente nel mondo arabo-islamico e tra molti altri Paesi che denunciano l’ipocrisia delle potenze occidentali. Pochi giorni fa, l’emiro del Qatar – il cui Paese è stato bombardato da Israele, nonostante la posizione da mediatore che aveva assunto, in un controverso attacco mirato contro dirigenti di Hamas a Doha – ha tuonato inferocito tramite il primo ministro Mohammed bin Abdulrahman Al Thani contro i “doppi standard” dell’Occidente affermando che “bisogna smettere di usare due pesi e due misure e punire Israele per i suoi crimini, convocando poi un vertice urgente dei leader arabi e musulmani a Doha. 

    Gli obiettivi della visita di Rubio: tra diplomazia e annessione della Cisgiordania

    L’arrivo di Marco Rubio in Medio Oriente aveva un duplice scopo politico. Da un lato, come rilevato dagli analisti, il Segretario di Stato è impegnato in un’operazione di damage control dopo l’azzardata incursione israeliana in Qatar. L’attacco a Doha – oltre a rischiare di trascinare un ulteriore paese nel conflitto – ha fatto deragliare delicati negoziati per una tregua a Gaza mediati proprio dal Qatar. La comunità internazionale, compresi partner chiave degli USA come Turchia e Egitto, ha condannato con fermezza l’azione israeliana giudicandola una provocazione pericolosa

    Nelle sue tappe prima di Gerusalemme, il capo della diplomazia americana ha incontrato numerosi leader regionali, sottolineando l’impegno statunitense per “ridurre l’escalation”. Mentre Netanyahu, dopo un iniziale imbarazzo, ha dichiarato pubblicamente che “non sarà un caso isolato”, lasciando intendere che colpirà di nuovo i dirigenti di Hamas ovunque si nascondano, la Casa Bianca promette che un simile incidente “non si ripeterà”. 

    Dall’altro lato – ed è forse l’aspetto più sostanziale dell’incontro – la visita di Rubio verte sulla strategia a lungo termine di Israele in Cisgiordania, in un momento che Netanyahu e i suoi alleati di estrema destra giudicano propizio per espandersi in quei territori. Il governo israeliano vuole sfruttare la distrazione internazionale causata dallo spargimento di sangue per avanzare verso l’annessione di parti della Cisgiordania occupata. Mentre le bombe cadono su Gaza, dunque, a Gerusalemme si parla di come ridisegnare la mappa della Palestina. 

    La catastrofe umanitaria in corso a Gaza

    A Gaza il bilancio è catastrofico, i dati parlano di oltre 64.000 palestinesi uccisi dall’esercito israeliano in quasi due anni di conflitti. Secondo i dati del Ministero della Salute di Gaza aggiornati a settembre, tra i morti palestinesi circa la metà sono donne e bambini, con oltre 160.000 persone rimaste ferite durante i raid israeliani. Intere zone urbane sono state rase al suolo e “gran parte di Gaza City è stata ridotta in macerie, con quartieri completamente cancellati dai bombardamenti”, riportano i corrispondenti sul campo.  

    Organizzazioni umanitarie parlano di crisi senza precedenti. Impossibile definire le morti indirette causate dalla fame diffusa, dagli ospedali al collasso e per le centinaia di migliaia di persone senza più una casa. Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU, ha descritto Gaza come “un incubo umanitario di proporzioni catastrofiche … che si svolge davanti ai nostri occhi”, invocando un immediato cessate-il-fuoco. Amnesty International, in un rapporto shock, accusa Israele di condurre atti di genocidio, accusa fatta propria anche dallo Special Rapporteur ONU per i diritti nei Territori palestinesi

    I piani di Netanyahu per la Cisgiordania

    In questi giorni, Netanyahu ha lasciato trapelare l’intenzione di estendere la sovranità israeliana sugli insediamenti coloniali e sulle aree strategiche della Cisgiordania, ad esempio la valle del Giordano. Proprio poche settimane fa, il 31 agosto, una riunione ristretta del gabinetto di sicurezza israeliano ha discusso apertamente la “possibilità di procedere con l’annessione” come risposta alle mosse diplomatiche pro-palestina di alcuni Paesi europei

    Francia, Regno Unito, Canada, Australia e altri alleati di Washington hanno annunciato che, a fine mese, durante l’Assemblea Generale ONU, potrebbero ufficialmente riconoscere lo Stato di Palestina sui confini del 1967. Si tratta di un passo simbolico, sostenuto da una schiacciante maggioranza di 142 Paesi su 193 all’ONU, la stessa che Israele ha interpretato come una grave minaccia

    La posizione di Netanyahu 

    Netanyahu, pressato dall’ala ultranazionalista della sua coalizione, ha minacciato una contro-reazione, per cui, se il mondo riconosce la Palestina, Israele si prenderà ufficialmente pezzi di West Bank. Rubio è venuto proprio a sondare il terreno su questo dossier. 

    Stando a fonti israeliane, Netanyahu “vuole capire se il Presidente Trump appoggerebbe un’annessione” e fin dove può spingersi senza rompere definitivamente con gli alleati arabi e occidentali. In privato Rubio avrebbe già assicurato che non si opporrà ad annessioni israeliane, garantendo che l’amministrazione Trump non intralcerà tali piani. In altre parole, luce verde da Washington, o quantomeno nessun veto. Ma gli alleati arabi hanno colto il segnale e lanciato un monito severo all’amministrazione Trump.

    Le posizioni dei Paesi arabi

    Proprio alla vigilia dell’arrivo di Rubio, gli Emirati Arabi Uniti – il principale partner arabo di Israele negli Accordi di Abramo – hanno avvertito che “un’annessione in Cisgiordania costituirebbe una linea rossa per Abu Dhabi. “Sovvertirebbe lo spirito degli Accordi e farebbe deragliare ogni ulteriore integrazione regionale”, ha dichiarato Lana Nusseibeh, inviata emiratina all’ONU, sottolineando che il suo Paese aveva aderito alla normalizzazione proprio per favorire la soluzione dei due Stati, non per assistere alla cancellazione definitiva della prospettiva del popolo palestinese. 

    Anche Arabia Saudita, Giordania, Egitto e il Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno rilasciato comunicati in linea con queste posizioni. La leadership palestinese, dal canto suo, denuncia il piano israeliano come l’atto finale di una lunga colonizzazione, definendo l’eventuale annessione “una dichiarazione di guerra contro la soluzione negoziata”, accusando l’Occidente di “complicità attraverso il silenzio”

    Conclusioni

    Rubio lascia Gerusalemme con un messaggio chiaro per i palestinesi: l’occupazione può continuare, l’annessione si può discutere. Tuttavia, la cartografia imposta con le bombe non genera sicurezza ma alimenta solo nuove spirali di violenza e rende impossibile ogni pace giusta. 

    Se Washington vuole davvero “stabilità”, dovrà allora smettere di offrire copertura diplomatica al Governo di Israele e adeguare gli aiuti al rispetto del diritto internazionale. Fino ad allora, la resistenza civile palestinese e la pressione dell’opinione pubblica globale resteranno l’unico argine contro l’inferno in terra che Gaza vive giorno e notte.

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