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    Salute mentale e dipendenza dai social: nascono gli offline club

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    Un ritorno al passato, agli incontri reali e alle relazioni autentiche: la fuga dagli smartphone si sta proponendo come una nuova moda tra la Gen Z, la pioniera di internet e del digitale, sempre più connessa ma sempre più sola, tanto da riconoscere maggiormente gli effetti negativi e l’esigenza di favorire le interazioni offline. Sull’onda di questo fenomeno controcorrente, nei Paesi Bassi sono nati gli offline club, luoghi di interazione diffusisi rapidamente in Europa fino ad arrivare anche in Italia.

    Sempre connessi, ma con molti meno contatti 

    L’epoca attuale si contraddistingue rispetto alle precedenti per l’immediatezza e la facilità nella trasmissione delle informazioni: per la prima volta, l’essere umano vive la possibilità di conoscere, informarsi e comunicare in tempo reale, con una conseguente riduzione delle distanze fisiche ed emotive. Con internet e i social è possibile avere un intero mondo tra le mani, incontrare nuove persone e consolidare legami che, altrimenti, andrebbero persi. Sebbene stringere nuovi rapporti direttamente dal proprio divano possa per alcuni sembrare attraente, spesso si tratta di legami superficiali, talvolta accompagnati dalla vana speranza di riscoprirsi in modo autentico, influenzando la percezione della solitudine che diventa ‘digitale’.

    Questo fenomeno ha in realtà origine dalla fine degli anni ‘60 con la nascita della televisione e delle automobili, accentuandosi sempre di più con gli smartphone fino a raggiungere livelli di socializzazione sempre più bassi. Un articolo del giornalista nordamericano Derek Thompson prende in esame il ‘The Anti-Social Century’, interrogandosi sulle caratteristiche del nostro secolo e sui cambiamenti dal punto di vista sociale, politico e sulla percezione della realtà degli statunitensi. Ne deriva un aumento del 29% negli ultimi due anni per quanto riguarda azioni realizzate in solitaria, come per esempio pranzare o cenare al ristorante, un dato che – confrontato con l’aumento del tempo sugli schermi del 30% dei ragazzi americani – risulta sempre meno confortante, tanto da risultare come un nuovo stile di vita. 

    Intelligenza artificiale e fuga dalle interazioni 

    Se da un lato pare esserci una fuga dalle interazioni faccia a faccia, dall’altro esiste una voglia di connessione, ma non tra le persone: la ricerca di legami con l’intelligenza artificiale fa scattare un ulteriore campanello d’allarme, mettendo in crisi i rapporti umani e normalizzando la solitudine. Cresce sempre di più la percentuale di persone che trova nell’IA un confidente e talvolta un ‘amico’, pronto a rispondere a tutte le domande simulando comprensione ed empatia, componenti emotive che, altrove, paiono non essere sempre presenti. 

    Un’altra ragione per cui il confronto con l’IA su questioni personali avrebbe la meglio rispetto a una conversazione con i propri affetti sarebbe la sua disponibilità: il 38% degli intervistati ritiene che sia uno strumento usufruibile 24 ore su 24, mentre il 28% lo utilizza per ottenere un punto di vista oggettivo e imparziale su diverse situazioni quotidiane. 

    A prescindere dallo scopo di volta in volta previsto, si tratta di situazioni che – in assenza di un’adeguata educazione digitale – possono portare a problemi di socializzazione e dipendenza digitale. Quest’ultimo rischio pare crescere tra i giovanissimi, per poi ridursi tra i giovani adulti che, invece, cercano di prendere le distanze dal digitale. Secondo una recente indagine del British Standards Institution, il 68% dei ragazzi tra i 16 e i 21 anni ritiene che passare troppo tempo sui social abbia degli effetti negativi sulla propria salute mentale; il 46% sostiene inoltre di voler vivere in un mondo senza internet.

    Offline club: non solo disconnessione 

    Dalla necessità di un detox digitale e dalla voglia di ristabilire connessioni autentiche, ad Amsterdam è nato il primo offline club, un luogo in cui i telefoni sono proibiti e vengono riscoperte le interazioni umane. Queste community, localizzate in diversi bar e locali, propongono giochi da tavolo, lettura e conversazioni reali per riprendere in mano la propria vita sociale al di fuori di internet. Una vera e propria tendenza che si è rapidamente diffusa in alcune delle principali città europee come Londra, Parigi, Berlino, Milano, Barcellona e Dubai, con la possibilità di aprire il proprio offline club dove si desideri a patto di completare un corso di formazione.

    Anche l’Unione europea pare porsi su questa stessa linea: Francia, Grecia e Spagna vogliono imporre un limite di età per l’accesso ai social network, seguendo così la scia dell’Australia, che ha recentemente introdotto un minimo di 16 anni di età, per proteggere i minori da contenuti pericolosi e da un utilizzo inconsapevole ed eccessivo.

    Conclusioni 

    Gli offline club rappresentano l’indice di una consapevolezza crescente sugli effetti del digitale che, da sola, non è però sufficiente per contrastare le conseguenze indotte dall’abuso delle nuove tecnologie. 

    Sebbene siano stati fatti alcuni passi avanti e si stia consolidando una crescente consapevolezza sui rischi correlati ai social, specialmente in Italia, come documentato dai recenti fatti di cronaca, è sempre più necessaria un’educazione digitale. 

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