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    A un anno dal disastro di Novi Sad continuano le proteste contro il presidente serbo Vučić

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    Dopo oltre un anno dal disastro ferroviario di Novi Sad, dove persero la vita 16 persone, le proteste in Serbia non si sono fermate. Negli ultimi giorni, a partire dal 1° novembre, in occasione dell’anniversario del crollo della pensilina della stazione, le manifestazioni antigovernative sono continuate ad essere il problema principale del presidente serbo Aleksandar Vucic.

    I manifestanti, infatti, si sono recati nuovamente davanti al Parlamento serbo chiedendo a gran voce le dimissioni del proprio leader politico.

    Le tensioni

    In merito alle continue tensioni in piazza, Vucic ha invocato la calma e ha invitato i propri sostenitori a non rispondere alle provocazioni dei manifestanti, i quali hanno mostrato il proprio sostegno a Diana Hrka, una delle madri delle 16 vittime, che da domenica ha iniziato uno sciopero della fame. 

    Le indagini hanno poi accertato che la tragedia era dovuta a gravi irregolarità e negligenze nei lavori pubblici. Da allora, migliaia di studenti universitari sono diventati il cuore di un movimento di protesta che si è diffuso in tutto il Paese.

    Un anno di proteste

    Come nel caso del gesto di Hrka, le proteste si sono svolte in maniera completamente pacifica. Nonostante ciò, la reazione della classe politica serba non è mai stata propensa al dialogo: le forze dell’ordine hanno fatto ricorso all’utilizzo della forza ai danni dei manifestanti. Nella serata di domenica, invece, sono stati direttamente i sostenitori del presidente serbo ad aggredire gli studenti in protesta, non rispettando dunque le richieste di Vučić. 

    Inoltre, a pochi metri da dove Hrka compie il proprio sciopero della fame, vi è un accorpamento di simpatizzanti del leader serbo: il campo si trova tra la sede presidenziale e il Parlamento, fungendo dunque come scudo umano per il presidente.

    Le repressioni

    Da oltre un anno ormai i manifestanti chiedono a gran voce non solo le dimissioni di Vučić, ma anche riforme concrete che sappiano mirare alla nascita di maggiore partecipazione politica e che spronino ad una concreta lotta alla corruzione. 

    Nonostante un anno così complesso e ricco di proteste, le richieste dei manifestanti non sono mai state accolte. Escludendo le dimissioni del premier Miloš Vučević, nessun’altra rivendicazione è stata presa seriamente dal governo; al contrario, le richieste sono sempre state represse con arresti e repressione. 

    Le mosse di Vučić

    Nella primavera del 2027, i cittadini serbi saranno chiamati alle elezioni presidenziali e successivamente anche a rinnovare il parlamento. Il presidente serbo sa che il tempo è dalla sua parte: con il passare dei mesi le proteste potrebbero perdere il proprio smalto, mentre egli potrebbe riuscire ad ottenere di nuovo i consensi persi nell’ultimo anno. 

    Aleksandar Vučić è consapevole che il modo per potersi affermare nuovamente come leader del proprio Paese è rompere l’unità dell’opposizione, la quale sta recuperando sempre più terreno.

    Le proteste sono la più grande crisi politica che Vucic ha dovuto affrontare in questo suo dominio che dura da oltre un decennio. Il rischio maggiore per il governo è dunque la perdita del consenso; proprio per questo le eventuali elezioni anticipate, tanto invocate dagli studenti, sono sempre state ignorate da parte del Presidente serbo. 

    L’ennesimo episodio che allontana la Serbia dall’UE

    In un contesto interno così travagliato, il processo di adesione della Serbia all’Unione Europea diventa sempre più incerto. I progressi compiuti da Vučić in questi anni rischiano di svanire: già lo scorso 22 ottobre, il Parlamento dell’UE ha approvato una risoluzione dove Belgrado è stata aspramente criticata per le violazioni dei diritti umani e per la poca presenza dei principi democratici.

    Inoltre, la storica vicinanza della Serbia con la Russia e la grande cooperazione di Belgrado con Pechino continuano a preoccupare Bruxelles, portando così il Paese balcanico ad un ulteriore allontanamento dall’adesione all’Unione Europea.

    20250428

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