In merito alla questione palestinese, il fronte occidentale sembra frammentarsi. Non solo alcuni stati europei hanno riconosciuto l’esistenza della Palestina come stato sovrano, aprendo ambasciate e dando il via a un serio impegno diplomatico in tal senso, ma è anche arrivato un mandato di arresto per il primo ministro israeliano. La Corte Penale Internazionale (CPI) ha espresso la volontà di arrestare Benjamin Netanyahu in seguito all’azione militare israeliana che sta avvenendo nei territori che de jure dovrebbero essere autonomi. Questo è vero per la Striscia di Gaza, triste protagonista delle prime pagine dei giornali di tutto il mondo a causa di una ritorsione israeliana che pare tutto fuorché equilibrata, ma anche per la Cisgiordania, vittima da diversi anni di un rinvigorito sforzo colonizzatore.
Il governo più a destra di sempre
Il governo di estrema destra presieduto da Benjamin Netanyahu, insediatosi gli ultimi giorni di dicembre del 2022, ha fin da subito scosso i giornali occidentali. Infatti, nonostante Netanyahu abbia una lunga esperienza di governo, avendo presieduto quasi ininterrottamente l’esecutivo israeliano dal 2009, lo stesso non si può dire dei suoi alleati. Per esempio, Itamar Ben-Gvir, Ministro per la Sicurezza e leader del partito Otzma Yehudit, che vuol dire letteralmente “Potere Ebraico”, è popolarmente conosciuto per le sue posizioni antiarabe e radicalmente spostate a destra. Vive in una cittadina della Cisgiordania occupata e come avvocato sostiene da tempo immemore l’espulsione di tutti gli arabi ritenuti non fedeli a Israele. O ancora, nel 1995, in seguito agli Accordi di Oslo firmati dal primo ministro Yitzhak Rabin e due settimane prima del suo assassinio, minacciò di morte il leader laburista. Un altro partito membro dell’attuale governo israeliano è Noam, guidato da Avi Maoz, il quale ha condotto una campagna elettorale di dubbio gusto, sostenendo l’importanza di preservare l’identità israeliana, messa in pericolo dalla comunità LGBTQIA+. Contro quest’ultima ha proposto misure tutt’altro che progressiste, come il divieto delle parate del Pride o l’istituzionalizzazione delle terapie di conversione: pratiche che mirano a sopprimere l’orientamento sessuale di un individuo se non conforme a specifici dogmi.
Il mandato d’arresto
La motivazione alla base della decisione di Karim Khan, Procuratore Capo della CPI, sarebbe la convinzione che Bibi Netanyahu e Yoav Gallant, quest’ultimo Ministro della Difesa israeliano, siano responsabili di presunti crimini di guerra e contro l’umanità a Gaza e nella West Bank. D’altra parte, la CPI ha anche emesso dei mandati d’arresto nei confronti di alti esponenti di Hamas, il gruppo politico-militare che il 7 ottobre, con un’improvvisa invasione terroristica, diede il via al conflitto in corso. Una mossa, quella di mettere sullo stesso piano il governo di Netanyahu e Hamas, che ha attirato le critiche degli Stati Uniti e di una lunga serie di responsabili occidentali. Il presidente americano Joe Biden, a quanto si legge su Euronews.com, afferma che non c’è “nessuna equivalenza” tra i due.
Sebbene la CPI – che ha giurisdizione su più della metà dei paesi che aderiscono all’ONU e si occupa di crimini verso la comunità internazionale – abbia dato l’ordine di arrestare Netanyahu, le forze di sicurezza a Tel-Aviv non muoveranno un dito. Infatti, Israele non ha ratificato il Trattato di Roma, il documento che sancisce i luoghi e le modalità di azione della CPI. Ciò fa dubitare che la situazione possa evolversi per via legali. Eppure, stando al trattato, se Netanyahu dovesse mettere piede sul suolo di qualsiasi stato occidentale, di fatto i suoi unici alleati, dovrebbe essere arrestato e portato all’Aia, dove ha sede la CPI. Non serve essere degli esperti di geopolitica per capire come un fatto del genere avrebbe conseguenze diplomatiche disastrose con una potenza nucleare, Israele, che considererebbe un’azione simile come un atto di guerra.
Tuttavia, c’è da riconoscere alla CPI un merito: è riuscita a fare ciò che la politica occidentale a stento era riuscita ad accennare, decretare la colpevolezza tanto di Hamas quanto del governo di estrema destra di Netanyahu. Nonostante sia vero che i radicali filopalestinesi abbiano dato vita, il 7 ottobre scorso, a un evento tra i più tragici e barbari della Storia; la risposta israeliana pare eccessivamente sproporzionata. Stando ai dati di RaiNews.it, che riprende a sua volta quelli del Ministero della Salute di Gaza, i morti dalla parte palestinese sarebbero oltre 36mila. Ben più dei 1200 israeliani del 7 ottobre e dei 250 rapiti (una parte dei quali ancora nelle mani delle milizie a Gaza). Il gioco dell’occhio per occhio di Netanyahu è sfuggito di mano, con un’intera popolazione, quella palestinese, che nei fatti è vittima di una guerra immotivata.
Netanyahu pretende il potere
Ad oggi, sembra che Bibi si stia facendo scivolare tra le mani lo scettro del potere. Non è un caso che dopo l’annuncio del Piano Biden – una misura approvata all’Onu con il consenso anche dei rappresentanti palestinesi che punta ad una de-escalation partendo da uno scambio di ostaggi tra le due forze in guerra – l’esercito si stia prendendo una sempre maggiore autonomia. Difatti, è notizia di pochi giorni fa che le forze armate israeliane stiano fermando le azioni di guerra nelle ore diurne per permettere agli aiuti umanitari di raggiungere la Striscia di Gaza. Tale pausa tattica, così viene chiamata dal quotidiano Haaretz, non avrebbe né il favore di Netanyahu né quello del già citato Gallant. Sembra però che in questo momento le considerazioni interne a Israele nei confronti del primo ministro si stiano radicalizzando. Non è passato inosservato il fatto che Benny Gantz, leader della coalizione politica centrista Blu e Bianco, abbia abbandonato il gabinetto di guerra, che Netanyahu ha poi prontamente sciolto. Una decisione drastica, giustificata dalla scomparsa dei moderati, che avrebbe però attirato l’ira dei partiti più a destra. Secondo il Guardian anche Ben-Gvir, che, come abbiamo detto precedentemente, rappresenta l’ala più estremista del panorama politico israeliano, avrebbe sollevato delle perplessità in merito all’operato governativo.
La pace è lontana e noi stiamo a guardare
Con un’Europa in crisi, a seguito della netta vittoria conservatrice e sovranista alle elezioni europee di quest’anno, e un Oriente sempre più impegnato in questioni geopolitiche ed economiche – e senza considerare la situazione russa – l’unico interlocutore in questo momento potente sembrano proprio gli Stati Uniti. Capaci, come abbiamo già analizzato, di mettere in crisi Tel-Aviv. E con un governo sempre più debole, una politica sempre più radicalizzata e un popolo sempre più frustrato pare improbabile che Netanyahu possa vincere la guerra.