Stando alla rilevazione effettuata dall’ISTAT, al 1˚ gennaio 2025 i Comuni italiani si attestano a quota 7.896, suddivisi tra Nord, Centro e Sud. Se è vero che il Belpaese deve la propria ribalta internazionale ai mille borghi e ai mille campanili di cui è dimora, ciò che sorprende è la profonda discrasia tra piccoli, medi e grandi centri abitati. Benché il suddetto squilibrio sia attestato fin dai tempi del dopoguerra, esso tutt’oggi vive e sopravvive, reiterato da quella stessa linfa – la pubblica amministrazione – che avrebbe dovuto innovare le prospettive politico-sociali.
Capiamo meglio il punto calandoci nella realtà concreta: alla Giunta comunale – l’organo collegiale a carattere esecutivo composto da un numero di assessori che varia a seconda del numero degli abitanti in loco, come previsto dal D. Lgs. n.267/2000, art.47, comma 5 – di una realtà che non supera le 2.000 presenze spettano oneri e onori equiparabili in tutto e per tutto a quelli conferiti a quanti eletti nelle Giunte di città quali Roma e Milano.
Certo, l’immagine dei pesi e dei contrappesi in riferimento ad enti locali demograficamente agli antipodi non tiene affatto; tuttavia, andando più in profondità, emerge un insospettabile minimo comune denominatore: tralasciando le foto istituzionali con indosso la fascia tricolore, la definizione del bilancio preventivo e del bilancio consultivo, due importanti documenti fondanti il bilancio comunale, approvato annualmente dal Consiglio comunale su proposta della Giunta. Ed è proprio quando entra in gioco la riscossione dei tributi locali che subentrano innumerevoli difficoltà, tanto al Nord quanto al Sud. Ma nulla di cui preoccuparsi, arriva in soccorso l’imposta di soggiorno.
La difficile realtà degli enti locali
Leggere e redigere correttamente un bilancio è cosa tutt’altro che scontata, persino nelle sedi opportune; nel caso in cui l’entità in esame sia un ente locale, allora il rischio è duplice: non solo confondere le voci di entrata con quelle di spesa e viceversa, bensì lucrare su quelle sussistenti. Quanto, invece, all’interpretazione del bilancio, si consideri quanto segue: facendo riferimento alla Relazione 2024 sulla gestione finanziaria degli enti locali redatta dalla Corte dei Conti si evince come, benché le finanze comunali abbiano intrapreso un lento ma progressivo cammino di ripresa dopo la crisi pandemica, permangano comunque varie zone d’ombra, ragione per la quale la gestione delle risorse non è tutt’oggi definibile come efficiente.
Prima di procedere, va detto che il sistema della fiscalità comunale gode di una natura stratificata, quantomeno tripartita, considerando che poggia principalmente sull’imposta municipale propria – Imu, nella quale è confluita la Tasi, sulla tassa sui rifiuti – Tari e sull’addizionale comunale all’Irpef1; di queste tre voci, il muro portante è costituito dall’Imu, mentre la Tari è destinata a coprire integralmente il costo del servizio di raccolta dei rifiuti, a sua volta soggetto alla regolamentazione da parte dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA). Ebbene, l’essenza forte delle entrate connesse all’Imu non è effettivamente tale.
Confrontando i dati pubblicati dal MEF2 in merito agli accertamenti del suddetto tributo a livello nazionale e i dati delle riscossioni presenti in SIOPE, nel triennio 2021-2023 emerge una netta divergenza tra l’andamento del gettito teorico (gli accertamenti) e quello effettivo (gli incassi). Traslitterato in termini spiccioli, accertamenti in costante crescita – “pari a circa 17,7 mld nel 2021, circa 17,9 mld nel 2022 e circa 18 mld nel 2023” – ma incassi stabili, se non addirittura decrescenti, “circa 14,8 mld nel 2021, circa 15,05 mld nel 2022 e circa 14,3 mld nel 2023”.
Come se non bastasse, l’autonomia finanziaria, vale a dire la capacità di un Comune di provvedere autonomamente al finanziamento della spesa, presenta livelli non omogenei: più nello specifico, un buon grado di autonomia (superiore al 70%) viene attestato nei Comuni del Nord e in alcune zone del Centro Italia (si consideri soprattutto la Toscana, ove si è intorno all’80%), mentre nel meridione – in specie nei Comuni del Molise e della Basilicata – emerge una scarsa autosufficienza finanziaria, con indici di autonomia pari o inferiori al 60%.
Un ulteriore aspetto che va sottolineato è il fatto che, mentre prima i Comuni potevano contare sul supporto statale per sanare le proprie casse, ora invece i tributi locali costituiscono la principale fonte di sussistenza, la prima voce di entrata di ogni bilancio. Ecco spiegato perché gli enti locali assumono atteggiamenti rabdomantici e, per ovvie ragioni, sono alla perenne ricerca di fondi. Insomma, serve sempre intervenire da Gorizia a Messina, ma come? Semplice, facendo leva sull’imposta di soggiorno.
L’imposta di soggiorno: di cosa si tratta?
Nella casistica nazionale, l’imposta di soggiorno è un tributo locale introdotto nell’ambito del processo di riforma per l’attuazione dei principi del federalismo fiscale inseriti nella Costituzione per mezzo di due norme: il decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, valido solo per la città di Roma, e il decreto legislativo 14 marzo 2011 n. 23, contenente i principi che avrebbero definito i punti cardine della stessa imposta. Nella forma vigente, è “applicata a carico di chi soggiorna (o pernotta) in una struttura ricettiva che si trova in un Comune, differente dal proprio Comune di residenza, in cui tale imposta è stata istituita”. Attenzione alla semantica perché si parla di imposta e non di tassa: mentre quest’ultima viene pagata dai cittadini in cambio di un determinato servizio, l’imposta invece costituisce un prelievo nei confronti di tutti i contribuenti, cosa che accade per esempio con l’IRPEF. Nel caso specifico, trattandosi di un pernottamento o di un soggiorno, i contribuenti in questione sono i turisti che, salvo esenzioni, si trovano a transitare per una struttura ricettiva.
Se è vero, come detto in apertura, che gli enti locali non sono interscambiabili tra loro – vuoi per densità abitativa, vuoi per attrattività del territorio – allora l’eterogeneità che segue all’adozione e all’applicazione del suddetto tributo non stupisce affatto. Difatti, l’imposta di soggiorno può essere istituita solo da Comuni capoluogo di Provincia, dalle Unioni di Comuni, dai Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o delle città d’arte, da quelli che hanno sede giuridica nelle isole minori oppure quelli nel cui territorio sussistono isole minori3.
L’eterogeneità di cui sopra trova spiegazione anche nel fatto che, come spesso accade nelle questioni di competenza locale, la norma nazionale fissa semplicemente alcuni principi generali – la destinazione del ricavato, che dovrebbe essere reinvestito nel settore turistico, la gradualità dell’imposta in base al prezzo del pernottamento o del soggiorno e il suo valore massimo per notte (cinque euro, elevabile a dieci euro nel caso dei Comuni che contano un numero di presenze turistiche venti volte superiore rispetto alla popolazione media, il che tradotto in termini spiccioli significa – oltre a Roma – Rimini, Venezia, Verbania, Firenze e Pisa, come attestato dai dati rilevati dall’ISTAT) – accordando di conseguenza ai Comuni un alto tasso di personalizzazione.
Città e cifre racimolate
Inquadrati gli aspetti fondamentali, veniamo ora ad introdurre un particolare rilevante ai fini della nostra analisi: l’imposta di soggiorno gode di un’aura particolarmente positiva, se non addirittura mistica, quantomeno all’interno del Palazzo. Essendo accettata di buon grado tanto dalla ‘destra’ quanto dalla ‘sinistra’, pare non creare dissidi internamente ai partiti. Detto in parole povere, si tratta di un introito ottenuto celermente e senza particolare sforzo; in aggiunta, come anticipato, non è a carico dei residenti, fattore che a differenza di altri non incrementa il malcontento popolare. Ecco chiarito l’andamento ascendente delle realtà che la applicano, attestate oggigiorno a quota 1.314.
Tirando le fila di quanto detto finora, l’imposta di soggiorno conviene a tutti, e anche parecchio: secondo un’indagine effettuata dal Sole 24 Ore, nel 2024 gli incassi correlati hanno superato il miliardo di euro; una cifra esorbitante, soprattutto se paragonata con i 77 milioni di euro dichiarati nel 2011, anno in cui solo 13 amministrazioni comunali prevedevano l’imposta. Provando ad ipotizzare un podio di città distinte per mole di incasso, al primo posto possiamo collocare Roma, con quasi 287 milioni di euro nel 2024, più di un quarto del totale nazionale; seguono Milano e Firenze a pari merito, con circa 76 milioni di euro ciascuna.
La situazione pare tutt’oggi in evoluzione: con la Legge di Bilancio 2024 si consente a tutti i Comuni considerati al momento ‘papabili’ per l’applicazione dell’imposta di soggiorno “di incrementare, nel limite di 2 euro, l’ammontare dell’imposta a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio”. Parimenti, si è stabilito che il gettito generato dall’imposta di soggiorno possa finanziare anche i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento rifiuti. Inoltre, sebbene il confronto tra Comuni e associazioni di categoria sia tutt’oggi aperto, l’intento del Governo sarebbe quello di estendere la facoltà di introdurre l’imposta di soggiorno a tutti i 7.896 Comuni italiani.
Fatta la legge, scovato l’inganno
Si badi bene, parlare di convenienza è un atto voluto: sebbene il gettito debba essere destinato unicamente agli investimenti nel settore turistico e alla manutenzione dei beni culturali, l’imposta di soggiorno è “ormai considerata dai Comuni uno strumento essenziale per acquisire risorse”, come dichiarato da Massimo Ferruzzi, responsabile dell’Osservatorio nazionale sull’imposta di soggiorno. Proprio queste stesse risorse costituiscono di fatto un modo piuttosto semplice per ripianare i buchi di bilancio. In aggiunta, non essendoci indicazioni chiare da parte dei Comuni su come vengono spese le suddette entrate, queste ultime molto spesso vengono utilizzate “per interventi non turistici”, quali per esempio il rifacimento della rete stradale e delle reti idriche oppure il finanziamento di eventi non turistici. Ed è così che l’uso improprio dei fondi viene messo in atto dagli stessi soggetti che, investiti democraticamente di oneri ed onori, implorano la massima trasparenza nelle sedi legislative ed esecutive.
20250047
- A queste si aggiungono, oltre ai trasferimenti non fiscalizzati e alle entrate a titolo di Fondo di solidarietà comunale, ulteriori entrate “minori”, come l’imposta di soggiorno (o il contributo di sbarco), l’addizionale comunale sui diritti di imbarco, l’imposta di scopo – Iscop, il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, il canone di concessione per l’occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate; ↩︎
- MEF – Bollettino delle entrate tributarie 2021, 2022, 2023; ↩︎
- Decreto legislativo 14 marzo 2011, n.23, art.4. ↩︎