Il 5 novembre scorso, il Consiglio Regionale della Campania ha approvato una norma che introduce la possibilità di un terzo mandato per il Presidente della Regione, aprendo così la strada alla ricandidatura del presidentissimo Vincenzo De Luca. Questa nuova legge solleva preoccupazioni sul piano costituzionale, poiché potrebbe entrare in conflitto con il principio di separazione dei poteri. Infatti, il limite del doppio mandato rappresenta un equilibrio rispetto all’elezione diretta del Consiglio regionale – il cui ruolo appare sempre più marginalizzato – e del Presidente della Giunta Regionale, un organo monocratico dotato di poteri molto estesi.
La questione politica interna al PD
La volontà di De Luca di ricandidarsi alla guida della Regione Campania ha generato uno scontro politico con la Segreteria nazionale. In un primo momento, il Commissario del partito, Antonio Misiani, aveva cercato di smorzare i toni, lodando l’operato dell’ex sindaco di Salerno in un’intervista al Mattino, ma ribadendo al contempo la contrarietà del partito a un terzo mandato per De Luca. Successivamente è intervenuta anche la Segretaria nazionale, Elly Schlein, che, durante la trasmissione Che Tempo che Fa, condotta da Fabio Fazio, ha ribadito la ferma opposizione del Partito Democratico a consentire un terzo mandato per qualsiasi Presidente di Regione. Dal canto suo, De Luca ha proseguito per la sua strada, facendo approvare la legge, mentre alcuni Consiglieri hanno cercato di sostenere che non si trattasse di una legge ad personam.
La possibile ricandidatura di De Luca solleva un problema politico di grande portata, che va oltre il già complesso rapporto tra il Presidente della Regione e il Partito Democratico, da sempre teso. La questione riguarda, soprattutto, il ricambio delle classi dirigenti all’interno del Partito Democratico e del centrosinistra in generale. Per la quarta volta consecutiva, Vincenzo De Luca sarà candidato alla guida della Campania; la prima volta fu nel 2010, quando sfidò Caldoro senza successo.
In Campania, appare evidente la mancanza di investimenti in strutture di formazione capaci di costruire una nuova classe dirigente, nonché valorizzare i giovani che operano sui territori. Al loro posto, sono stati spesso preferiti i cosiddetti “cacicchi”, gestori di “feudi elettorali”. Va sottolineato, tuttavia, che senza il sostegno di questi portatori di voti, molti Comuni oggi governati dal Partito Democratico sarebbero stati persi.
Questa dinamica ha però condotto ad una progressiva identificazione del partito con i suoi “portatori di voti”, che hanno finito per esercitare un’influenza dominante, svuotando il partito di una reale direzione politica e creando un pericoloso vuoto di leadership. Proprio onde evitare situazioni di debolezza del partito rispetto ai proprio eletti, l’articolo 28, comma 5, dello Statuto Nazionale stabilisce che “Gli iscritti al Partito Democratico non possono ricoprire una carica monocratica di governo o far parte di un organo esecutivo collegiale per più di due mandati pieni consecutivi o per un arco temporale equivalente.” Stando a queste parole, il Partito potrebbe sospendere De Luca.
L’illegittimità costituzionale
Oltre alla questione politica, esiste un rilevante aspetto giuridico. La giurisprudenza ha più volte ribadito come il terzo mandato sia in conflitto con i principi fondamentali della Repubblica, quali, appunto, la separazione dei poteri, la parità di accesso alle cariche pubbliche e la prevenzione di fenomeni di clientelismo. Questi principi sono stati sottolineati nella Sentenza n. 60/2023 della Corte Costituzionale, che ha accolto il ricorso del Governo contro una legge della Regione Sardegna che elevava a quattro il numero di mandati per i sindaci dei Comuni con meno di 3.000 abitanti e a tre per i Comuni fino a 5.000 abitanti.
La Corte ha affermato che il terzo mandato è in contrasto con i principi di uguaglianza sanciti dagli articoli 3 e 51 della Costituzione, poiché crea una disparità di trattamento rispetto alla normativa nazionale. A livello statale, infatti, l’art. 2, lettera f) della Legge n. 165/2004, che attua l’articolo 122 della Costituzione, stabilisce un limite di due mandati per i Presidenti delle Giunte Regionali. Inoltre, la Corte ha rilevato una violazione dell’art. 117, comma 2, lettera p) della Costituzione, poiché la legge regionale eccedeva le competenze.
Nella sua sentenza, la Corte ha richiamato anche quanto affermato dal Consiglio di Stato: il limite dei due mandati favorisce una corretta competizione elettorale e il rinnovamento della classe dirigente, evitando il rischio di rendite di posizione e l’accumulo di potere. Questo vincolo costituisce inoltre un bilanciamento rispetto all’elezione diretta del Presidente della Giunta Regionale e del Consiglio, soprattutto in un momento in cui le assemblee elettive sono spesso marginalizzate nel processo decisionale (Consiglio di Stato, sentenza n. 2765/2008). Oltretutto, la legge approvata sembra configurarsi come una “legge ad personam,” in quanto appare orientata a superare il limite dei due mandati, esentando l’attuale Presidente e di fatto “azzerando” i mandati già svolti, così da permettere una sua eventuale ricandidatura.
Il Principio di Sovranità e i Limiti al Potere
La giustificazione avanzata da diversi Consiglieri regionali, oltre al richiamo alla continuità amministrativa, è stata la necessità di recepire la legge n. 165/2004. In realtà, tale legge era già stata recepita dalla Regione, prima nel 2009 e poi nel 2014. Inoltre, l’articolo in questione costituisce sì una disposizione di principio, ma, essendo sufficientemente chiaro e completo, risulta direttamente applicabile, rendendo il recepimento un mero atto formale.
Vincenzo De Luca, invece, preferisce sottolineare che spetta agli abitanti della Campania decidere da chi essere governati, assumendo un atteggiamento populista e demagogico. Piuttosto che porsi realmente al servizio dei cittadini, li invita a parteggiare, distorcendo il vero significato del principio di sovranità. Quest’ultimo implica, infatti, che siano i cittadini a prendere l’iniziativa e a esprimere il loro potere decisionale, e non che si tratti di un plebiscito.
Nel costituzionalismo moderno, il principio di sovranità non solo rappresenta un passaggio dalla sovranità appartenente al re o alla Nazione, ma costituisce anche un limite invalicabile al potere. Per questo motivo, i nostri costituenti vollero inserire in Costituzione le parole “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, a indicare che nessun potere è illimitato e che deve sempre operare entro limiti ben definiti.
Questo principio era chiaro anche al legislatore statunitense, che nel 1951 approvò il XXII Emendamento, stabilendo il limite di due mandati complessivi per il Presidente degli Stati Uniti. In Francia, dopo il lungo mandato di François Mitterrand, nel 2008 è stato introdotto un limite simile: l’articolo 6, comma 2, della Costituzione stabilisce che non si possano svolgere più di due mandati consecutivi. Come già detto, si tratta di un limite volto a tutelare i principi fondamentali dell’ordinamento.
L’accordo per salvare l’autonomia
Ora la palla passa al Governo, che potrebbe impugnare la legge, anche se sorge il dubbio che ci sia stato un accordo per evitare che venga sollevato un conflitto di attribuzione. Durante il Consiglio, infatti, è stata votata anche una norma “salva autonomia” su richiesta di De Luca, il quale ha chiesto di garantire pari risorse per sanità e trasporti sia al Sud che al Nord, modificando la legge Calderoli e bloccando così lo svolgimento del referendum.
In conclusione, la questione del terzo mandato in Campania tocca nodi politici e giuridici profondi, che vanno ben oltre la figura di Vincenzo De Luca e coinvolgono i principi fondamentali della democrazia costituzionale. La norma approvata dal Consiglio Regionale della Campania rischia di creare un precedente potenzialmente pericoloso, mettendo in discussione i limiti costituzionali e i principi di equilibrio e rinnovamento necessari per la vitalità delle istituzioni democratiche.
La possibile mancata impugnazione da parte del Governo alimenta inoltre il timore di compromessi politici a scapito dei valori costituzionali, evidenziando una tensione tra esigenze di potere regionale e il rispetto delle garanzie costituzionali nazionali. Questo caso diventa così un test importante per la tenuta del sistema e per la capacità della politica italiana di difendere i principi democratici che dovrebbero guidare la rappresentanza e l’alternanza al governo. Sarà fondamentale osservare se e come il Governo interverrà, poiché la decisione avrà un impatto duraturo sul futuro del costituzionalismo regionale e sui limiti di potere delle amministrazioni locali, con possibili ripercussioni anche sull’intero assetto istituzionale del Paese.
Insomma, si tratta di una corsa contro il tempo: per potersi ricandidare, De Luca dovrebbe dimettersi prima che la Consulta si pronunci, in modo tale che, in caso di rielezione, la Corte attui il principio della continuità istituzionale – come con la sent. 1/2014 – non facendo decadere il Consiglio e la Giunta.