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    Tra cyberbullismo e armi: violenza in aumento tra i giovani

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    Immaginiamo una gara di velocità: tanti partecipanti ai nastri di partenza ma soltanto tre sul podio finale, quelli più preparati presumibilmente, ma talvolta anche coloro che nel tragitto sono stati maggiormente baciati dalla fortuna. Ecco, se dovessimo descrivere cosa significa essere giovani oggi – non a parole, il che comunque richiederebbe una buona dose di inventiva, bensì attraverso un’immagine – con buona probabilità useremmo quest’ultima. Numerosi gli ostacoli da oltrepassare per poter cantare vittoria, altrettanti i sacrifici e le rinunce da accettare a mani basse. Niente di così nuovo; a pensarci bene, stiamo qui considerando l’ovvietà onnipresente in tutte le narrazioni di successo. 

    Ma che dire degli ultimi, di coloro che per vari motivi non tagliano il traguardo? Oppure ancora di chi avrebbe tutte le carte in regola per riuscirci, ma a conti fatti non dispone delle leve necessarie? Effettivamente molto poco, anzi nulla, e il motivo è molto semplice:  mentre il mondo procede spedito verso la semplificazione estrema, la complessità viene persino additata di scarsa efficienza. Il risultato? Gli slogan al posto dell’argomentazione, la violenza anziché il confronto, insomma la strada apparentemente più lineare. Chissà cosa potrebbe accadere quando un giorno, forse, ci si renderà conto che quest’ultima via non è affatto meritevole. 

    Personificare il disagio

    Del fatto che il disagio giovanile sia variegato e visibile ad occhio nudo abbiamo già parlato. Siccome le responsabilità permangono, le criticità aumentano e il disinteresse generale pullula, proviamo allora a personificare la crisi, concedendole nomi e volti ben definiti. Lo facciamo con dati alla mano, replicando quel modus operandi tanto caro alla partitica di ogni colore che, ospitata nei salotti televisivi, sventola animatamente previsioni statistiche e indici finanziari.

    La diffusione della violenza

    Anzitutto, la violenza: i giovani ne sono attratti, terribilmente, tant’è vero che essa viene perfino definita ludica. Un ossimoro, direte voi, eppure pare che le armi da fuoco possano addirittura riempire quei vuoti temporali che scandiscono la quotidianità. Inquadrati in questo senso, i dati forniti dal rapportoOmicidi volontari consumati in Italia”, realizzato dal servizio analisi criminale della Criminalpol della Polizia, non colgono affatto di sorpresa: stando a quest’ultimo, la percentuale di minorenni autori di omicidi è quasi triplicata nel corso del 2024. 

    Un andamento simile viene registrato anche dal Rapporto Espad 2023: il 40% degli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni ha conosciuto da vicino la violenza, prendendo parte a risse o zuffe. Stiamo parlando di circa 990.000 studenti delle scuole superiori di secondo grado che, negli stessi luoghi di formazione, applicano l’esatto contrario di quanto apprendono; basti considerare che il 4,2% dei giovani raggiunti riferisce di aver colpito – in modo più o meno grave – un insegnante, il 3,7%, di aver usato un’arma per ottenere qualcosa in cambio. 

    Assodata la preoccupazione qui sottesa, esiste comunque un altro elemento allarmante: le cifre di cui sopra sono tali in virtù di un incremento di sette punti percentuali rispetto al 2019, anno in cui la percentuale di giovani coinvolti in casi di violenza si attestava al 33%. 

    La parabola ascendente di cui stiamo trattando non solo non accenna ad arrestarsi, ma non ha nemmeno distinzioni di genere. Sia uomini che donne perpetuano episodi di violenza, in molti casi senza un reale movente alle spalle, ma piuttosto come diversivo o forma di intrattenimento collettivo. Lo stesso vale per il danneggiamento di beni pubblici o privati; ci si avventa su ciò che è condiviso per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. Quanto ai riscontri ottenuti dopo episodi di questo tipo, la rendicontazione di questi ultimi non rientra nel nostro ambito di interesse; nonostante ciò, è comunque possibile ipotizzare una sostanziale voragine. Che sia anch’essa una forma, seppur subdola, di contenimento? 

    La violenza incontra il digitale

    Passiamo al digitale: considerate le recenti evoluzioni tecnologiche, è impensabile che i social non combacino con la vita quotidiana; il problema subentra quando l’abuso di tali mezzi finisce per fomentare cicatrici mai completamente arginate. Ciò accade perché il digitale offre un grande vantaggio, l’anonimato, ed è proprio in virtù di esso che diviene molto semplice finire dall’altra parte della barricata alimentando episodi di cyberbullismo. Che dire poi della diffusione in rete di materiale privato, se non addirittura intimo? A prescindere dalle vesti di volta in volta assunte, si tratta pur sempre di una forma di violenza, declinata ora nell’insulto personale, ora nel tormento della privacy. 

    Proviamo a tirare le somme di quanto detto: il digitale, tronfio del suo funzionamento, interseca l’adolescenza, serbatoio di pulsioni e desideri talvolta proibiti; a conti fatti l’emotività prende il sopravvento, e persino una singola parola pronunciata con toni errati può rivelarsi fatale e mietere vittime ad ampio raggio. Tuttavia, è sbagliato credere che una simile dinamica possa essere circoscritta soltanto a determinati soggetti. Il motivo è presto detto: stiamo qui considerando un arco temporale estremamente delicato, tradotto in altri termini un andirivieni continuo di gioie e delusioni a cui si giunge completamente disarmati, privi di una personalità definita, ancorati ai voleri altrui anziché ai propri. 

    Fattori di rischio associati 

    Fatte queste premesse, l’ultimo riferimento – l’abuso di sostanze psicoattive – diviene persino superfluo: è sempre il rapporto Espad a riferire come gli adolescenti coinvolti in episodi di violenza siano al contempo maggiormente tendenti al consumo di droghe. Si attiva così un circuito vizioso molto difficile da disinnescare – assimilabile quasi alla somministrazione di un farmaco, ora ancora di salvezza, ora criticità di non poco conto – lo stesso in cui il consumo di sostanze finisce per fare il paio con i problemi relazionali.

    Domande senza risposta

    In uno scenario declinato secondo questi punti, non c’è spazio per il confronto, il dialogo, l’ascolto, funzioni lente, oltre che complesse. A confermarlo è Giusi Sellitto, neuropsichiatra infantile, nonché referente del carcere minorile Cesare Beccaria di Milano, che in un’intervista al Giornale fa esattamente ciò per cui, a torto o a ragione, si crede di non avere mai tempo a sufficienza: porre e porsi domande. 

    Perché accade tutto questo? La spiegazione va ricercata nell’”impoverimento delle capacità metacognitive”: letteralmente, “i ragazzi di oggi hanno sempre più difficoltà a pensare, a collegare azioni e conseguenze, a costruire nessi di causa-effetto […] Viviamo in un’epoca in cui si dialoga sempre meno, in cui le risposte arrivano subito, pronte, spesso polarizzate, urlate”. “Questi numeri parlano di rabbia, disperazione, di confini che non si tengono più, che si invadono e si attaccano […] alcol, droghe, una vita online: per molti adolescenti questi sono strumenti che anestetizzano il disagio o, peggio, lo amplificano, rendendolo esplosivo”, prosegue poi Sellitto. 

    In un mondo sempre più invaso dalla violenza sia fisica che verbale, quest’ultima – complice la sua essenza immediata – purtroppo, sembra arrivare a rappresentare, per alcuni, l’unica soluzione percorribile. Eppure, di tutto questo si parla a stento – vuoi perché ritenuto di poca importanza, vuoi perché in quanto detto non sussiste alcun elemento d’eccellenza – salvo poi accorgersi che gli adolescenti violenti sono in molti casi gli stessi che, emarginati socialmente, abbandonano prematuramente gli studi, concorrendo a definire le cifre dei cosiddetti NEET

    Per l’ennesima volta, i punti rispetto a cui agire sono stati forniti. Di conseguenza, l’intervento della società non può più attendere. E quest’ultimo non può prescindere da quella stessa visione d’insieme oggigiorno ben poco praticata. 

    A cura di Fiammetta Freggiaro – Vicedirettrice editoriale

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