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    Tra templi e montagne, Thailandia e Cambogia lottano per un lembo di terra

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    Il Sud-Est asiatico è una delle aree geopolitiche più calde del globo. In questa regione si intersecano pivot di portata globale, dove un cocktail di interessi contrastanti coinvolge un intreccio di potenze minori e medie, contrapposte dell’ingombrante presenza del colosso orientale: la Cina, il Dragone dell’Est.

    A prima vista, tale contesto potrebbe far presumere che gli attori meno forti siano naturalmente inclini a stringere alleanze difensive. Eppure, i recenti scontri tra Cambogia e Thailandia testimoniano quanto gli equilibri regionali siano in realtà fragili e complessi. In questo lembo di mondo, la cooperazione non è mai scontata. 

    Le origini delle ostilità

    Come accade in molte delle dinamiche geopolitiche complesse, anche la crisi attuale tra Thailandia e Cambogia affonda le sue radici in cause altrettanto articolate. Fino a poche settimane fa, i due Paesi non potevano certo definirsi nemici: anzi, pur nella delicatezza dei rapporti tra vicini — dove la prossimità, nel contesto “multipolare” attuale, è spesso più un fattore di attrito che di solidarietà — Bangkok e Phnom Penh condividevano un percorso di cooperazione politica ed economica, nel quadro delle relazioni ASEAN.

    Tuttavia, lo scontro avvenuto tra le alture che separano i due Stati, in un’area oggi al centro di una contesa territoriale, ha riacceso le tensioni in modo improvviso. L’episodio armato verificatosi alla fine di maggio 2025 non può più essere letto come un semplice incidente militare e nemmeno può essere ridotto a una questione religiosa legata al tempio di Preah Vihear. La realtà affonda le sue radici in una serie di questioni irrisolte, che risalgono all’epoca in cui l’Europa coloniale esercitava un forte controllo sulla regione. Nei primi anni del Novecento, infatti, buona parte dell’Indocina era posta sotto l’autorità della Terza Repubblica francese, mentre il Regno del Siam — l’attuale Thailandia — negoziava la propria sovranità con i coloni.

    Con il Trattato franco-siamese del 1907, il Siam cedette a Phnom Penh (sotto protettorato francese) una vasta porzione di territorio, la cosiddetta “Cambogia interna”. In cambio, ottenne la fine del regime di extraterritorialità per i cittadini francesi residenti in Siam, riaffermando la propria indipendenza giuridica e riscrivendo i confini territoriali dell’intera area. A seguito dell’indipendenza della Cambogia, e con una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, il tempio di Preah Vihear fu ufficialmente assegnato alla Cambogia. 

    La situazione attuale

    La “guerra delle pietre”: così è stato ribattezzato lo scontro tra i due Paesi del Sud-Est asiatico, che si consuma in un teatro suggestivo, fatto di montagne e templi millenari, testimoni silenziosi di una nobile civiltà antica. 

    Sebbene Thailandia e Cambogia non si siano formalmente dichiarate guerra, all’alba di giovedì i soldati di entrambi gli eserciti hanno aperto il fuoco, segnando un’escalation che sembra destinata a peggiorare. Nei pressi di un tempio sacro — chiamato Ta Muen Thom in Thailandia e Tamone Thom in Cambogia — non sono piovuti volantini per turisti, desiderosi di ammirare i resti di un passato glorioso, ma bombe, razzi e colpi d’artiglieria.

    Un luogo un tempo celebrato per la sua ricchezza culturale, si è trasformato in uno scenario di violenza. Le autorità thailandesi, infatti, hanno reso noto che dodici persone, tra cui undici civili e un militare, hanno perso la vita durante i combattimenti, e che almeno trenta risultano ferite. Sul fronte cambogiano, invece, non sono stati ufficialmente riportati né morti né feriti, mentre entrambe le parti si accusano reciprocamente di aver aperto per prime il fuoco e di aver fatto ricorso ad armamenti pesanti.

    In seguito all’intensificarsi delle ostilità, l’ambasciata thailandese in Cambogia ha invitato i propri cittadini a lasciare il Paese, sebbene ciò risulti pressoché impossibile, dato che i valichi di frontiera sono attualmente sigillati dalle rispettive forze armate. Nel frattempo, secondo fonti locali, oltre 40.000 persone sarebbero state evacuate da 86 comuni thailandesi, una cifra significativa che tuttavia non ha ancora trovato conferma ufficiale dalle autorità.

    Tra i due litiganti, il terzo gode

    In un clima avvolto da incertezze e tensioni crescenti, si può comunque constatare fattualmente una cosa: la crisi tra Thailandia e Cambogia mette alla luce i limiti strutturali dell’ASEAN, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico.

    Fondata con l’ambizioso intento di garantire stabilità e cooperazione tra gli Stati membri, soprattutto in un contesto regionale soggetto all’ingerenza di potenze più grandi e meglio equipaggiate sotto il profilo militare, l’ASEAN sembra oggi ridotta a un contenitore vuoto, popolato più da formule che da strumenti di reale efficacia. Come spesso accade nelle relazioni internazionali, il crudo decisionismo dei conflitti tende a travolgere il formalismo delle norme. 

    E mentre l’Associazione resta paralizzata nella sua inerzia, a trarne vantaggio è il gigante silenzioso: la Cina. Osservatore vigile di ogni dinamica globale e regionale, il Dragone si muove con cautela calcolata, traendone beneficio. Da oltre un decennio, Pechino ha saputo capitalizzare ogni crisi — dall’Europa al Pacifico — per ridefinire gli equilibri geopolitici a proprio favore.

    In conclusione

    Nel Sud-Est asiatico, la Cina guarda con particolare interesse alla fragilità dei suoi attori, indeboliti da rivalità interne e da un persistente deficit strategico. Il suo obiettivo è consolidare la propria influenza sulle rotte marittime, a partire dallo Stretto di Malacca, arteria fondamentale del commercio mondiale. Lo fa attendendo il momento giusto, quello più propizio, quando gli altri sono troppo distratti dalla frenesia della guerra. 

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