La situazione in Medio Oriente resta estremamente complessa e instabile. Nonostante le pressioni diplomatiche e gli sforzi multilaterali per il contenimento delle gravità umanitarie a Gaza, la regione continua a vivere una delle fasi più delicate degli ultimi anni. Tra offensive militari, tensioni tribali e negoziati che faticano a tradursi in tregue effettive, il quadro generale resta denso di incognite.
Israele intensifica gli attacchi a Gaza
Gli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza non si arrestano. Negli ultimi giorni, almeno 39 palestinesi sono stati uccisi nei raid aerei su Gaza City, che si sommano ai 78 morti contati precedentemente. Secondo fonti locali, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno colpito 130 obiettivi nel nord della Striscia, provocando oltre 30 vittime solo nella giornata del 6 luglio. Il bilancio umanitario continua a peggiorare, mentre i combattimenti sembrano intensificarsi invece di allentarsi.
Il caso Abu Shabab: una minaccia interna per Hamas
In un clima già segnato da devastazione e instabilità, non meno importante è la tensione interna tra le fazioni palestinesi. Il leader paramilitare Yasser Abu Shabab, accusato di collaborare con Israele, è stato condannato pubblicamente da Hamas e dalla Jihad islamica palestinese, che ne chiede la resa entro dieci giorni. Abu Shabab, a capo di circa 100 uomini armati, guida la milizia Anti-Terror Service nel sud di Gaza, operando sotto il sostegno militare israeliano.
Una scelta che ha alimentato un clima da guerra civile latente, con il rischio concreto di conflitti interni nella Striscia. L’accusa mossa da Hamas include tradimento, spionaggio e ribellione armata, aggravando ulteriormente il già precario equilibrio fra clan e milizie nella zona. I suoi uomini sono sospettati di aver ostacolato la distribuzione degli aiuti umanitari, controllando i passaggi strategici e saccheggiando convogli destinati alla popolazione.
Negoziati tra Israele e Hamas: tra ostacoli e spiragli
Nonostante le operazioni belliche, si registra un timido riavvicinamento sul piano diplomatico. Israele ha confermato l’invio di una delegazione in Qatar per proseguire i colloqui indiretti con Hamas su una possibile tregua. L’obiettivo del negoziato è un cessate il fuoco di 60 giorni, durante il quale si prevede lo scambio di ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi.
Hamas ha definito “positiva” la propria risposta alla proposta, ma ha chiesto garanzie sulla non ripresa delle ostilità in caso di fallimento dei colloqui per una tregua permanente. Tuttavia, il governo israeliano ha definito “inaccettabili” alcune delle modifiche richieste da Hamas, pur accettando di proseguire i contatti. Il primo ministro Netanyahu ha dichiarato che ogni trattativa potrà andare avanti solo sulla base della proposta formulata da Qatar, Stati Uniti ed Egitto.
Il piano sul tavolo: tregua, scambio e aiuti umanitari
La proposta negoziale attualmente discussa prevede il rilascio graduale di 10 ostaggi israeliani vivi e la restituzione dei corpi di altri 18, in cambio della liberazione di prigionieri palestinesi detenuti in Israele. Attualmente, si stima che circa 50 ostaggi siano ancora detenuti a Gaza, di cui almeno 20 ancora in vita.
In parallelo, si prevede l’ingresso massiccio di aiuti umanitari, distribuiti esclusivamente da ONU e Croce Rossa, come richiesto da Hamas. Il gruppo palestinese insiste anche sul ritiro delle truppe israeliane verso le posizioni precedenti all’ultima offensiva di marzo.
Inoltre, Hamas ha chiesto garanzie da parte degli Stati Uniti sul fatto che, anche in caso di fallimento della tregua, Israele non riprenda le operazioni militari. A tal proposito, l’opposizione interna al governo israeliano rende difficile immaginare una concessione duratura.
Il fronte interno israeliano e il viaggio a Washington
Nel frattempo, Israele si prepara a rafforzare il proprio esercito. L’IDF ha annunciato l’invio di 54.000 avvisi di leva alla comunità ultraortodossa, storicamente esentata per motivi religiosi. Si tratta di una delle manovre più rilevanti degli ultimi anni, dettata dall’aumento delle esigenze operative sul terreno. I nuovi reclutamenti, previsti per il 2025, mirano a selezionare profili con potenziale per ruoli tattici e di combattimento.
Il premier israeliano ha sottolineato la determinazione volta a riportare a casa tutti gli ostaggi, ribadendo però che la fine del conflitto potrà avvenire solo con la distruzione completa delle capacità militari di Hamas.
Dal canto suo, Trump ha nuovamente espresso pieno sostegno a Netanyahu, definendo il suo processo per corruzione “una caccia alle streghe” e suggerendo, provocatoriamente, l’annullamento del procedimento.
Khamenei ricompare, mentre le tensioni Iran-Francia aumentano
Sul fronte iraniano, la Guida Suprema Ali Khamenei ha fatto la sua prima apparizione pubblica dopo il cessate il fuoco con Israele del 24 giugno. Accolto con cori di “Leone! Leone!”, l’ayatollah ha partecipato a una cerimonia religiosa a Teheran. La sua presenza intende rassicurare l’opinione pubblica interna e rilanciare la posizione iraniana sul piano regionale.
Nel frattempo, i rapporti tra Iran e Francia si inaspriscono. I cittadini francesi Cécile Kohler e Jacques Paris, detenuti da tre anni, sono stati accusati di “spionaggio a favore di Israele” e rischiano ora la pena di morte. Il presidente Macron ha definito le accuse “false” e “provocatorie”, minacciando ritorsioni diplomatiche se entro settembre non saranno ritirate.
Una pace ancora lontana
Nonostante i progressi nei negoziati tra Hamas e Israele, il quadro mediorientale rimane teso e frammentato. La tregua con l’Iran sembra reggere, almeno formalmente, grazie anche alla mediazione statunitense, ma le tensioni regionali sono tutt’altro che risolte.
A Gaza prosegue la crisi umanitaria, mentre il dialogo diplomatico si muove a piccoli passi, insufficienti per pensare ad una soluzione stabile e duratura. Sul piano internazionale, l’Unione Europea inasprisce le sue condanne verso Israele, ma senza strumenti concreti di pressione.
La Cina osserva con prudenza l’evoluzione nell’intero quadrante e la Russia tenta un parziale rientro nello scacchiere regionale, offrendo aperture verso l’Iran. In questo scenario, ogni passo diplomatico richiederà non solo tempo, ma soprattutto volontà politica autentica.
20250257