Non c’è ancora una data. Non c’è nemmeno un accordo sui candidati, né a destra né a sinistra. A meno di un anno dalla scadenza naturale della legislatura, le elezioni regionali in Campania sono avvolte in una nebbia densa di incertezze, manovre sotterranee e scontri di potere. E nel frattempo, la politica continua a giocare su un terreno tutto personale, dimenticandosi dei cittadini.
Il caso Campania
Nel novembre scorso, il Consiglio regionale della Campania ha approvato una legge che avrebbe consentito all’attuale presidente della giunta, Vincenzo De Luca, di candidarsi per un terzo mandato. Un provvedimento cucito su misura, che ha subito fatto discutere. Eppure, per mesi, la maggioranza – in particolare i consiglieri regionali del Partito Democratico – ha negato che esistesse una giurisprudenza chiara in materia. In realtà, il divieto al terzo mandato per i presidenti delle Regioni a statuto ordinario era già stato affermato più volte dalla Corte costituzionale. Ma la verità è che molti consiglieri, pur di non inimicarsi De Luca e perdere il suo sostegno, hanno preferito distorcere la realtà giuridica, tradendo l’articolo 54 della Costituzione che impone a chi ricopre funzioni pubbliche di esercitarle con “disciplina e onore”. Avrebbero dovuto chiedersi se quella legge rappresentasse un vantaggio per l’interesse generale; la risposta – evidente – era no.
A smontare definitivamente il castello di carta ci ha pensato la Corte costituzionale con la sentenza n. 64 del 2025, che ha annullato la norma regionale. La Corte ha ricordato che la ratio della normativa nazionale è quella di limitare la concentrazione di potere e garantire l’alternanza democratica.
Consentire un terzo mandato – senza alcuna ragione oggettiva e in violazione del principio di uniformità tra Regioni – avrebbe rappresentato un pericoloso precedente, tanto più in una materia di rilievo costituzionale come quella dell’elezione dei vertici delle Regioni. La legge campana è stata così dichiarata incostituzionale, perché rompeva il quadro unitario della legislazione nazionale e apriva a derive personalistiche, esattamente ciò che la Carta intende prevenire.
Il rapporto Schlein – De Luca e l’accordo con il Movimento 5 Stelle
Da quando Elly Schlein ha preso le redini del Partito democratico, il rapporto con Vincenzo De Luca è stato glaciale. La segretaria lo ha più volte indicato come un “cacicco” da superare, simbolo di un potere territoriale fondato sul controllo e non sulla partecipazione. Nei primi mesi di segreteria, Schlein ha anche commissariato il partito campano per gravi irregolarità nel tesseramento, segnando un netto distacco da quella classe dirigente locale. Anche il dialogo con il Movimento 5 Stelle, in Campania, è stato per lunghi tratti inesistente, fatto più di scambi velenosi che di progettualità.
L’intesa e i nomi
Eppure, dopo due anni, il quadro è cambiato. Ora l’ipotesi di un’intesa larga, fondata sull’uscita di scena di De Luca, torna d’attualità. Un cambio di passo confermato anche dalla recente riunione tenutasi presso la sede regionale del partito, alla presenza del commissario Misiani, durante la quale – pur auspicando un nuovo ciclo – sono state pubblicamente tessute le lodi amministrative di De Luca, segno di un possibile disgelo calcolato.
L’accordo con i 5 Stelle si riaprirà proprio sul terreno amministrativo lasciato dal governatore uscente, e i nomi in campo per la candidatura unitaria sarebbero Roberto Fico, ex presidente della Camera, Maria Domenica Castellone, attuale capogruppo al Senato, oppure Sergio Costa, ex ministro dell’Ambiente e volto storico del M5S in Campania. Per Schlein, trovare un’intesa in Campania significherebbe anche consolidare i propri equilibri interni, puntando in parallelo alla riconferma di Eugenio Giani in Toscana.
Il centrodestra
Il centrodestra non se la passa meglio. Dopo il passo indietro forzato di Fulvio Martusciello, travolto dallo scandalo Huawei – con la procura belga che il 13 marzo 2025 ha comunicato l’apertura di un’indagine sulle relazioni tra alcuni lobbisti del colosso cinese e cinque eurodeputati, tra cui proprio Martusciello – la coalizione è rimasta senza un candidato forte. Il 20 maggio, la giustizia belga ha formalmente chiesto al Parlamento europeo la revoca dell’immunità per lui e altri parlamentari coinvolti. Una tegola che ha tolto ogni velleità di corsa per la Regione.
Il nome più chiacchierato resta quello di Edmondo Cirielli, attuale sottosegretario agli Esteri, fedelissimo di Giorgia Meloni e figura centrale di Fratelli d’Italia in Campania. Ma anche Cirielli non è esente da critiche interne: viene accusato di eccessivo protagonismo e di voler blindare la candidatura nel perimetro ristretto del suo gruppo di riferimento.
Intanto, a destra restano sullo sfondo due figure sempreverdi: Mara Carfagna, ora in Noi Moderati, che potrebbe giocare la carta del centro, e Sergio Rastrelli, figlio dello storico governatore Antonio Rastrelli, più volte evocato come simbolo identitario della destra napoletana. A conti fatti, le candidature restano ipotesi, non progetti.
I grandi assenti: i partiti
Al netto dei nomi, il vero assente di questa lunga vigilia elettorale è il sistema politico organizzato. I partiti, quelli veri, con sezioni vive, dibattiti accesi, partecipazione attiva, sono spariti. Le sedi locali, un tempo luoghi di formazione politica e confronto, sono oggi perlopiù chiuse o trasformate in uffici stampa per le campagne elettorali. Né a destra né a sinistra esiste una classe dirigente realmente radicata sul territorio, autonoma, credibile.
La scena è occupata da chi – a vario titolo – pare rispondere più ai leader nazionali che ai cittadini. Manca del tutto una visione collettiva, una narrazione per il futuro della regione. E così, mentre la Campania continua a fronteggiare problemi profondi – disoccupazione giovanile, sanità in crisi, spopolamento – la politica locale sembra preoccuparsi solo di salvare equilibri personali. Le urne arriveranno. Ma il rischio è che la vera sfida, quella per ricostruire un’idea di rappresentanza, resti ancora una volta rinviata.
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