È notizia recente che Facebook, dopo numerose segnalazioni, ha provveduto ad eliminare un gruppo intitolato «Mia moglie», attivo dal 2019 con profilo pubblico. Ciò significa che chiunque ha potuto vedere chi ne ha fatto parte e cosa è stato pubblicato.
“Mia moglie”
Da quello che emerge, si trattava di un gruppo, composto da oltre 32.000 iscritti, nel quale venivano condivise le foto intime delle mogli dei partecipanti. Vi erano perlopiù scatti rubati che ritraevano donne di ogni età: mogli, compagne, amiche, persino parenti degli autori del post e, probabilmente, anche sconosciute, capitate per caso davanti alla fotocamera di uno degli utenti partecipanti.
Le foto le immortalavano in abbigliamento intimo, al mare, in auto; ad ogni foto seguivano commenti postati dagli altri componenti del gruppo. Inoltre vi erano anche immagini di modelle create dall’intelligenza artificiale. Ciò che accomunava il tutto era il giudizio universale, e naturalmente i commenti, quasi tutti a sfondo sessuale.
Profili di rilevanza penale
La pubblicazione di immagini ritraenti soggetti inconsapevoli potrebbe configurare alcuni reati previsti dal codice penale. La diffusione non autorizzata di una foto di natura intima e privata potrebbe integrare il delitto di diffusione di immagini o video sessualmente espliciti, c.d. revenge porn, che punisce la condotta di colui che, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.
Inoltre, la pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è – oppure è stata – legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. In tal senso, quindi, i soggetti che hanno diffuso delle foto intime destinate a rimanere private potrebbero incorrere in totale miglior azione della norma penale che, è bene specificarlo, richiede la presentazione della querela da parte della persona offesa.
Un’altra questione riguarda invece i commenti presenti sotto le immagini. In alcuni casi si assiste ad un incremento di insulti fino a giungere a delle vere e proprie forme di minaccia.
Tra repressione ed educazione
Se, dunque, per questo tipo di fenomeni esistono delle ben precise norme penali, nonché inerenti la tutela della privacy, non ci si può esimere da una riflessione di natura culturale e sociale.
Il fatto che un soggetto decida di diffondere una foto della propria moglie, fidanzata compagna o amica in un gruppo pubblico a questo dedicato, sapendo che tale foto sarà oggetto di commenti di natura sessuale da parte degli altri utenti, appare come un chiaro sintomo di una perdita o di una mancanza di valori base che caratterizzano, o meglio dovrebbero caratterizzare, l’essere umano.
L’aspetto morale e educativo dovrebbe far sì che nessuno provveda alla creazione di un gruppo volto alla diffusione di immagini perlopiù a sfondo sessuale ed alla condivisione di commenti offensivi e minacciosi.
Nemmeno la minaccia di una grave sanzione penale ha scoraggiato gli utenti ad interrompere la propria condotta, a maggior ragione considerando che il gruppo – essendo pubblico – poteva essere visualizzato in qualsiasi momento da qualunque utente Facebook.
Conclusioni
Prima ancora di passare al piano giuridico, occorre quindi prevedere insegnamenti di natura educativa e sociale, improntati al rispetto della persona, onde evitare la mercificazione e sessualizzazione del corpo umano ed anche comportamenti di minaccia online che, a volte, possono poi tradursi in atti di aggressione fisica nella vita reale. È bene dimenticare che le persone non sono oggetti più o meno comodi, dunque non esiste alcuna forma egoistica di possesso.
Dell’Avvocato Francesco Martin
20250312