Se è vero che nulla accade per caso, allora anche la visita del presidente statunitense Donald Trump in Asia nasconde motivazioni che, quantomeno l’Occidente, inteso quale soggetto politico dalla costituzione eterogenea sotto il profilo della politica estera, fatica ancora a concepire.
Ecco spiegato perché le due principali tappe del suo tour – Corea del Sud e Giappone – suggeriscono in realtà ragioni apparenti e reali.
La visita di Trump in Asia e la sosta in Qatar
Sorvolando su ciò che è ormai di dominio pubblico – la necessità del tycoon di riaffermare la propria preminenza e, non da ultimo, consolidare la propria reputazione di abile peacemaker – ecco comparire il vero punto focale: a poco più di due mesi dal vertice dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO), Trump visita l’Asia mettendo a segno un’intuizione, procedere in direzione diametralmente opposta a quanto stanno facendo altri alleati statunitensi.
A ben guardare, volendo essere più precisi, la retorica perpetrata dalla Casa Bianca è stata avviata molto prima dell’arrivo in Malesia, sede del vertice dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN), al quale, tra gli altri, sta prendendo parte anche Trump.
Difatti, la stessa tappa in Qatar – compiuta ufficialmente per ragioni tecniche – prevede un piano strategico non indifferente di cui, in questo caso, alla luce della trattativa tra Israele e Hamas mediata dagli Stati Uniti, anche l’Occidente può dirsi pienamente consapevole.
La tappa in Malesia
A partire dalla prima tappa del viaggio asiatico, il presidente Trump non ha fatto altro che rinvigorire la propria reputazione internazionale: una volta atterrato a Kuala Lumpur, capitale della Malesia, supervisionando l’accordo sul cessate il fuoco tra Cambogia e Thailandia, si è assunto il merito di una rinnovata stabilità nel Sud-est asiatico.
Poco importa se, nel fare questo, non ha tenuto in debita considerazione la versione fornita a riguardo dal ministro degli Esteri thailandese, che ha parlato di un “percorso verso la pace”, e non di un “passo monumentale”.
Non sono poi mancati accordi bilaterali oltre che con Cambogia e Thailandia, anche con Vietnam e Malesia. Ma la vera svolta è arrivata con l’incontro con il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, che dopo aver incassato l’impegno statunitense a intraprendere un percorso di negoziazione con cui riequilibrare i rapporti commerciali tra i due Paesi, ha proposto a Trump di svolgere un ruolo di mediazione tra Washington e il governo venezuelano.
Il Giappone e la Cina
Lasciata la Malesia, a partire da domani, l’agenda del presidente Trump è particolarmente fitta: sia in Giappone che in Corea del Sud, Trump incontrerà i rappresentanti di due Paesi maggiormente colpiti dai dazi statunitensi.
In questo, esiste però una differenza: mentre la neoeletta premier giapponese Sanae Takaichi ha recentemente scelto di giocare d’anticipo, assecondando le probabili mire di Trump, annunciando un aumento della spesa destinata al settore della difesa al 2% del prodotto interno lordo nipponico entro marzo 2026, Pechino invece ha più volte sfidato a viso aperto la presidenza Trump, con importanti restrizioni sulle importazioni di tecnologia cinese negli Stati Uniti.
Soltanto nelle scorse ore, nel corso di un’intervista concessa a Cbs News, il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha riferito il raggiungimento di un “consenso di base” con la controparte cinese su soia, terre rare e TikTok.
Proprio questi ultimi punti, nel recente passato, avevano riacceso una tensione latente, mai realmente assopita nonostante le trattative tuttora in essere. A detta di Scott, che ha definito i colloqui tra Stati Uniti e Cina avuti in Malesia “costruttivi, ricchi e approfonditi”, “spetterà ai due leader finalizzare la transazione giovedì in Corea”.
Il reale scopo del viaggio
A prescindere dall’esito dei vari incontri in agenda, Trump potrà comunque farsi forte di essere riuscito esattamente laddove, molti altri, paiono non avere alcuna intenzione di arrivare, dialogare con Paesi il cui passato mostra pulsioni anti-occidentali e, soprattutto, anti-americane più o meno evidenti.
Tenendo buono questo piano interpretativo, con buona probabilità le aspettative statunitensi saranno pienamente soddisfatte una volta assodati due obiettivi i cui contorni, allo stato attuale, paiono ancora incerti: il colloquio con il leader nordcoreano Kim Jong-un e, soprattutto, l’intervento “paciere” cinese nel tentativo di porre fine al conflitto russo-ucraino.
20250412

