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    Il voto che ha salvato l’ultima grande acciaieria del Regno Unito

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    Il governo britannico ha preso il controllo dell’acciaieria di Scunthorpe, in Lincolnshire, sull’orlo della chiusura.

    La seduta straordinaria

    Il Parlamento britannico, interrompendo straordinariamente la pausa pasquale iniziata l’8 aprile, si è riunito nella giornata di ieri per approvare una legge emergenziale che permettesse il passaggio della gestione dell’acciaieria di Scunthorpe dalle mani dell’azienda cinese Jingye al Governo.

    La nuova misura consente all’esecutivo laburista di usare i soldi delle tasse dei cittadini per comprare i materiali necessari al funzionamento dell’impianto, riuscendo così a proteggere migliaia di posti di lavoro. Subito dopo la votazione parlamentare, accolto con piacere dai lavoratori, Keir Starmer si è recato a Scunthorpe, dove ha annunciato di persona la decisione presa dal suo Governo.

    Quando il deputato dello Scottish National Party Stephen Flynn ha interrogato il Governo sul perché simili misure eccezionali non fossero state applicate in casi speculari – sia in Galles che in Scozia, dove verranno persi indirettamente migliaia di posti di lavoro all’interno della filiera produttiva – il Ministro delle Imprese Jonathan Reynolds ha sottolineato come i comportamenti delle aziende e le situazioni non fossero minimamente paragonabili a quella di Scunthorpe.

    L’acciaieria

    L’impianto di Scunthorpe dà lavoro a circa 2700 persone, ed è l’ultimo impianto attivo nel Paese capace di produrre acciaio vergine che, grazie alla presenza di minori imperfezioni, è impiegato nella costruzione di grandi infrastrutture. Qualora questa acciaieria interrompesse la sua produzione, la Gran Bretagna diventerebbe l’unico paese del G7 a non produrre acciaio vergine, un rischio per l’economia a lungo termine, che il Governo non vuole correre.

    Nel 2020, dopo un periodo di forte instabilità finanziaria, il gruppo Jingye aveva comprato British Steel, precedentemente presa in gestione dall’ente statale addetto alle procedure fallimentari. A marzo di quest’anno, però, l’azienda cinese, dichiarando di perdere circa 700 mila sterline al giorno presso l’impianto di  Scunthorpe, aveva lanciato una consultazione sulla sua chiusura. Per Jingye gli altiforni non erano più finanziariamente sostenibili a causa delle impegnative condizioni del mercato, delle tariffe e dei costi nazionali e globali legati alla transizione verso tecniche di produzione a bassa emissione di carbonio.

    La crisi dell’acciaio

    La produzione britannica di acciaio è in crisi da decenni. Le pressioni finanziarie implicitamente presenti in questo settore sono peggiorate a marzo con l’imposizione di dazi del 25% da parte degli Stati Uniti. 

    A livello mondiale, è attualmente in corso una sovraproduzione di acciaio, che ha portato a un eccesso del materiale sul mercato internazionale, abbassandone il prezzo. I produttori britannici, rispetto ai competitor stranieri, devono affrontare inoltre maggiori costi di produzione, soprattutto legati all’energia elettrica.

    Cosa cambia dopo il voto

    Oggi, con l’intromissione del governo britannico, la proprietà dell’acciaieria è comunque del gruppo cinese, ma il Ministro delle Imprese britannico ha notevoli poteri di controllo sul management e sui lavoratori del sito, una commistione tale da permettere la prosecuzione senza interruzioni della filiera produttiva. Non c’è stata dunque una nazionalizzazione di British Steel, nonostante per lo stesso Ministro Jonathan Reynolds la proprietà pubblica sarebbe potuta essere un’opzione valida. Quest’ultima direzione non è affatto da escludere per il futuro. 

    La nazionalizzazione delle imprese vista da più fronti

    Il dibattito sulla nazionalizzazione delle imprese è solitamente guidato da partiti di stampo socialista, ma in questo contesto a portare avanti le istanze di rinazionalizzazione sono anche gli esponenti di partiti conservatori, tra cui Reform UK: “Penso ci sia un’opportunità per andare oltre, per essere audaci e coraggiosi, nazionalizzando British Steel”, ha detto Richard Tice, deputato di Reform UK. 

    Per il deputato conservatore David Davis una politica come la nazionalizzazione era di ovvia necessità in questo contesto a causa dell’ostinazione dell’azienda cinese. Bisogna però ricordare che è stato proprio un governo conservatore, anni fa, ad aver venduto ai cinesi la proprietà dell’acciaieria britannica.

    Davis, ai microfoni di Channel 4 News, parla di come negli ultimi sei anni la situazione economica e politica globale sia cambiata, giustificando il cambio di rotta del suo partito, “dovuto alla fine del mercato libero che garantiva la possibilità di procurarsi le materie prime da più fonti. Ma tutto d’un tratto a causa della guerra russo-ucraina, di Putin, e di Trump, il mondo non è più uno in cui si può commerciare liberamente”.

    Le ipotesi di Farage

    C’è poi, come sempre, qualcuno che fa complottismo. Senza alcuna prova, Nigel Farage ha accusato la Cina di aver comprato British Steel con il solo obiettivo di farla chiudere. Il leader di Reform UK ha dichiarato che, a parer suo, sarebbe coinvolto anche il governo cinese nella decisione dell’azienda Jingye di cancellare gli ordini della materia prima necessaria a tenere in funzione gli altiforni di Scunthorpe. 

    Il ministro Reynolds, in risposta a Farage, ha argomentato dicendo di credere che il gruppo abbia inevitabili collegamenti con il Partito Comunista Cinese, benché questo dal canto suo non sia il motivo dietro la scelta di Jingye, precisando a Sky News: “Non voglio che i cittadini pensino che questa particolare situazione vada oltre ai problemi dell’azienda”, aggiungendo, “Personalmente non inviterei un’azienda cinese a far parte del nostro settore siderurgico”.

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