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    Voto fuorisede: il no del Governo

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    Rimostranza da parte di Matteo Piantedosi, finito al centro del dibattito parlamentare per il risultato del voto degli studenti cosiddetti “fuorisede” nelle recenti elezioni europee. Quest’ultimo rimane un tema dibattuto, spesso al centro dell’attenzione e dell’opinione pubblica, rispetto al quale il Governo però non ha avuto intenzione di trovare una soluzione. In sintesi, la questione del diritto di voto per i cittadini fuorisede resta allo stato attuale un punto interrogativo.

    Pertanto, non saranno adottati provvedimenti per consentire agli studenti e ai lavoratori fuorisede di votare nei luoghi in cui studiano e lavorano in concomitanza dei referendum previsti la prossima primavera. Attualmente, l’Italia è l’unico Paese in Europa che non offre la possibilità di voto a distanza.

    Sperimentazione del voto a distanza per i fuorisede 

    È stato approvato nel 2024 dal governo Meloni, in Commissione Affari costituzionali al Senato, un emendamento al decreto Elezioni per la sperimentazione del voto a distanza per gli studenti fuorisede in occasione delle elezioni europee. Parliamo di un provvedimento al quale ha lavorato il centrodestra, con l’obiettivo di favorire la partecipazione politica dei cittadini e di incoraggiare l’avvicinamento alla vita democratica del Paese. Alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno si è assistito a una novità: per la prima volta, gli studenti fuorisede hanno avuto la possibilità di votare senza dover tornare nel loro Comune di origine. 

    Il sistema elettorale italiano 

    Il nostro sistema elettorale negli ultimi anni è stato oggetto di modifiche. Si sono susseguite varie leggi elettorali: dal “Mattarellum”, nel 2001, al “Porcellum” nel 2013, fino ad arrivare all’attuale, nel 2018, il “Rosatellum”. Deputati e senatori vengono eletti dai cittadini, mentre è il presidente della Repubblica a nominare i senatori a vita tra coloro che hanno onorato la patria per alti meriti nel campo artistico, letterario, e sociale. 

    La nostra legge elettorale prevede un sistema cosiddetto misto: si procede all’elezione di deputati e senatori attraverso due modalità, la prima uninominale, mentre la seconda plurinominale. Per gli italiani all’estero, a differenza dei fuorisede, è previsto il voto per corrispondenza, ovvero una modalità di voto tramite la quale il cittadino residente all’estero può esprimere la sua preferenza compilando la propria scheda elettorale, appositamente inoltrata, consentendogli così di poter esercitare il suo diritto. Tuttavia, per quanto riguarda i cittadini comunemente noti come “fuorisede”, per il momento non si è convenuti ad una soluzione. 

    Il voto fuorisede: un nodo irrisolto

    Secondo dati recenti, l’affluenza alle urne negli ultimi anni è calata del 60%. D’altro canto, gli studenti fuorisede che hanno beneficiato del cosiddetto voto a “distanza” in occasione delle elezioni europee dell’8 e del 9 giugno sono stati più di ventunomila. Dopo anni di tentativi infruttuosi il governo Meloni ha lanciato un sistema sperimentale pensato per garantire il diritto di voto solo agli studenti fuorisede, escludendo così i lavoratori. Durante un question time alla Camera, è stato chiesto al ministro Piantedosi se si intendesse proseguire con il sistema utilizzato per le elezioni europee, ricevendo però risposte poco soddisfacenti.

    Rivendicare un diritto

    Fa discutere la posizione assunta dal Ministro dell’interno, attirando dubbi e critiche: «Si tratta di 5 milioni di italiani che studiano o lavorano fuori lontani dal luogo della loro residenza effettiva. Non abbiate paura di un esercizio di democrazia, di confronto, di scontro come possono esserlo i referendum», ha detto il segretario di +Europa, Riccardo Magi

    Piantedosi, dal canto suo, ha precisato che è in fase di definizione un accordo tra il Ministero dell’interno, dell’istruzione e dell’università, per la promozione di protocolli tra Prefetture e istituti scolastici al fine di stimolare nei giovani la partecipazione e l’interesse alla vita democratica del paese. Rispetto al voto degli elettori ‘fuorisede’, nel luglio 2023 è stata approvata una norma di delega al Governo per occuparsi della materia, nell’interesse di qualsiasi cittadino; quest’ultima al momento è sottoposta all’attenzione del Senato. Attualmente, però, non esiste una normativa che consenta l’applicazione di un sistema di voto per gli elettori domiciliati fuori dalla loro località di residenza.

    Referendum: voto tra il 15 aprile e il 15 giugno 

    Una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno: questo l’arco temporale selezionato dal ministero dell’interno per il voto dei referendum riguardanti cittadinanza e lavoro. Dopo la pubblicazione ormai imminente in Gazzetta Ufficiale dei dispositivi delle cinque sentenze della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’ammissibilità di cinque referendum abrogativi, si andrà ad individuare una data per la ricorrenza dei suddetti referendum. 

    Il 20 gennaio 2025 la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili le seguenti richieste di referendum abrogativo: “Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana” – “Contratto di lavoro a tutele crescenti  – disciplina dei licenziamenti illegittimi”; “Piccole imprese – Licenziamenti e  relativa indennità”; “Abrogazione parziale di norme in  materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e  condizioni per proroghe e rinnovi”; “Esclusione della responsabilità solidale  del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore  dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici  propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici”.

    Non è stato dichiarato ammissibile, invece, il referendum abrogativo sulla “Legge 26 giugno 2024, n. 86, Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”. Secondo la Corte, l’oggetto e la finalità del dispositivo in esame risultano essere equivoci.

    Un vuoto legislativo

    Il fatto che chi viva temporaneamente, per ragioni di studio o di lavoro, lontano dal proprio Comune di residenza si veda negato il diritto di partecipare alla vita politica del Paese costituisce un grande vuoto legislativo a cui il Governo dovrebbe dare la priorità. L’astensionismo aumenta ma non si conviene ad una soluzione che possa incentivare un miglioramento; vengono calpestati i diritti di migliaia di giovani, danneggiando intere fasce sociali.

    La novità alla quale abbiamo assistito per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno resta un’eccezione. È stato chiesto a Piantedosi se intendesse portarla avanti, ma quest’ultimo ha escluso l’eventualità in maniera categorica, soprattutto in vista dei due referendum che si terranno nella prossima primavera. Il Ministro ha giustificato questa scelta commentando i dati delle recenti elezioni europee come “scarsi”, minando però i diritti dei cittadini.

    L’articolo 48 della nostra Costituzione sancisce il diritto di voto e ne definisce i principi fondamentali: tra questi, il suffragio universale, raggiunto nel 1946, che consente a tutti i cittadini di prendere parte alla vita democratica del Paese, senza distinzione alcuna.

    Il Governo sostiene di voler combattere l’astensionismo negando però un diritto a milioni di cittadini. Come combattere questo fenomeno se non viene permesso ai fuorisede di esprimere la propria idea politica senza doversi accollare costi di viaggio spropositati solo per fare rientro nel proprio Comune di residenza?

    Conclusioni

    Sul punto il Governo non ha risolto nulla. Il sistema sperimentato alle europee, a detto del ministro Piantedosi, è stato infruttuoso e al momento non vi sono in ballo proposte simili. Questo con il tempo non farà che incrementare il fenomeno dell’astensionismo e ridurre la partecipazione dei cittadini alla politica.

    Ci si chiede quindi in che modo, precisamente, si cerchi di contrastare tale andamento. La partecipazione alla vita del Paese non può essere appannaggio di pochi, e la “fuga politica” non può essere certo la soluzione.

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