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    App di dating: quando gli algoritmi generano disparità tra uomini e donne

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    Le app di dating sono diventate, nel giro di pochi anni, piattaforme centrali nelle dinamiche relazionali contemporanee: milioni di utenti interagiscono ogni giorno attraverso interfacce e algoritmi che filtrano, ordinano e valorizzano profili.

    Tuttavia, si è osservato come le logiche di visibilità e matching sembrano favorire, in modo sistematico, le donne rispetto agli uomini, con conseguenze concrete nell’accesso alle opportunità di interazione offerte dal servizio.

    Non si tratta solo di differenze soggettive di gusti o di comportamenti individuali, ma di un meccanismo di piattaforma – fatto di design dell’interfaccia, metriche di ranking e logiche algoritmiche – che produce un vantaggio strutturale a favore di una categoria di utenti e, specularmente, un pregiudizio per l’altra.

    Quando un sistema tecnologico determina ripetutamente risultati differenti per gruppi definiti da caratteristiche sensibili come il sesso, ci troviamo di fronte non soltanto a un problema sociologico o economico, ma anche a profili giuridici rilevanti.

    L’inquadramento giuridico della questione

    Il principio cardine da cui partire è quello di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione italiana, che impone al legislatore e ai privati l’obbligo di garantire parità di trattamento senza discriminazioni arbitrarie. L’uguaglianza ha una duplice dimensione:

    • formale, ossia il divieto di differenziare irragionevolmente il trattamento di situazioni uguali;
    • sostanziale, ossia l’impegno a rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona.

    Questi principi costituiscono il parametro attraverso cui valutare la legittimità delle pratiche adottate dalle piattaforme digitali. Se un servizio aperto al pubblico produce sistematicamente effetti discriminatori sulla base del sesso, senza una ragione oggettiva e proporzionata, esso rischia di porsi in contrasto con il dettato costituzionale.

    La cornice giuridica non si limita alla Costituzione. A livello europeo, il diritto antidiscriminatorio rappresenta un ulteriore pilastro:

    • La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 21) vieta espressamente qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.
    • Le direttive antidiscriminazione (ad es. 2000/43/CE e 2004/113/CE) stabiliscono che l’accesso a beni e servizi disponibili al pubblico debba avvenire in condizioni di parità, vietando trattamenti sfavorevoli diretti o indiretti.
    • La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea ha più volte sottolineato che il principio di uguaglianza vincola non solo gli Stati, ma anche i soggetti privati che offrono servizi di rilevanza sociale o economica.

    Trasparenza e protezione dei dati

    Un ulteriore livello di disciplina riguarda le norme sulla concorrenza e sulla correttezza commerciale. Le piattaforme digitali, ponendosi come intermediari essenziali per l’accesso a determinati mercati (nel caso di specie, quello degli incontri online), devono rispettare i principi di trasparenza e parità di trattamento. Una gestione algoritmica che avvantaggi sistematicamente una categoria di utenti a scapito di un’altra potrebbe essere interpretata come una forma di pratica commerciale scorretta o discriminatoria.

    Infine, non va trascurato il ruolo del diritto alla protezione dei dati personali e della normativa sul trattamento automatizzato delle informazioni (Regolamento UE 2016/679, art. 22). La logica algoritmica che determina la visibilità dei profili costituisce un processo decisionale automatizzato che incide direttamente sulle opportunità individuali: in questi casi, il regolamento impone il rispetto di criteri di correttezza, trasparenza e non discriminazione.

    Da questo quadro normativo emerge un punto essenziale: anche senza un intento esplicito di discriminare, l’effetto di un algoritmo che produce vantaggi o svantaggi sistematici sulla base del sesso può configurare una violazione del principio di uguaglianza e dei divieti di discriminazione.

    Il funzionamento delle app

    Le piattaforme di dating online si presentano come spazi neutrali di incontro, ma la loro architettura tecnica e le logiche algoritmiche incidono profondamente sulle opportunità concrete offerte agli utenti. In particolare, la selezione dei profili da mostrare, l’ordine di visualizzazione e la frequenza di esposizione dipendono da sistemi di ranking e da metriche di interazione che non sono neutrali.

    Nella prassi, si osserva un fenomeno ricorrente: le donne ottengono una visibilità e un numero di interazioni significativamente superiori rispetto agli uomini. Questo squilibrio può essere ricondotto a più fattori, interconnessi fra loro. In primo luogo, la distribuzione demografica degli utenti è generalmente sbilanciata: i profili maschili sono più numerosi rispetto a quelli femminili, generando una maggiore competizione tra uomini e, al contempo, un vantaggio statistico per le donne, che diventano più ricercate e visibili.

    A ciò si aggiunge il funzionamento degli algoritmi di ranking, che valutano la “desiderabilità” dei profili in base a parametri come il numero di like ricevuti, la rapidità di risposta e altre interazioni. Poiché i profili femminili ricevono inizialmente più interazioni, tendono a scalare rapidamente i ranking, creando un effetto cumulativo in cui maggiore esposizione genera ulteriori interazioni, rafforzando ulteriormente il vantaggio competitivo.

    Uno squilibrio di trattamento

    Anche il design dell’interfaccia contribuisce a questo fenomeno. Gli utenti maschili tendono a esprimere un numero elevato di preferenze, mentre le donne adottano comportamenti più selettivi; gli algoritmi, addestrati su queste dinamiche, consolidano il divario, proponendo i profili femminili con maggiore frequenza e priorità. Nel tempo, si instaura un vero e proprio feedback loop: gli uomini che ricevono poche interazioni continuano a rimanere poco visibili, mentre le donne consolidano la loro posizione privilegiata.

    Il risultato complessivo è un vantaggio strutturale per le donne e un pregiudizio sistematico per gli uomini, che non dipende dalle qualità individuali dei profili ma dal funzionamento stesso della piattaforma. Dal punto di vista giuridico, un simile squilibrio pone una questione cruciale: se un servizio offerto al pubblico, attraverso le proprie modalità tecniche, garantisce condizioni di fruizione diseguali a seconda del sesso, ciò può integrare una forma di discriminazione indiretta. In questo caso, il criterio non è imposto espressamente (non vi è un divieto di accesso per gli uomini), ma il risultato pratico è un accesso diseguale alle stesse opportunità. 

    Possibili soluzioni

    Alla luce dei profili di illegittimità delineati, emerge l’esigenza di individuare strumenti idonei a mitigare le disparità generate dagli algoritmi e a garantire pari opportunità agli utenti. Una delle prime misure consiste nella trasparenza algoritmica: le piattaforme dovrebbero rendere pubblici i criteri principali che determinano la visibilità dei profili e le modalità di ranking, consentendo agli utenti e agli organismi di controllo di verificare l’eventuale presenza di effetti discriminatori.

    Parallelamente, è opportuno adottare audit indipendenti e controlli periodici sugli algoritmi, effettuati da enti esterni o da autorità competenti, con l’obiettivo di identificare e correggere bias sistematici. Tali verifiche consentirebbero di accertare se le logiche della piattaforma producano vantaggi o svantaggi ingiustificati per specifiche categorie di utenti, introducendo, se necessario, adeguati correttivi.

    Sul piano tecnico, i modelli di machine learning possono essere progettati secondo i principi di fairness algoritmica, definendo criteri volti a bilanciare visibilità e opportunità tra gruppi demografici diversi. Questi interventi non hanno l’obiettivo di penalizzare alcun gruppo, bensì di assicurare che le differenze di trattamento derivino esclusivamente da scelte oggettive e ragionevoli, evitando che siano il prodotto di dinamiche strutturali non intenzionali.

    A livello regolatorio e giuridico, si rende necessario rafforzare il ruolo delle autorità di tutela dei consumatori, della concorrenza e della privacy, mediante linee guida specifiche per le piattaforme digitali e iniziative volte a promuovere pratiche conformi ai principi di uguaglianza e non discriminazione. Inoltre, un’adeguata educazione digitale degli utenti può favorire una maggiore consapevolezza dei meccanismi alla base delle piattaforme, riducendo l’insorgenza di effetti perversi e di aspettative distorte.

    In conclusione, assicurare tale equilibrio costituisce non solo un obbligo giuridico, ma anche un elemento fondamentale per lo sviluppo di piattaforme digitali più eque, responsabili e socialmente sostenibili.

    Di Chiara Vitone – in collaborazione con Orizzonte Giuridico

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