Dopo gli scontri sulle misure contenute all’interno della legge di Bilancio, a tenere banco nel dibattito politico è la diatriba tra il programma di inchiesta Report e l’Autorità Garante della Privacy.
Dopo diffide, veti e proseguimenti ad oltranza, si è arrivati perfino alla richiesta di dimissioni di tutti i componenti dell’Autorità. Che cosa sta succedendo?
Partiamo dalle basi
Come spesso accade nelle ricostruzioni offerte dai media, anche in questo caso si parla ampiamente dell’oggetto della contesa, senza tuttavia specificarne l’esatto funzionamento. Per questo motivo vale la pena capire che cos’è l’Autorità Garante della protezione dei dati personali.
Si tratta di un’autorità amministrativa indipendente istituita ai sensi della legge n. 675/1996 e designata “ai fini dell’attuazione del Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (UE) 2016/679”.
Tra i suoi compiti figura la relazione annuale al Parlamento e al Governo sull’attività svolta e sullo stato di attuazione della normativa sulla privacy, l’adozione dei provvedimenti previsti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali, nonché lo sviluppo della consapevolezza ad essa correlata, con un occhio di riguardo per la tutela dei minori.
Ai sensi del Codice etico adottato, si evince il perseguimento di un “modello di organizzazione e comportamento improntato al rispetto dei principi di lealtà, imparzialità, integrità, riservatezza e corretto adempimento dei doveri, nonché di prevenzione contro ogni forma di corruzione”.
In quanto organo collegiale, l’Autorità prevede quattro membri eletti dai due rami del Parlamento per un mandato di sette anni non rinnovabile.
I primi scontri
Tutto è iniziato quando Agostino Ghiglia, membro dell’Autorità, aveva diffidato la redazione di Report – il programma di inchieste guidato da Sigfrido Ranucci – per tentare di impedire la messa in onda della puntata in cui venivano ricostruiti presunti contatti tra lo stesso Ghiglia e Arianna Meloni, sorella della presidente del Consiglio. Stando a quanto ricostruito da Report, l’incontro è avvenuto poco prima della decisione dell’Autorità di multare il programma Rai in seguito alla diffusione di una conversazione privata tra l’ex ministro Sangiuliano e la moglie.
Alla fine, la puntata è andata comunque in onda, malgrado le accuse di violazione della riservatezza. Mentre le opposizioni si sono interrogate sulla presenza di Ghiglia negli uffici di una forza di maggioranza a poche ore dalla sanzione, tentando di spiegare quanto avvenuto, Ghiglia ha detto di essersi recato nella sede di Fratelli d’Italia insieme al direttore de “Il Secolo d’Italia” Italo Bocchino per motivi editoriali.
Partito Democratico e Movimento 5 Stelle hanno quindi chiesto le dimissioni di Ghiglia. Secondo Sandro Ruotolo, responsabile informazione del Partito Democratico, la diffida presentata “è gravissima, si tratta di interruzione di servizio pubblico”. Angelo Bonelli di Alleanza Verdi-Sinistra, invece, ha dichiarato: “siamo alla censura. La diffida è la dimostrazione che non si vuole far conoscere la verità agli italiani a partire dal ruolo di FdI e dei partiti di governo nella vicenda che ha portato l’Authority a sanzionare Report”.
Gli sviluppi successivi
Negli ultimi giorni, a riaccendere la miccia è stata l’anticipazione offerta sui social alla vigilia della nuova puntata di Report, un’inchiesta focalizzata sulla presunta riduzione della sanzione a Meta per i suoi smart glasses, rei di aver violato aspetti relativi alla privacy sia degli utenti che delle persone riprese.
Prestando attenzione all’operato del Garante, all’Autorità viene contestata la mancata terzietà: in questo caso, Ghiglia avrebbe avuto un incontro con il responsabile istituzionale di Meta in Italia “prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni”.
A detta del Garante, si tratterebbe di un servizio destituito “di ogni fondamento, frutto o di una scarsa conoscenza della disciplina della materia o, peggio, di mala fede“.
Schlein e Meloni
Chiamando in causa un “sistema gestionale opaco, caratterizzato da numerosi conflitti di interesse”, la segretaria dem Elly Schlein ha denunciato un “quadro grave e desolante”, chiedendo altresì le dimissioni di tutti i membri. “Senza un azzeramento e una ripartenza sarà impossibile ricostruire la fiducia dei cittadini nell’istituzione che deve tutelarne i diritti e assicurare la necessaria terzietà del collegio, anche rispetto alla politica”.
Nelle sue dichiarazioni, Schlein solleva presunte correlazioni tra Ghiglia, esponente storicamente vicino a Fratelli d’Italia, e la sua elezione. Tradotto in altri termini, associa un’etichetta partitica a ciò che, qualora le ricostruzioni venissero attestate, sarebbe a tutti gli effetti uno scandalo pubblico.
In un video reso pubblico dal Corriere della Sera, la premier Giorgia Meloni ha risposto alle osservazioni di Schlein reiterando quanto contenuto all’interno del decreto legislativo n. 196/2003: la competenza sull’elezione del Garante spetta al Parlamento, e non al Governo.
Poco importa, se così facendo, si sposta l’attenzione dal problema tuttora in essere – la presenza di un’autorità indipendente che dovrebbe perseguire l’imparzialità e la lotta contro eventuali episodi di corruzione ma che pare muoversi in direzione diametralmente opposta – alla tendenza politica assunta dal Parlamento all’epoca dell’elezione dell’attuale collegio – avvenuta con i “voti del Pd e dei Cinque stelle”.
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