Lunedì la Gran Bretagna è diventata il primo paese del G7 e la prima grande economia planetaria ad abbandonare definitivamente il carbone. In Nottinghamshire si è fatta la storia. È una frase che forse fa sorridere, ma è così: con la chiusura della centrale elettrica di Radcliffe, la Gran Bretagna dopo 140 anni può finalmente guardare a un futuro privo di carbone.
La storia del carbone fossile
La primissima centrale a base carbonifera ha iniziato la sua attività nel 1882: si stima che da allora, e fino a lunedì, nelle isole britanniche siano state bruciate 4.6 miliardi di tonnellate di carbone ed emesse circa 10 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, registrando così il più alto tasso di utilizzo di carbone fossile di tutto il mondo. All’inizio del ventesimo secolo quasi il 100% della produzione elettrica del paese era generata da impianti alimentati a carbone, percentuale destinata a scendere molto lentamente negli anni, raggiungendo il 36% nei primi anni duemila, grazie all’utilizzo di impianti a gas e reattori nucleari.
Nel corso degli anni si sono susseguite alcune regolamentazioni atte a limitare l’attività carbonifera e salvaguardare il pianeta. Tra queste, il Climate Change Act del 2008, che stabiliva riduzioni di emissioni di gas serra ma non parlava del carbone, che genera il doppio delle emissioni inquinanti rispetto al metano e a suoi simili. Il cambiamento vero e proprio inizia nel 2013, quando il Governo decide di aumentare pesantemente la tassazione sull’utilizzo del carbone come fonte energetica. Due anni più tardi arriva l’Accordo di Parigi e l’introduzione di un obiettivo internazionale: estinguere totalmente la dipendenza dal carbone fossile.
Con la chiusura di questa settimana, dunque, la Gran Bretagna non solo stabilisce un primato sulle altre nazioni, ma riesce anche a rispettare gli accordi internazionali. Ciò che sembra motivo d’orgoglio per i britannici, poteva esserlo ancora di più. Infatti, la centrale di Radcliffe avrebbe dovuto già chiudere i battenti due anni fa, ma a causa del conflitto russo-ucraino, l’azienda tedesca che ne è proprietaria, in accordo con il Governo britannico, aveva deciso di continuare l’attività dell’impianto per far fronte alla carenza di gas e al suo elevato costo.
Nel frattempo nel mondo e in Italia…
L’enorme paradosso è che lo scorso anno, nonostante all’apparenza dal 2015 ad oggi sembrasse stesse andando tutto a gonfie vele, e che l’utilizzo del carbone stesse effettivamente diminuendo, i numeri riguardanti il suo impiego a livello industriale sono aumentati senza precedenti in tutto il mondo, soprattutto in paesi chiave per la lotta alla crisi climatica. La leader di questa controtendenza è stata la Cina – seguita con numeri assai minori dall’Indonesia e dall’India – dove si sono registrati i due terzi delle nuove aggiunte di centrali a carbone degli ultimi anni.
La comunità scientifica ha a lungo discusso questo incremento negativo nelle statistiche, lo stesso che dovrebbe comunque essere solo ‘transitorio‘. D’altro canto, ciò che sembra rimanere fondamentale per centrare l’Accordo di Parigi è la chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2040. Stando a questa deadline, La Gran Bretagna avrebbe già anticipato di gran lunga le tempistiche. Anche l’Italia va sempre meno a carbone. Nel 2023 la produzione di energia, sfruttando questa fonte, è scesa al 4%, senza contare le esportazioni. Le centrali coinvolte nell’affievolimento sono cinque (quattro di gestione e proprietà Enel).
La de-industrializzazione
Tornando alla Gran Bretagna, ci si chiede quale sia il motivo che si cela dietro alla recente e rapida de-industrializzazione di quella che è stata la prima economia industriale al mondo, ma ora la più veloce tra le altre nazioni sviluppate a sbarazzarsi delle industrie. Si può rispondere così: il costo dell’energia nel paese è molto alto, tra le altre cose a causa della riduzione dell’utilizzo del carbone a seguito di chiusure come quella di lunedì. In aggiunta, le industrie ‘evadono’, scappando altrove.
Il problema è che, con l’abbandono delle uggiose isole britanniche da parte di multinazionali e aziende del settore industriale, sono molti i posti di lavoro andati in fumo. Certamente non è questa la migliore delle prospettive, considerando che il paese di Carlo III e Keir Starmer sta vivendo uno dei momenti peggiori della sua storia economica. Ma è, forse, un giusto prezzo da pagare per continuare a vivere in un mondo ancora ospitale.