Il divario tra Nord e Sud Italia è cambiato significativamente dall’Unità del Paese ad oggi. Se in passato il Sud possedeva importanti industrie, ora le Regioni settentrionali dominano in termini di PIL pro capite. Oggi, le disparità economiche e di servizi sono evidenti in settori come sanità, trasporti e istruzione. Nonostante il PNRR e la ZES Unica mirino a ridurre tali differenze, rischiano in realtà di esacerbarle. Federico Caffè aveva previsto che solo con investimenti e riforme mirate si potesse davvero ridurre il divario.
Le profonde disparità territoriali tra Nord e Sud Italia affondano le radici nel lontano 1861 – anno dell’Unità d’Italia – quando si iniziò a decidere su come e dove concentrare gli investimenti. È importante ricordare che, all’epoca, il Nord era già avviato verso l’industrializzazione, immerso nella Rivoluzione Industriale, mentre il Sud era prevalentemente agricolo, ma non del tutto arretrato. Il Meridione vantava, infatti, cantieri di rilievo: tra questi, lo stabilimento siderurgico di Pietrarsa. Il 10 gennaio 1863, quest’ultimo, insieme a tutte le sue strutture, fu dato in affitto per 30 anni alla cifra di 45.000 lire dell’epoca – su disposizione del Ministro delle Finanze del governo Minghetti – alla ditta guidata da Iacopo Bozza. Questa decisione portò a una significativa riduzione dei posti di lavoro e provocò vari scioperi, che sfociarono in gravi disordini repressi duramente. Basti ricordare che, il 6 agosto 1863, una carica dei bersaglieri causò 7 morti e 20 feriti gravi. Tra le vittime vi furono Luigi Fabbricini, Aniello Marino, Domenico Del Grosso e Aniello Olivieri.
Lavoro, sanità e servizi nel Mezzogiorno
Oggi la situazione si è completamente ribaltata: tra le prime quattro Regioni italiane con il PIL pro capite più elevato troviamo le capofila dell’autonomia differenziata: Lombardia (43.700 €), Emilia-Romagna (40.600 €) e Veneto (37.500 €). Al contrario, tra le ultime posizioni figurano la Campania (21.600 €), la Sicilia (20.600 €) e la Puglia (21.300 €). In altre parole, il divario si è invertito. È peraltro evidente che esistono differenze sostanziali negli investimenti e nei servizi disponibili al Sud rispetto a quelli del Nord.
Vivere al Sud è sicuramente più complicato rispetto al Nord, come dimostrano anche i dati sugli stipendi. Se confrontiamo Napoli e Milano, notiamo che un napoletano guadagna in media 13.200 € lordi in meno all’anno rispetto a un milanese; un abitante di Napoli percepisce, infatti, 22.800 € lordi annui, mentre un milanese ne guadagna 36.000 €. È vero che a Milano il costo della vita è più elevato, ma è altrettanto vero che sono garantiti più servizi. Tuttavia, resta il fatto che un milanese ha un potere d’acquisto superiore del 27% rispetto a un napoletano.
Queste disparità economiche si riflettono anche nella sanità, dove il divario tra Nord e Sud è particolarmente significativo. Nel Nord, la spesa sanitaria pro capite è nettamente più alta: in Lombardia si attesta sui 2.100 euro, mentre in Emilia-Romagna e Veneto è intorno ai 2.000 euro. Al Sud, invece, Regioni come Campania e Calabria investono rispettivamente circa 1.700 e 1.550 euro pro capite. Questa differenza di risorse si traduce in una qualità dei servizi sanitari inferiore nel Meridione; strutture sovraffollate, lunghe liste d’attesa e una crescente “migrazione sanitaria” verso il Nord per ricevere cure migliori.
Inoltre, i trasporti al Sud sono generalmente più scadenti rispetto a quelli del Nord, danneggiando studenti e lavoratori pendolari. A mero titolo esemplificativo, citiamo la Circumvesuviana di Napoli, che nel 2023 è stata dichiarata il peggior treno d’Europa, con infrastrutture fatiscenti e treni che si fermano spesso sui binari. Nel Sud, le linee ferroviarie in esercizio gestite da RFI si estendono per 5.717 km, pari al 34% del totale nazionale, mentre la lunghezza dei binari è di 7.528 km, ovvero il 30% del totale. Tuttavia, il gap diventa più evidente se consideriamo la qualità e l’efficienza delle infrastrutture. Solo il 21,4% delle linee ferroviarie al Sud è classificato come ‘fondamentali’ e ‘di nodo’ – queste ultime presenti solo in Campania – rispetto al 53,5% al Centro-Nord. Inoltre, l’elettrificazione della rete ferroviaria al Sud è del 58,2%, rispetto all’80% medio del Centro-Nord. La rete a doppio binario copre solo il 31,7% al Sud contro il 53,4% al Centro-Nord. Per quanto riguarda l’Alta Velocità, poi, il Sud dispone solo di 181 km di rete, interamente in Campania, rappresentando appena il 12,3% del totale nazionale.
Anche i sistemi di trasporto urbano mostrano carenze significative. Le città capoluogo del Sud hanno una rete tramviaria di 42,6 km, pari all’11,2% del totale nazionale, e una rete metropolitana che copre il 25,7% del totale nazionale, pari al 13,5% del totale nazionale. La qualità dei servizi di trasporto pubblico è inferiore rispetto al resto del paese: nel 2022, solo il 55,7% degli utenti degli autobus al Sud era soddisfatto, quasi 10 punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale. Questo è quanto affermano diversi studi della SVIMEZ.
Le disuguaglianze tra Nord e Sud Italia sono evidenti anche per quanto riguarda l’istruzione: bambini del Centro-Nord ricevono mediamente 1.226 ore di formazione all’anno, mentre quelli del Sud ne hanno circa 200 ore in meno. Inoltre, nel Sud, circa il 79% degli alunni delle primarie non beneficia della mensa scolastica, rispetto al 46% del Centro-Nord. Solo il 18% degli alunni del Sud ha accesso al tempo pieno, contro il 48% del Centro-Nord, e il 66% degli studenti del Sud non frequenta scuole con palestra. Dal 2008 al 2020 la spesa per l’istruzione al Sud è diminuita del 19,5%, mentre gli investimenti sono calati di quasi un terzo. La spesa per studente al Sud è di circa 100 euro annui inferiore rispetto al resto del Paese; il divario aumenta se si considerano solo gli investimenti.
Lo Stato spende di più al Nord
I dati recenti dello SVIMEZ mostrano che il Nord riceve una percentuale significativamente maggiore della spesa pubblica rispetto al Sud, con un divario di circa 4.000 euro pro capite. Mentre il dibattito si concentra sul residuo fiscale (la differenza tra le tasse pagate e quelle rimaste sul territorio), è importante anche considerare la spesa pubblica totale per Regione. Secondo i dati della Ragioneria Generale dello Stato, le regioni del Nord come Lombardia e Veneto ricevono meno risorse, mentre il Lazio e altre regioni del Centro-Sud ricevono di più. Tuttavia, questi dati sono parziali, in quanto escludono importanti voci di spesa come quelle previdenziali e sociali.
I dati del sistema Conti Pubblici Territoriali (CPT), che includono tutte le spese pubbliche, offrono un quadro più completo. Secondo il CPT, la spesa pubblica pro capite al Centro-Nord è di circa 13.400 euro, rispetto ai 10.900 euro del Sud. Quando si includono anche le spese del settore pubblico allargato (società pubbliche, servizi locali, ecc.), il divario si amplia ulteriormente, con il Centro-Nord che spende circa 17.000 euro pro capite contro i 13.300 euro del Sud.
Tra le singole regioni, la Valle d’Aosta è quella con la maggiore spesa pubblica pro capite (25.000 euro), seguita dal Lazio e dalla Liguria. Al contrario, la Campania riceve la spesa pubblica più bassa, con solo 12.000 euro pro capite: meno della metà rispetto alla Valle d’Aosta. Tutto ciò avviene nonostante il Sud abbia una pressione fiscale superiore rispetto al Nord. Infatti, gli abitanti del Mezzogiorno affrontano una pressione fiscale del 47,8%, rispetto al 46% del Centro-Nord. Come sottolinea il giornalista economista Marco Esposito de “Il Mattino“, questa realtà mina anche le motivazioni alla base dell’autonomia differenziata, ossia l’idea che le Regioni del Sud meritino di più perché pagano di più.
PNRR e ZES unica
Il PNRR, che avrebbe dovuto contribuire a superare il divario tra Nord e Sud Italia, rischia di accentuarlo. Infatti, il 38% degli investimenti destinati alle città italiane va al Sud, leggermente inferiore all’obiettivo del 40%. Tuttavia, ci sono forti disparità: in 40 capoluoghi, inclusi importanti città del Sud come quelle in Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna, gli investimenti per abitante sono meno della metà della media. Non sempre esiste una correlazione tra il reddito delle città e l’intensità degli investimenti.
Lo studio “Le città italiane e il PNRR“ di Gianfranco Viesti e colleghi evidenzia che molte città medio-piccole ricevono interventi modesti. Trapani, Trieste e Venezia sono tra le città con l’intensità di investimento per abitante più alta, seguite da Ascoli Piceno e altre come Brescia, Taranto e Bari. Al contrario, il Sud – in particolare in Calabria e Sicilia – presenta territori urbani con investimenti limitati. Inoltre, il PNRR impone oneri di progettazione e realizzazione a amministrazioni comunali spesso indebolite e con capacità disomogenee, complicando ulteriormente la situazione per il Mezzogiorno.
Tutto questo nonostante nel 2023, grazie al PNRR, il Sud Italia ha visto un incremento del PIL pari al 3,7%, rispetto al 3,5% nazionale. Tuttavia, ciò potrebbe non essere sostenibile a lungo termine, una volta esaurite le risorse straordinarie. In ogni caso i divari restano enormi, soprattutto nelle aree interne del Paese.
La ZES Unica, ideata dal quasi ex Ministro Fitto, sembra anch’essa inadeguata a risolvere la profonda disparità Nord-Sud. Essendo una misura straordinaria, ha dimostrato i suoi effetti solo su zone limitate. Applicata a tutto il Mezzogiorno, questa potrebbe in realtà concentrarsi solo sulle grandi città, creando nuovi “divari nel divario“.
Un paradosso rilevante è che, secondo la SOSE, una delle Regioni che spende meglio i propri fondi è la Calabria, insieme a Puglia, Molise e Campania. Tra le peggiori troviamo la Toscana e il Lazio, con prestazioni decenti di Liguria e Emilia-Romagna. Tuttavia, la qualità dei servizi erogati mostra un quadro diverso: le Regioni del Sud diventano improvvisamente inefficienti. Quest’ultimo passaggio non può essere attribuito solo all’incapacità degli amministratori del Sud, ma è spesso legato alla mancanza di finanziamenti statali. Al Sud arrivano principalmente finanziamenti europei, che dovrebbero cofinanziare quelli nazionali.
Federico Caffè, famoso economista, sosteneva che il divario tra Nord e Sud fosse il risultato di disparità strutturali profonde; egli criticava le politiche insufficienti e mal gestite nel tentativo di colmare queste disparità. Credeva, inoltre, che per ridurre efficacemente il divario fosse necessario un impegno serio in investimenti e riforme mirate. Sarebbe quindi opportuno ascoltare il suo consiglio e ripensare le politiche. Divisi non si va da nessuna parte.

