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    “È un casino”: l’Ucraina nel vortice tra Mosca, Washington e Bruxelles

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    È un casino”, così poche ore fa Donald Trump ha definito la guerra in Ucraina durante una riunione del suo gabinetto. Un cambio di posizione evidente rispetto a poche settimane fa, quando entusiasticamente sembrava esultare per l’inevitabile pace imminente.

    Effettivamente, però, a guardare il susseguirsi degli eventi caotici degli ultimi giorni, tutti i torti il Tycoon non sembra averli: piani di pace diversi e improbabili, fronti instabili e diplomazia che rimbalza da una parte all’altra. Unica certezza, per ora, è che non è pace.

    Svolta sull’energia: Bruxelles chiude il rubinetto e prova a tornare in scena 

    Intanto l’Unione europea sembra tornare a farsi spazio sgomitando nel panorama diplomatico internazionale che ruota attorno a Kyiv. “Oggi entriamo nell’era della piena indipendenza energetica dell’Europa dalla Russia” queste le parole pronunciate poco fa dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen commentando la storica intesa raggiunta sul divieto graduale di importazioni di gas russo. Una svolta pronta a riscrivere l’equilibrio energetico e politico del continente.

    In più occasioni Donald Trump non aveva mancato di sottolineare come Bruxelles imponesse dure sanzioni a Mosca ma continuando, fino a oggi, a comprare il suo gas. Entro il 2027, anche questa contraddizione, tutta europea, sarà definitivamente risolta.

    Intanto, poco più di 48 ore fa, a Parigi, si sono svolti i colloqui tra Zelensky e Macron; colloqui il cui intento era proprio quello di riaffermare la centralità europea in quel processo di pace che sembra, molto timidamente, linearsi.

    Con la svolta energetica di oggi, i palazzi di Bruxelles sembrano battere un colpo dopo mesi da spettatori.

    “Se l’Europa vuole la guerra, la Russia è pronta” 

    Ma mentre l’UE rialza la testa, Vladimir Putin alza invece la voce. “Se l’Europa vuole la guerra, la Russia è pronta”, ha dichiarato. Un messaggio che, dietro l’apparenza, sembra in realtà più essere indirizzato a Washington che alle capitali europee. 

    Mosca vorrebbe che Trump mettesse, una volta per tutte, Parigi e compagine ai margini. E lo fa anche parlando dei 28 punti che, il Cremlino stesso, definisce il “Piano Trump”, facendo intendere la volontà di una relazione bilaterale diretta Mosca – Washington.

    Washington sotto pressione

    La situazione è “un disastro”, “un casino” da risolvere per Donald Trump, che si trova davanti a scelte difficili poste da Mosca. La Casa Bianca, pur sapendo bene che Bruxelles non potrà essere davvero rilegata ai margini, invia Steve Witkoff e Jared Kushner proprio nei palazzi russi, per discutere un (nuovo) possibile accordo di pace, escludendo, ancora una volta, i leader europei.

    L’incontro, durato più di cinque ore, non sembra però aver portato a nulla di concreto: la Russia non appare essere intenzionata ad arretrare di un centimetro sulle richieste territoriali (e non solo) e l’atteso incontro che si sarebbe dovuto svolgere nei prossimi giorni tra USA e Ucraina è stato annullato. Il messaggio di Mosca alla Casa Bianca è chiaro: per avere la pace dovete scegliere: o noi, o l’Europa.

    Il presidente statunitense si ritrova così per le mani un dossier complicatissimo, in cui ogni mossa rischia di scontentare un alleato o di rafforzare un avversario, in un momento in cui i ruoli non sembrano nettissimi.

    Zelensky, tra timori e necessità

    Al presidente ucraino le dinamiche in questione sono chiare così come è chiaro l’obiettivo: preservare la sovranità ed evitare (quanto più possibile) concessioni. A Kyiv nessuno si fa illusioni.

    La paura è chiaramente quella di una pace imposta dall’alto senza essere stata davvero presa in considerazione nei trattati, ovvero tutto ciò che vorrebbe l’omonimo russo. Zelensky sa bene che in questo precario equilibrio ha bisogno, ora più di prima, dell’appoggio europeo e anche di quello americano. 

    Bivio per l’Europa e matassa per Trump

    L’Europa sembra aver capito che le prospettive sono due: restare spettatrice, come in troppe altre crisi, o porsi nuovamente come protagonista consapevole di un nuovo ordine strategico. Eliminare il gas russo è l’inizio di questo secondo percorso, ma non basta; l’autonomia energetica deve essere accompagnata ad altrettanta autonomia strategica e, soprattutto, da una visione geopolitica chiara e comune.

    Putin, irritato, non è disposto a concessioni e lo fa capire, senza parlare, ancora prima dell’incontro con gli inviati speciali americani, che sono costretti ad attenderlo al freddo di Mosca il tempo che il presidente russo finisse una riunione che, a quanto pare, era più importante di accogliere gli Stati Uniti per parlare di pace in Ucraina.

    Come Donald Trump sbroglierà la matassa resta da capirlo, per ora “è un casino”.

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