Tra sorteggi, doppio CSM ed Alta Corte: perché il nuovo modello italiano rischia di diventare un’anomalia nel panorama europeo.
Un cambio di paradigma
La riforma della giustizia, approvata il 30 ottobre in quarta lettura al Senato con 112 sì, 59 no e 9 astenuti, segna un passaggio decisivo nella trasformazione dell’assetto della magistratura italiana. Non avendo raggiunto la maggioranza dei due terzi richiesta dall’art. 138 della Costituzione, la legge dovrà ora essere sottoposta a referendum confermativo, probabilmente nella primavera del 2026.
È bene precisare sin d’ora che, sebbene sia stata presentata come una semplice ‘separazione delle carriere’ tra giudici (magistrati giudicanti) e pubblici ministeri (magistrati requirenti), la riforma interviene in realtà sul cuore del governo autonomo della magistratura e sul sistema disciplinare, modificando la stessa nozione di autonomia finora conosciuta.
La revisione, oltre che agli artt. 104, 105 e 107 della Costituzione, riguarda anche l’art. 102, dacché prevede l’introduzione di carriere distinte per giudicanti e requirenti, pur mantenendo formalmente intatta l’unità dell’ordine giudiziario. Dovrà però essere una futura legge attuativa a definire concretamente modalità di accesso, progressione e organizzazione, affrontando nodi delicati come concorsi differenziati e requisiti specifici.
Il doppio CSM
La novità più dirompente è la creazione di due CSM separati, uno per i giudici e uno per i PM, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica. Il modello italiano diverrebbe così l’unico in Europa a prevedere la separazione istituzionale tra giudici e procuratori, mantenendo tuttavia competenze e poteri perfettamente speculari, poiché la riforma non modifica funzioni né prerogative delle due categorie.
La composizione dei nuovi CSM si baserà sul sorteggio: sorteggio secco per i togati e sorteggio “temperato” per i laici, cioè tramite estrazione da una lista approvata dal Parlamento in seduta comune. Restano però incerti elementi cruciali, come la lunghezza delle liste e i criteri per la loro formazione, che saranno definiti solo dalla legge attuativa. L’assenza di una maggioranza qualificata per l’approvazione delle liste amplifica il rischio di un’eccessiva incidenza della maggioranza parlamentare.
Questo sistema solleva dubbi anche a livello europeo. Secondo la soft law e il “Rule of Law Report” (2025) della Commissione UE, infatti, un requisito fondamentale degli organi di autogoverno della magistratura è la rappresentatività, cioè la presenza di membri scelti direttamente dai magistrati. Il sorteggio, pur mirato a ridurre il peso delle correnti, rischia di entrare in contrasto con questo standard. Ne potrebbe emergere un assetto potenzialmente fragile: due organi perfettamente speculari ma separati, privi di un coordinamento naturale, e un metodo di selezione che potrebbe ridurre la rappresentanza interna e ampliare l’influenza politica.
L’Alta Corte disciplinare
La riforma sottrae ai CSM la loro tradizionale competenza disciplinare, affidandola a un nuovo organo costituzionale: l’Alta Corte disciplinare. Composta da quindici membri di diversa provenienza, includerà magistrati con almeno vent’anni di esperienza e funzioni svolte in Cassazione (6 con funzione giudicante, 3 con funzione inquirente), oltre a componenti nominati dal Presidente della Repubblica (3) e sorteggiati da liste parlamentari (3).
Quanto previsto dal testo della legge di revisione costituzionale potrebbe esporre ad un duplice fattore di rischio: anzitutto, la titolarità della funzione disciplinare in capo ad un terzo e distinto organo potrebbe comportare un rischio di gerarchizzazione interna, in contrasto con il modello orizzontale sancito dall’art. 102 della Costituzione. In secondo luogo, le decisioni dell’Alta Corte, qualora la riforma venisse approvata in sede referendaria, sarebbero impugnabili solo tramite un ricorso interno, senza più il controllo della Cassazione, determinando così una forte centralizzazione del potere disciplinare.
Un sistema senza categorie
Adottando, ora, una prospettiva comparatista, si rileva che l’assetto definito dalla riforma è difficile da collocare nelle categorie europee. Non è un modello unitario, perché gli organi di autogoverno saranno due; ma non è nemmeno un modello separato in senso pieno, poiché giudici e PM manterranno garanzie e poteri identici.
I sistemi di Francia, Spagna e Portogallo, pur diversificati, non presentano nulla di simile alla simmetria totale prevista in Italia.
Il quadro europeo attuale si muove verso un rafforzamento dell’indipendenza delle procure e della partecipazione diretta dei magistrati, mentre l’Italia introduce sorteggio e sdoppiamento, avvicinandosi a un modello difficilmente assimilabile agli standard continentali.
Un’anomalia annunciata
Il risultato finale è un sistema ibrido e inedito: due CSM speculari ma separati, un nuovo organo previsto nella Carta, garanzie costituzionali formali che restano immutate ma inserite in un contesto profondamente diverso, dove non si mette mano alle funzioni dei magistrati.
La separazione delle carriere, inoltre, non tocca l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.) né l’unità formale della magistratura, generando un equilibrio nuovo e potenzialmente instabile. Se la legge attuativa non garantirà trasparenza, rappresentatività e coerenza con gli standard europei, il rischio è quello di creare un modello isolato, complesso da governare e lontano sia dalla tradizione italiana che dalle tendenze europee.
La corsa al referendum
Sui partiti si polarizza il dibattito. Il centrodestra, guidato da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati, spinge con convinzione per il “sì”: per loro la separazione delle carriere è un passo essenziale per indipendenza e trasparenza della giustizia, come più volte rivendicato da Giorgia Meloni. Dall’altra parte, il centrosinistra, guidato da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle ed Avs, si prepara a una battaglia referendaria, pur dovendo fare i conti con una diversità di posizionamenti all’interno dell’opposizione (astensione di Italia Viva e voto a favore di Azione sul testo della riforma). Il PD avverte: la riforma rappresenta un rischio per la separazione dei poteri e le garanzie dei cittadini.
Anche l’ANM (Associazione Nazionale Magistrati) è critica: teme che la riforma potrebbe essere prodromica rispetto all’assoggettamento dei PM all’Esecutivo. Infatti, chiarisce Parodi: “Sappiamo bene che la riforma non contiene una norma espressa in questo senso, ma osserviamo che nei Paesi in cui la separazione esiste, come Francia, Germania e Regno Unito, il pm risulta sottoposto all’esecutivo. Non è un timore immaginario, è un dato di fatto”.
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