Negli ultimi giorni la Groenlandia è stata tema di dibattiti e notizie, soprattutto dopo essere entrata nel mirino delle strategie geopolitiche di Donald Trump. L’interesse statunitense sulla regione ha accelerato quello che prima sembrava un successo molto lontano: l’indipendenza dalla Danimarca. Si annunciano le elezioni anticipate dell’11 marzo e i leader politici avanzano promesse indipendentiste.
Groenlandia e Trump
La Groenlandia, territorio semi-autonomo appartenente al Regno di Danimarca dal 1953, è da molti anni interesse del neo-eletto Donald Trump, che già nel 2019 aveva dichiarato la sua volontà di controllare la Groenlandia e acquisirne la proprietà, affermando che “Ai fini della sicurezza nazionale e della libertà in tutto il mondo, gli Stati Uniti d’America ritengono che il possesso e il controllo della Groenlandia siano una necessità assoluta”.
Etichettata come una scelta necessaria per far fronte alla sicurezza dello Stato, anche negli ultimi giorni si è ripresentata la stessa problematica. Nonostante la crescita di autonomia ottenuta dal 2008 e negli anni seguenti, per quanto riguarda l’auto-governo e la gestione autonoma delle risorse, per un territorio così rilevante nel contesto globale, la direzione e la sicurezza dei rapporti tra la capitale, Nuuk, e Copenaghen, secondo Trump sono troppo vacillanti.
Protagonista di questa vicenda non è solo la Groenlandia, ma anche il Canada, centro di provocazioni sulla sua possibile annessione agli Stati Uniti come 51° Stato. Anche con il Golfo del Messico e lo Stretto di Panama Trump ha dichiarato le sue intenzioni rivendicatorie, ma ha continuato sulla rotta della Groenlandia, affermando che se necessario implicherà anche l’uso della forza.
Perché la Groenlandia?
Non è una casualità la proiezione geopolitica di Trump verso l’Artico, soprattutto dal momento che sono sulla stessa linea anche potenze come la Cina e la Russia. L’interesse verso questo territorio non è dovuto solo alla presenza di giacimenti di uranio, piombo, oro e zinco, ma specialmente per quella di gas naturale, petrolio e materie prime.
Visione comprensibile anche essendo a conoscenza della rapida spinta green degli ultimi anni, che sarebbe facilitata dalla presenza di materie per la produzione di energia pulita. Dall’altro lato va considerato però il cambiamento climatico, che negli ultimi anni, e si prospetta sempre maggiormente negli anni a seguire, ha ridotto drasticamente la presenza di ghiacciai in questo territorio, andando a compromettere in parte le possibili modalità di investimento su quest’area. In più, conseguentemente allo scioglimento di ghiacciai, si amplia l’interesse su questa zona con il possibile controllo di nuove rotte commerciali, che sempre di più rendono l’Artico centro di strategie geopolitiche.
Elezioni e referendum
Il governo dell’isola danese non ha gradito queste parole e il leader del partito socialdemocratico Siumut, Erik Jensen, ha annunciato l’intenzione ad accelerare il processo di indipendenza. Tutto questo se ovviamente il partito, che ora è al governo, verrà rieletto alle elezioni anticipate che si svolgeranno il prossimo 11 marzo. Infatti il Parlamento groenlandese negli ultimi giorni ha preso la decisione di anticipare il giorno del voto, probabilmente spinti dalla crescita di tensione tra la regione e attori politici esteri.
Non solo si parla di attivare l’articolo 21, presente nella legge sull’autogoverno del 2009, ma anche di fare leva sull’articolo 5 per quanto riguarda la clausola di mutua difesa dell’alleanza nordatlantica. Prendendo in considerazione il primo articolo ci si riferisce alla possibilità di indire un referendum per acquisire la totale indipendenza dal Regno di Danimarca, negoziando con quest’ultima accordi sulle future relazioni tra le due. Lo stesso Jensen si fa portatore dei moti indipendentisti dell’isola, affermando che ci potrebbero essere elevate possibilità di far votare ai cittadini la propria indipendenza dopo le prossime elezioni.
Nonostante la Danimarca ribadisca l’impossibilità totale di una ‘vendita’ del territorio, è criticato il suo controverso modus operandi e infatti la premier danese, Mette Frederiksen, è accusata dalla portavoce del partito Siumut, Doris Jakobsen Jensen, di gestire la crisi unilateralmente verso l’Europa, senza considerare il governo groenlandese. In più i paesi della Nato sono in procinto di progettare l’invio di truppe nella regione come risposta a Donald Trump, riprendendo il prima citato articolo 5. I cittadini groenlandesi mandano un chiaro segnale di volontà: infatti, l’85% di loro è contrario ai progetti di Trump e spinge per l’autonomia totale dalla Danimarca.
Conclusioni
Seppure Donald Trump sia un capo di Stato controverso, non è ancora detto che le spinte verso la Groenlandia avranno un risvolto pratico, soprattutto in caso di esito positivo al possibile referendum indipendentista. A tal proposto, verrà effettivamente proposto il referendum, o sarà una delle tante promesse non mantenute? Va di certo considerata la contrarietà di tutti i cinque partiti del Parlamento groenlandese all’annessione statunitense della regione. Questo potrebbe essere un punto a favore per la sempre maggiore accelerazione delle spinte indipendentiste?
Non è di così facile attuazione l’indipendenza dalla Danimarca, anche considerando la presenza di ingenti sovvenzioni date da quest’ultima, che rappresentano buona parte del bilancio groenlandese. Corrisponde infatti a 580 milioni di euro all’anno la cifra che potrebbero perdere gli abitanti artici in caso di un’eventuale indipendenza. Sarebbe possibile un futuro per la Groenlandia senza il supporto danese?
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